Translate

sabato 27 dicembre 2014

Veglia di Natale 2014 Terra bene comune



Veglia di Natale 2014 
Terra bene comune 
 Comunità dell’Isolotto
Insieme per un nuovo patto tra gli esseri umani, la Terra, la Vita.
Firenze, 24 dicembre 2014 -ore 22,30 Baracche verdi, via degli Aceri 1
La terra è di Dio
dal libro del Levitico
La terra non si potrà vendere per sempre, poiché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini. Perciò in tutto il paese che avrete in possesso concederete il diritto di riscatto per ciò che riguarda il suolo. Se il tuo fratello che è presso di te cade in miseria ed è privo di mezzi, tu lo sosterrai: egli vivrà con te
come un forestiero e inquilino, Non prendere da lui interesse o tributo, ma abbi il timore del tuo Dio e tuo fratello viva con te. Non gli presterai denaro a interesse né gli darai il tuo cibo per profittarne: Io sono Jahwè vostro Dio che vi ha fatto uscire dalla terra d'Egitto per darvi la terra di Canaan, per essere vostro Dio.
Fao: il suolo è una risorsa chiave ma è trascurato e a rischio
giornata mondiale del suolo, iniziative a Roma, New York e Santiago del Cile
05 dicembre 2014
”Suoli sani sono fondamentali per la produzione mondiale di cibo, combustibili, fibre e prodotti medici, e sono essenziali per i nostri ecosistemi, visto che ricoprono un ruolo fondamentale nel ciclo del carbonio, immagazzinano e filtrano l'acqua e aiutano a fronteggiare inondazioni e siccità. Ma non prestiamo abbastanza attenzione a questo silenzioso alleato". Sono le parole del direttore generale della Fao José Graziano da Silva in occasione della Giornata Mondiale del Suolo, che si celebra oggi, in vista del 2015 dichiarato dall'Onu l'Anno Internazionale dei Suoli "Sfortunatamente -aggiunge -un terzo dei nostri terreni è in condizioni di degrado e le pressioni dell'uomo stanno raggiungendo livelli critici, riducendo e a volte eliminando alcune delle loro funzioni essenziali. "Invito tutti noi a promuovere attivamente la causa dei suoli nel corso del 2015, poiché è un anno importante per spianare la strada verso un sviluppo veramente sostenibile per tutti e da parte di tutti." Il suolo è necessario per la sicurezza alimentare e la nutrizione, ma anche per l'adattamento e la mitigazione del cambiamento climatico, e uno sviluppo sostenibile in generale.
Dominazione o reciprocità?
Marco Benvenuti “Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra" (Genesi 1, 26-30). Questo passo della Genesi sembra essere stato preso alla lettera ed in larga parte attuato da un’Umanità che, dalle caverne preistoriche alle megalopoli moderne, ha dominato la Terra modellandola a suo piacimento e sfruttandone le ricchezze nel raggiungimento di un progresso senza limiti. Come ci spiega una Teologia esegetica, che tuttavia non ha impedito nel tempo l’interpretazione letterale delle parole di Dio da parte di un Uomo dominatore, il passo della Genesi contiene un senso più profondo. Esso indica una chiara responsabilità che l’Uomo ha nei confronti della Natura che contiene l’Umanità e che al pari di questa, è creata ed amata da Dio. L’Uomo e la Natura, quindi, sono vincolati da un patto di reciprocità sancito dal Creatore che, se rispettato, garantirà benessere e sviluppo per l’Uomo ma anche cura e rispetto per la casa che lo ospita. In questa prospettiva i geologi, come scienziati della Terra, giocano da alcuni secoli un duplice ruolo. Essi con le loro competenze hanno consentito lo sfruttamento di risorse minerali e di fonti energetiche che hanno alimentato un progresso benefico ma anche la dominazione della Terra e l’alterazione di delicati equilibri naturali. Al
contempo, leggendo nelle rocce la lunga storia del pianeta i geologi hanno ricostruito il succedersi di innumerevoli mondi, agli occhi di un possibile creatore evidentemente non meno degni della Terra che solo da due milioni di anni come genere Homo abitiamo. Le rocce, che sembrano statiche, sono invece testimonianza di un continuo divenire, di trasformazioni che possono avvenire in milioni di anni o in istanti, attraverso processi graduali o improvvisi e violenti. L’Uomo dominatore disconosce le verità rivelate nel libro della Terra e subisce imprecando ad essa, la vitale energia del pianeta quando questa si manifesta come frana, alluvione o terremoto. L’Uomo che invece ha stipulato un’alleanza con la Terra, nello spirito biblico di appartenenza e reciprocità, intuisce con il buon senso il significato di ciò che la Terra svela della sua mutevole natura e sa adattarsi ad essa. Solo in questa prospettiva “geologicamente” sostenibile la Terra sarà davvero bene comune.
C come.. crisi
di Albert Einstein
Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi, è la crisi dell'incompetenza. L'inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non c'è merito. È nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze. Parlare di crisi significa incrementarla e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece, lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l' unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla.
Presentazione della rete “Genuino Clandestino” Giovanni Pandolfini La relazione dell'uomo
 con il proprio cibo, che come l'aria e l'acqua è indispensabile alla nostra vita è oggetto
 di considerazioni che si impongono sempre con più urgenza. 
Siamo ormai più di 7 miliardi di persone su questo pianeta. Più della metà di queste vive ammassata 
nelle grandi città dove chi può permetterselo si alimenta, anche molto di più del necessario, 
chi invece non può permetterselo si vede negare l'accesso al cibo con conseguenze disastrose
 anche per migliaia di bambini e per le loro madri. Per quanto riguarda la nostra realtà invece
 ci ricordiamo ancora cosa significa "agricoltura contadina"? Quanta consapevolezza abbiamo ancora 
di quello che comporta, come conseguenze per il pianeta e per le nostre vite, correre ogni settimana 
nei supermercati e cercare di riempire il nostro carrello della spesa (con sempre più fatica rispetto 
alle possibilità economiche)? Quanto ci rendiamo conto di come sono cambiate le nostre abitudini
 negli ultimi decenni? Esiste una rete di "contadini in resistenza" che si chiama "Genuino clandestino" .
 Questa rete si compone di gruppi che vanno dalla Sicilia alla Val di Susa e che affiancata sempre di più
 da consumatori critici, gruppi e comitati cittadini che hanno a cuore la difesa del loro territorio 
 si interroga e si organizza sulle seguenti tematiche -la convinzione che la terra non possa essere proprietà privata di uno o più uomini, ma
che sono gli uomini ad appartenere alla terra. -il diritto di tutti gli individui e le comunità di avere accesso alla terra come mezzo di autodeterminazione alimentare, economica e culturale. -la trasmissione e la conservazione dei saperi e delle buone pratiche contadine volte alla produzione di cibo e non di profitto. -la difesa di un'agricoltura sobria, naturale, rispettosa dell'ambiente e della dignità
umana. Uno dei motti della rete è "il cibo non è una merce. La terra non è un supermercato". In questo "humus" a Firenze è nata una esperienza che sta vivendo i suoi primi passi. Si chiama "Mondeggi bene comune fattoria senza padroni". Si tratta di un'esperienza nuova e con i presupposti sopra descritti si propone di sperimentare pratiche che spesso confliggono con la così detta "legalità" e per questo necessitano di comprensione e di sostegno da parte di più persone possibile. Mondeggi si trova alle porte di Firenze, nel comune di Bagno a Ripoli ed è un'azienda di circa 180 ettari di proprietà della Provincia di Firenze. Da circa 7 anni si trova, dopo una gestione volta all'agro-business, in condizioni di forte indebitamento e in totale paralisi produttiva con conseguente degrado e abbandono. Ormai da più di un anno si è costituito informalmente un comitato di cittadini e contadini delle zone limitrofe che ha deciso di prendersi cura di questo pezzo del nostro territorio al posto dei latitanti amministratori pubblici. Questo nutrito gruppo di persone, attivisti e semplici sostenitori, attivati dagli stimoli ricevuti dalla rete di Genuino Clandestino, ha dato vita nel giugno scorso ad un presidio contadino permanente nei terreni e in alcuni fabbricati dell'azienda. Si è iniziato un percorso di custodia popolare di Mondeggi con la finalità di riattivare, con le modalità dell'agricoltura contadina naturale, la vita produttiva e sociale del luogo attraverso la
trasformazione di un bene pubblico con gestione privatistica in un vero e proprio "bene comune".
L'esperienza di Mondeggi, fattoria senza padroni
Nelle campagne fiorentine in questi ultimi mesi una comunità variegata di soggetti sta cercando di trasformare una “proprietà pubblica” in “bene comune”. L’esperienza del movimento “Mondeggi fattoria senza padrone” sta cercando di fermare la vendita di un bene pubblico, la fattoria medicea di Mondeggi, chiedendo alla pubblica amministrazione di sperimentare un accordo con un gruppo di soggetti che intendono prendere in carico la fattoria e gestirla in forma comunitaria in base a un documento di principi e di intenti che è stato discusso collettivamente in assemblee pubbliche e in rete e approvato definitivamente il 12.01.2014 nell’Assemblea plenaria territoriale di Pozzolatico.
Carta degli Intenti.Verso Mondeggi Bene Comune
L’intento principale è quello di riabitare Mondeggi, insediando nuclei familiari e singole persone nelle abitazioni rurali già esistenti della Fattoria, in modo da ricostituire il “popolo di Mondeggi” che dovrà essere composto in primo luogo da coloro che si dedicheranno al lavoro della terra. All’interno del nuovo villaggio contadino verrà praticata un’agricoltura familiare dedicata all’autosufficienza alimentare dei poderi, attraverso orti condivisi e piccoli allevamenti da cortile, inoltre gli abitanti – assieme anche a persone non residenti a Mondeggi, ma che vorranno lavorarci tutti insieme nell’intento di ridurre progressivamente l’impronta ecologica costituiranno la “Fattoria senza padroni” che si articola mediante due forme assembleari:l ’Assemblea di Fattoria e l’Assemblea plenaria territoriale. L’Assemblea di Fattoria stabilirà la forma associativa, lo statuto e il regolamento e definirà i metodi di funzionamento interno inclusa la turnazione dei responsabili della gestione, inoltre sarà lo strumento primario di organizzazione del lavoro, delle risorse, e dei piani colturali, basandosi su i seguenti principi cardine:la solidarietà al posto della concorrenza;la giustizia sociale; l’uguaglianza e la reciprocità dei diritti;l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali; la salute dei produttori e dei consumatori;la salvaguardia e l’incremento della biodiversità e della fertilità dei suoli,l’utilizzo di forme di finanza mutualistica e solidale e di pratiche di scambio e di baratto. Sulla base di questi principi l’Assemblea di Fattoria si occuperà delle colture più impegnative per estensione e da reddito, organizzandosi in gruppi di interesse, ritenendo vitale lo scambio di manodopera e il mutuo soccorso. I mezzi di produzione potranno essere di proprietà collettiva o individuale, mentre i locali di spaccio, trasformazione e stoccaggio saranno comunitari. I prodotti contadini verranno distribuiti al pubblico direttamente nello spaccio della Fattoria e attraverso il circuito dei Mercati Contadini e dei Gruppi d’Acquisto Solidale. Dato che la Fattoria di Mondeggi è per tutti noi un bene comune, riteniamo che appartenga alla comunità territoriale che con essa ha rapporti storici e culturali. Nostro intento quindi, sarà quello di includere per quanto possibile, la comunità nella gestione partecipata.
Diritti sacri da Il discorso di papa Francesco ai movimenti
[…] Questo incontro dei movimenti popolari è un segno, un grande segno: siete venuti a porre alla presenza di Dio, della Chiesa, dei popoli, una realtà molte volte passata sotto silenzio. I poveri non solo subiscono l’ingiustizia ma lottano anche contro di essa! Non si accontentano di promesse illusorie, scuse o alibi. Non stanno neppure aspettando a braccia conserte l’aiuto di Ong, piani assistenziali o soluzioni che non arrivano mai o che, se arrivano, lo fanno in modo tale da andare nella direzione o di anestetizzare o di addomesticare […]. Voi sentite che i poveri non aspettano più e vogliono essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste fra quanti soffrono […], e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato, o quantomeno ha molta voglia di dimenticare. Solidarietà è […] molto più di alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, la terra e la casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro: i dislocamenti forzati, le emigrazioni dolorose, la tratta di persone, la droga, la guerra, la violenza e tutte quelle realtà che molti di voi subiscono e che tutti siamo chiamati a trasformare. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia ed è questo che fanno i movimenti popolari. Questo nostro incontro non risponde a un’ideologia. Voi non lavorate con idee, lavorate con realtà come quelle che ho menzionato e molte altre che mi avete raccontato. Avete i piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta! Vogliamo che si ascolti la vostra voce che, in generale, si ascolta poco. Forse perché disturba, forse perché il vostro grido infastidisce, forse perché si ha paura del cambiamento che voi esigete, ma senza la vostra presenza, senza andare realmente nelle periferie, le buone proposte e i progetti che spesso ascoltiamo nelle conferenze internazionali restano nel regno dell’idea […]. Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi (…). Che bello invece quando vediamo in movimento i popoli e soprattutto i loro membri più poveri e i giovani. Allora sì, si sente il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore. Che questo vento si trasformi in uragano di speranza. Questo è il mio desiderio. Questo nostro incontro risponde a un anelito molto concreto, qualcosa che qualsiasi padre, qualsiasi madre, vuole per i propri figli; un anelito che dovrebbe essere alla portata di tutti, ma che oggi vediamo con tristezza sempre più lontano dalla maggioranza della gente: terra, casa e lavoro. È strano, ma se parlo di questo per alcuni il Papa è comunista. Non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo. Terra, casa e lavoro, quello per cui voi lottate, sono diritti sacri. Esigere ciò non è affatto
strano, è la dottrina sociale della Chiesa. Mi soffermo un po’ su ognuno di essi perché li avete scelti come parole d’ordine per questo incontro. Terra. All’inizio della creazione, Dio creò l’uomo custode della sua opera, affidandogli l’incarico di coltivarla e di proteggerla. Vedo che qui ci sono decine di contadini e di contadine e voglio felicitarmi con loro perché custodiscono la terra, la coltivano e lo fanno in comunità. Mi preoccupa lo sradicamento di tanti fratelli contadini (…). L’accaparramento di terre, la deforestazione, l’appropriazione dell’acqua, i pesticidi inadeguati, sono alcuni dei mali che strappano l’uomo dalla sua terra natale. Questa dolorosa separazione non è solo fisica ma anche esistenziale e spirituale, perché esiste una relazione con la terra che sta mettendo la comunità rurale e il suo peculiare stile di vita in palese decadenza e addirittura a rischio di estinzione. L’altra dimensione del processo già globale è la fame. Quando la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti trattandoli come una merce qualsiasi, milioni di persone soffrono e muoiono di fame. Dall’altra parte si scartano tonnellate di alimenti. Ciò costituisce un vero scandalo. La fame è criminale, l’alimentazione è un diritto inalienabile. So che alcuni di voi chiedono una riforma agraria per risolvere alcuni di questi problemi e lasciatemi dire che in certi Paesi, e qui cito il compendio della Dottrina sociale della Chiesa, «la riforma agraria diventa pertanto, oltre che una necessità politica, un obbligo morale» (CDSC, 300).(…). Per favore, continuate a lottare per la dignità della famiglia rurale, per l’acqua, per la vita e affinché tutti possano beneficiare dei frutti della terra.
Il valore dei beni comuni Se riuscissimo ad avere consapevolezza del valore dei beni comuni, dei loro limiti e delle loro potenzialità, della loro forza e della loro fragilità, potremmo allora farci un'idea del percorso da intraprendere per creare un habitat armonico, per raggiungere una nuova civilizzazione, per immaginare un'umanità diversa e persino una eco-antropologia. La gestione comune dei beni presuppone infatti una relazione interpersonale e un rapporto di cooperazione, solidarietà e condivisione che è negato dalla logica del mercato delle merci. Il nesso tra bene (qualcosa che ha un valore di per sé) e comune (che è utile a soddisfare i bisogni di più individui) è rivelatore del costituirsi di relazioni interpersonali tra soggetti che accettano di prendersi in carico un munus, un dono particolare che obbliga chi lo accoglie a dei vincoli etici nei confronti del donatore (natura, generazioni precedenti, l'altro da sé) e morali nei confronti degli altri beneficiari effettivi e potenziali. Si creano così dei legami di reciprocità, dei vincoli di solidarietà collettiva, delle norme che creano comunità, coesione e finanche identità. E' questo nesso che si instaura tra gli uomini e le donne a definire il bene comune. Nella gestione collettiva del bene gli individui si uniscono e creano una communitas, realizzano un progetto e mettono in essere pratiche ed esperienze condivise.
(da "La società dei beni comuni" di Paolo Cacciari)
Natale e il dono Donare è ribellione -la gratuità al tempo della tecno-finanza
di Claudio Sardo
E se donare non fosse una fuga dalla realtà? E se non fosse neppure una privazione? Né l’espressione di una carità pelosa che vuole coprire le ingiustizie lavando le coscienze? Il dono e la gratuità hanno e hanno avuto significati diversi nelle diverse culture. Ma la radice profonda è nell’umanità degli uomini, e questo tiene acceso il fuoco anche sotto la cenere di un tempo come il nostro, che sembra omologare comportamenti e desideri al bisogno di profitto e all’individualismo vincente. Oggi il donare appare escluso dal circuito primario degli interessi sociali. Ovviamente è ancora vivo, coinvolge milioni di donne e di uomini, ma è come affidato a un mercato secondario, protetto. Eppure esprime una forza antagonista rispetto al nichilismo verso il quale rischia di scivolare una cultura centrata solo sull’individuo e la sua volontà di potenza. Se n’è parlato nei giorni scorsi a Forte di Bard (bellissimo polo museale, da poco ristrutturato, all’interno della fortezza che presidia l’ingresso in Valle d’Aosta) in un convegno a cui hanno preso parte, tra gli altri, il priore di Bose Enzo Bianchi, gli imprenditori Oscar Farinetti (Eataly) e Guido Martinetti (Grom), la direttrice del Festival della filosofia Michelina Borsari, l’ex ministro Domenico Siniscalco. Il donare ha molte facce. Il pensiero corre subito al volontariato. Ma con il dono ha a che fare anche il Terzo settore, che del mercato occupa un segmento. Con il dono può avere a che fare pure l’impresa, quando è consapevole del suo valore sociale e guarda alla comunità in cui è inserita con occhi diversi da quelli del mero guadagno a breve. L’atto gratuito è marginale, tuttavia non completamente escluso dall’economia pratica: può insinuarsi ancor più, così come può essere catturato. Ambigua, inevitabile convivenza. Il no profit può forse entrare in un processo di trasformazione del welfare state in welfare community. Tutto bene, purché non riduca l’area dei diritti universali, ma aiuti davvero a umanizzare la loro fruizione. Comunque, benché il donare sia già mescolato con la realtà socio-economica, non si sfugge alle domande di fondo, antropologiche, che esso pone nella crisi di oggi. Il donare è anzitutto un’espressione della soggettività – è la persona in relazione – ancor prima di essere un atto, magari irregolare, dell’homo economicus. Il dono autentico, la gratuità, è una modalità insopprimibile con cui la donna e l’uomo marcano la loro presenza nel mondo dei loro affetti, nella comunità, nella storia. Senza il dono personale l’omologazione sarebbe già compiuta, riconducendo le relazioni al solo interesse economico. Le implicazioni culturali e sociali di questo paradigma sono enormi. Perché, a ben guardare, ogni giorno siamo costretti a fare i conti con lo spettro del potere finanziario che domina l’economia reale, che domina la stessa politica democratica, che illude infine la nostra libertà facendoci sentire spesso quasi onnipotenti ma al tempo stesso impotenti.
Il dono invece ha un dna umanistico che contesta in radice la sovranità dell’economia (e della tecno-finanza). Il dono prima di essere un oggetto è il donare se stesso. L’autenticità del dono è un bene immateriale che dà senso a quello materiale. Si dona per essere, non per avere un po’ meno. Ed è sul dono di sé che si fonda la comunità, la città delle persone che non sono soltanto individui. Il dono presuppone la differenza, la diversità, perciò nega l’omologazione. Il dono è legato all’idea della festa, che è diversa dal giorno feriale. Il dono guarda al futuro, al domani, perché non chiede un risarcimento
o un prezzo. Lo schiacciamento sul presente, gli orizzonti sempre più corti, sono i parenti stretti di quel nichilismo che segue come un ombra il mito espansivo del denaro che produce sempre più denaro. Il donare ha certamente anche un significato religioso. Diverso nelle diverse culture. C’è un senso di trascendenza nella gratuità perché il dono va a beneficio di altri, di un altro tempo, di un’altra generazione. Tuttavia della trascendenza disegna un contorno laico, umano, valido per ogni credo e anche per chi dona senza credere nell’Assoluto. Si dona la vita per i propri figli, per un ideale di giustizia, per un bisogno di umanità. Per non essere individui soli. Sì, può essere un’illusione di fronte al cinismo imperante. Del resto, anche il cambiamento può essere un’illusione. Ma in fondo la domanda più affascinante (quella che non trova mai la risposta definitiva) riguarda proprio quel sentimento universale che spinge l’uomo a tentare di superare la sua condizione, il suo presente, la sua stessa vita.
Meditazioni per madre terra
La nostra società così evoluta ha col tempo smarrito il senso del rispetto per la Madre Terra, ciò a cui ogni essere umano deve la sua esistenza. Veniamo al mondo come piccoli semi e in ciò non siamo diversi dagli alberi, dai fiori, dalle piante, dagli animali o dagli esseri alati. Ogni particella del nostro corpo contiene in sé tutte le cose messe a disposizione da Madre Terra: i minerali, l’acqua, il soffio del respiro.
Si parla tanto di ecologia, di azioni da compiere quotidianamente per evitare lo spreco e l’inquinamento, ma non basta. Bisogna riappropriarci del rapporto di cura e di rispetto nei confronti di colei che da sempre nutre amorevolmente le nostre vite.
Madre Terra è meravigliosa perché disegno perfetto di Colui che l’ha creata, sconfinata bellezza per coloro che sono in grado di vedere, luogo di prosperità per coloro che sanno rispettare.
Qui, in questo luogo, da alcuni anni abbiamo aperto uno spazio d’amore, rispetto e profonda gratitudine per Madre Terra, il pianeta vivente di cui sempre più sentiamo la Sacralità, nella natura, nei paesaggi, nell’aria che respiriamo e nel suolo su cui camminiamo ogni giorno.
Desideriamo promuovere un messaggio d’armonia con la natura, che parta dal rispetto di tutte le forme viventi, rispetto per gli animali, per le piante, le pietre e i corsi d’acqua poichè crediamo che nessuna forma di evoluzione sia possibile se non si basa su un senso di connessione profonda con tutti gli esseri viventi, animati e inanimati, e con il pianeta che ci ospita.
Vi è una profonda saggezza nella Terra, ed una forza di rigenerazione senza pari, continuerà la sua evoluzione di cui noi potremo fare parte solo se sapremo con amorevolezza prenderci cura di lei e di noi stessi con azioni di responsabilità. Gruppo di meditazione
animazione dei bambini
LA TERRA VISTA DALLA LUNA E DALLO SPAZIO NELLE PAROLE DEGLI ASTRONAUTI1
James Irvin: “La Terra ci ricorda un albero di Natale, appesa al fondo buio dell’universo; quanto più ce ne allontaniamo tanto più si rimpicciolisce, finché non si riduce ad una piccola palla, la più bella che si possa immaginare. Un oggetto vivo, caldo, che appare fragile e delicato…”.
Eugene Cernan: “Io sono stato l’ultimo uomo a mettere piede sulla Luna, nel dicembre del 1972. Dalla superficie lunare guardavo con meraviglia e timore reverenziale la Terra che emergeva da uno sfondo molto scuro. Quello che vedevo era troppo bello per essere capito…”
Joseph Allen: “Erano state fatte tante discussioni sui pro e i contro dei viaggi sulla Luna. Non ho mai sentito nessuno dire che bisognava andarci per veder la Terra da lassù. Ma alla fine dei conti, è questa la vera ragione che ci ha portati sulla Luna”.
Salam al-Saud: “Il primo e secondo giorno indicavamo con il dito il nostro paese; al terzo e quarto il nostro continente, al quinto giorno avevamo coscienza solo della Terra come un tutto”.
1 Leonrdo Boff, “Liberare la terra”, ed. EMI, 2014 e F.WHITE, The Overview Effect. Space Exploration and Human Evolution, Houghton Mifflin, Boston , 1987
Terra di Palestina
Terra di Palestina       La Terra rappresenta per il popolo palestinese la propria identità primaria, il fondamento della sua
Resteremo qui
stessa esistenza. Ogni azione di confisca della terra è
Sentinelle a guardia della
un attacco alla sua possibilità di sopravvivere.
nostra terra.
L'impatto della confisca delle terre, della costruzione Se avremo sete, degli insediamenti, delle strade di collegamento spremeremo le pietre. riservate ai coloni, dei posti di blocco e del muro di Se avremo fame, separazione sulla vita dei palestinesi della Cisgiordania mangeremo la terra è devastante: migliaia di persone sottoposte a ma non ce ne andremo. sgomberi forzati e illegali, limitato o negato accesso Abbiamo un passato, all'acqua, alle cure mediche, all'istruzione e al lavoro, un presente impossibilità di coltivare i propri terreni, restrizioni un futuro alla libertà di movimento, difficoltà di mantenere le
Qui, siamo nella nostra terra relazioni familiari.
ed è qui che cresceranno le Contro la confisca di migliaia di ettari di terra nostre radici palestinese, nel marzo del 1976 vi furono scioperi, in profondità. dimostrazioni di massa e proteste che si ripeterono
per giorni e che furono represse con violenza dalle
Tawfiq Zayyad
forze di occupazione. Il 30 marzo sulla folla si apriva il fuoco: sei manifestanti palestinesi venivano uccisi, centinaia feriti, picchiati e arrestati. Da allora lo scenario è ulteriormente peggiorato, le manifestazioni non violente contro la confisca delle terre continuano nei villaggi dei territori occupati, dove gli alberi di olivo vengono sradicati per far posto al muro, le case demolite per costruire nuove colonie illegali. La repressione armata e violenta dell'esercito è una costante che non fa notizia sui nostri media. Così la data del 30 marzo, dal 1976, si è fatta ricorrenza e in Palestina in quella data ogni anno si celebra la Giornata della Terra con una marcia verso Gerusalemme che vede la partecipazione di oltre un milione di persone, con la quale si tenta di far arrivare la Palestina nel mondo e il mondo in Palestina. Tantissimi i paesi, oltre 60, e le organizzazioni, oltre 700, che sostengono la marcia, ma una sola voce: “fine dell'occupazione, fine dell'apartheid, fine della confisca delle terre, no alla pulizia etnica e alla giudeizzazione della Palestina”. I Palestinesi continuano malgrado tutto a lottare e resistere in modo non violento, con speranza e tenacia, per affermare il loro diritto a vivere e lavorare sulla propria terra,
perché essa appartiene al popolo, ovunque essa si trovi. Vi sono molti modi di occuparla e calpestarla, piegandola ad interessi individuali e facendo proprio con la forza o con il denaro un bene collettivo, sia che questo avvenga con una linea ferroviaria, o attraverso il controllo mafioso o con un esercito di occupazione. La Palestina, diceva Vittorio Arrigoni, può essere anche sotto casa nostra. Ascolteremo ora la testimonianza di Maya, attivista per i diritti umani. Essa si reca spesso in Palestina con altri internazionali, non solo per solidarietà con la gente palestinese, ma per aiutare i contadini nei loro lavori e a superare le innumerevoli difficoltà che ogni giorno essi incontrano.
Le comunità di Terra Madre sostenute da Slow Food stanno realizzando in Africa orti familiari, scolastici, comunitari nei villaggi e nelle periferie delle città. Sono esperienze di agricoltura attente alle diverse realtà, che sostengono la sovranità alimentare delle comunità, valorizzano i prodotti locali, aiutano a gestire in modo sostenibile suolo e acqua; riuniscono generazioni
diverse, che custodiscono i saperi tradizionali ma promuovono anche nuove conoscenze.
Casella di testo: 1. Sono realizzati da una comunità Gli orti valorizzano le capacità di ogni membro della comunità, unendo le generazioni e gruppi sociali, recuperando il sapere degli anziani, mettendo a frutto l'energia e la creatività dei giovani, avvalendosi dei tecnici.  2. Si basano sull'osservazione Prima di fare un orto bisogna conoscere bene il terreno, le varietà vegetali più adatte al territorio, le fonti d'acqua disponibili. Occorre adattare l'orto alle caratteristiche del territorio, …e molto altro.  3. Non hanno bisogno di grandi spazi Osservando lo spazio con occhio creativo, si può scovare un campo adatto per l'orto nei luoghi più impensati: un tetto, un sentiero ...  4. Sono giardini di biodiversità Gli orti ospitano la biodiversità locale, che si è adattata al clima e al terreno. Varietà nutritive e resistenti, che non richiedono fertilizzanti chimici e pesticidi. E poi piante medicinali, erbe aromatiche, tanti alberi da frutto.  5. Producono i loro semi I semi sono selezionati e moltiplicati dalle comunità. Così, di anno in anno, le piante saranno più forti e adatte al proprio terreno e non si dovrà spendere denaro per acquistarli. 
6. Sono coltivati con metodi sostenibili Per combattere insetti nocivi o malattie si usano molti rimedi naturali (a base di erbe, fiori, cenere ...).  7. Preservano l'acqua: spirito di osservazione e creatività sono fondamentali. A volte basta una grondaia, una vasca o un serbatoio per raccogliere l'acqua piovana, così come le tecniche ecologiche per ridurre i consumi d'acqua ...  8. Sono aule all'aria aperta Gli orti sono opportunità per far conoscere le varietà vegetali autoctone, promuovere una dieta sana e varia, imparare a evitare le sostanze chimiche, valorizzare il lavoro dei contadini.  9. Sono utili, ma anche divertenti Gli orti sono uno strumento semplice ed economico per avere cibo sano e nutriente. Ma gli orti sono anche luoghi di giochi, feste e divertimento.  10. Sono in rete Gli orti vicini si scambiano semi. I più lontani si scambiano idee e informazioni. I coordinatori si incontrano, si scrivono, stringono legami di collaborazione e amicizia….
Una testimonianza: "Il progetto perché pensa al futuro: noi stiamo invecchiando e i giovani non vogliono più coltivare la terra. Chi nutrirà loro e i loro figli? Grazie per insegnare a questi ragazzi come coltivare il proprio cibo. Ora so che avranno da mangiare" Eliazari Magala, nonno (Uganda).
DALLA MIA TERRA ALLA TERRA -la storia di Sebastiao e Leila
Perché questa storia: Sebastiao Salgado è un fotografo di origine brasiliana. Le sue foto sono conosciute in tutto il mondo ma la sua storia, le sue scelte umane e professionali e il suo sguardo sul mondo sono poco note e, a nostro avviso, ci riguardano. Inoltre dopo aver attraversato un periodo difficile dovuto al dolore per le violenze e le distruzioni che aveva documentato per molti anni (un dolore che gli aveva fatto perdere la fiducia nell’umanità e la speranza e che lo aveva portato ad ammalarsi) ha trovato un percorso che gli ha ridato speranza e fiducia. Un percorso che ci sollecita. Per questo abbiamo voluto raccontare questa storia di nascita e rinascita, rifacendoci al libro “Dalla mia terra alla terra”, al film “Il sale della terra” e alla sua ultima mostra fotografica “Genesi”.
L’infanzia, la terra e la luce: Sebastiao è nato nel 1944 nello Stato di Minas Gerais in Brasile, nella grande e verdissima valle del Rio Doce. La sua famiglia possedeva una fattoria che dava lavoro e sostentamento a 30 famiglie; vi si producevano riso, mais, pomodori, patate, frutta; vi si allevavano maiali e bovini. Nessuno era ricco e nessuno era povero. Sebastiao ha vissuto l’infanzia a contatto con la natura della foresta atlantica ricchissima di biodiversità, di ogni tipo di piante e di animali; un territorio immenso dove ha imparato a percorrere a piedi anche grandi distanze.
Di questa terra ho ricordi meravigliosi. Giocavo nei grandi spazi, c’era acqua ovunque. Nuotavo nei corsi d’acqua che erano pieni di caimani, che non attaccano l’uomo contrariamente a quanto si crede. Avevo un cavallo … e io galoppavo fino al confine della tenuta […] Sono abituato ai grandi spazi e agli spostamenti: a dormire una notte in un posto, quella dopo in un altro. Quando ero molto giovane i miei genitori mi lasciavano andare a visitare le mie sorelle… già sposate, che abitavano lontano. Percorrevo da solo distanze equivalenti a quelle tra Parigi e Mosca. Le vie di comunicazione non erano facili. Una parte del tragitto si faceva a piedi. Così ho imparato molto presto a viaggiare”. […] Qui ho imparato a vedere e ad amare le luci che mi hanno seguito per tutta la vita. […] Sono cresciuto con le immagini di cieli carichi trafitti dalla luce. E queste luci sono entrate nella mie fotografie.
La formazione, la militanza politica, l’esilio: a 15 anni lascia la fattoria per andare nella capitale dello Stato di Espiritu Santo per iscriversi all’università. Qui vive con altri giovani, comincia a interessarsi di politica, trova un lavoro per mantenersi, si appassiona agli studi di economia, anche perché sono anni in cui cresce nei giovani il desiderio di dare il proprio contributo per far uscire il Brasile dall’arretratezza. Così scrive di Juscelino Kubitschek, presidente dal 1956 al 1961: “Con lui il Brasile ha iniziato a risvegliarsi da un lungo sonno di quattrocento anni e noi avevamo la sensazione di vivere in un paese nuovo. Come molti giovani, anch’io avevo voglia di partecipare a questo rinnovamento”. Presto si accorge dell’impoverimento delle popolazioni inurbate, delle disuguaglianze sociali, dei meccanismi economici che causano la povertà e partecipa attivamente a movimenti di lotta di matrice cristiano-marxista, ma dopo il golpe militare la situazione diventa così pericolosa che insieme a Leila che ha sposato nel 1967 è costretto all’esilio verso Parigi. Leila sarà la sua compagna nella vita e nella realizzazione concreta di gran parte delle sue mostre e reportage.
Dall’economia alla fotografia: A Parigi nonostante le prime difficoltà trova lavoro proprio grazie ai suoi studi di economia che gli aprono delle prospettive anche a livello internazionale, e infatti comincia a lavorare in Africa per conto dell’Organizzazione Internazionale del Caffè. Ma è proprio in
Africa che scopre di trarre maggiore soddisfazione nel documentare la realtà scattando fotografie, piuttosto che scrivendo relazioni. E così dopo un tempo d’incertezza nel 1973 decide di lasciare le buone prospettive di lavoro da economista per un incerto futuro da fotografo.
L’attenzione per i grandi temi del nostro tempo: Salgado dedica la sua attenzione ai grandi temi del nostro tempo: la povertà, lo sfruttamento del lavoro, le migrazioni dei popoli, i diritti degli indigeni, le guerre, gli effetti distruttivi dell’economia di mercato, le carestie. Non fotografa mai carpendo ai soggetti la loro immagine ma vive per molti mesi, e cammina per migliaia di chilometri, con le persone che intende fotografare, così che intuiscano il senso del suo lavoro e lo consentano. Le sue foto e le sue parole esprimono il senso del suo impegno ma mai retorica. Nel 1973 documenta la siccità e la carestia del Sahel; nel 1974 la guerra in Angola e Mozambico; nel 1977 vive per molti mesi con i popoli indigeni del Sudamerica (conoscendo anche le realtà di alcune comunità di base) realizzando il reportage Altre Americhe. Dal 1984 al 1986 documenta la carestia in Africa in collaborazione Medici senza Frontiere. Dal 1986 al 1992 mostra il lavoro di produzione industriale in 23 paesi e realizza la straordinaria raccolta La mano dell’uomo. Negli anni ’90 si dedica al tema delle migrazioni e camminando a fianco dei migranti per mesi e migliaia di Km realizza In cammino e Ritratti di bambini in cammino. Nel 1994 fotografa il genocidio nel Ruanda rimanendone sconvolto. L’ultimo lavoro “Genesi” mostra la grande bellezza del pianeta e costituisce un appello rivolto a tutti sull’urgenza di prendersi cura della Terra. Dal deserto della deforestazione alla rinascita: alla fine degli anni ’90 tutta la violenza che Sebastiao aveva assorbito in tanti anni lo portano ad ammalarsi nel fisico e nell’anima. Così decide di tornare in Brasile con la moglie Leila alla fattoria paterna ma lì trova un territorio devastato dalla deforestazione: dove tutto un tempo era verde ora c’è una sorta di suolo spoglio e sterile. Leila gli propone: “riportiamo questa valle al paradiso che era…”. Decidono di affrontare la situazione e di provare a riportare quel territorio al suo stato naturale di foresta pluviale subtropicale. Hanno cercato dei partner e fondi a livello nazionale e internazionale e hanno chiesto aiuto agli indios che conoscono le piante della zona, e hanno fondato un’organizzazione che si chiama Instituto Terra. Sono stati piantati più di 2 milioni di alberi di tante specie diverse native della foresta atlantica e più di 4 milioni di piantine sono quasi pronte per essere piantate. Quella terra sta tornando verde, il clima sta tornando normale ed è stato avvistato il giaguaro, l’ultimo anello della catena alimentare.
Con Leila e i nostri amici abbiamo piantato 2 milioni di alberi. Ma ciascuno può fare qualcosa, secondo le proprie possibilità. Basta sentirsi coinvolti. Leila e io non siamo ricchi. Ci siamo rifugiati in Francia, abbiamo lavorato. La fortuna a volte ci ha aiutato e oggi siamo fieri di poter ripiantare la foresta grazie al frutto del nostro lavoro e a coloro che ci hanno sostenuto. Ma soprattutto grazie alla nostra energia che ci proviene dalla certezza: tornare al pianeta è l’unico modo per vivere meglio.
Riflessione biblica
dal vangelo di Matteo 1,18-25
“Ecco come Gesù Cristo fu generato. Maria, sua madre, era fidanzata a Giuseppe: ora, prima che essi abitassero insieme, lei si trovò incinta per opera dello Spirito. Giuseppe, suo sposo, essendo un uomo giusto e non volendola esporre al pubblico discredito, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre egli meditava queste cose, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno dicendogli: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua sposa, perché quel che in lei è generato, è opera dello Spirito; essa partorirà un figlio al quale tu porrai nome Gesù. Egli infatti salverà il proprio popolo dai suoi peccati". Ora tutto questo avvenne affinché si adempisse ciò che il Signore aveva detto per mezzo del profeta: "Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, e lo chiameranno Emmanuel, che significa 'Dio con noi'". Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come l'angelo del Signore gli aveva comandato e condusse presso di sé la sua sposa, la quale, senza che egli la conoscesse (sessualmente), partorì un figlio, cui egli pose nome Gesù.
Il racconto della nascita di Gesù nel Vangelo secondo Matteo esce dagli schemi natalizi che col tempo ci siamo costruiti, sostanzialmente sulla base del racconto dell'evangelista Luca. Qui non c'è la coreografia della stalla e dei pastori con l'accompagnamento del coro degli angeli, che servono a Luca per sottolineare, oltre all'eccezionalità dell'evento, anche la sua dimensione divina. In Matteo è messo invece in evidenza un dramma personale, molto umano e frequente nel nostro mondo, di Giuseppe che si accorse che la propria fidanzata Maria era incinta, prima che entrambi andassero a vivere insieme. Bisogna ricordare che presso gli Ebrei il fidanzamento costituiva un vero e proprio contratto matrimoniale, ancorché i contraenti non potessero ancora coabitare, e da questo contratto matrimoniale si poteva recedere solo con un atto ufficiale di ripudio. In questo caso però si esponeva la ripudiata alla pubblica riprovazione, come donna adultera, che secondo la legge doveva subire come pena la lapidazione (cfr. Deut. 22,20s). Giuseppe viene definito "uomo giusto", cioè un individuo scrupoloso e osservante della Torah, la legge ebraica che era alla base della vita sociale. Egli quindi si trova in conflitto tra la propria coscienza, che non voleva screditare Maria davanti all'opinione pubblica e condannarla a morte (d'altra parte era legato affettivamente a lei) e l'osservanza della legge che lo obbligava a ripudiare la fidanzata. Cerca una via di fuga nel voler tenere il ripudio tutto segreto, ma questo non era certamente facile da realizzare, sia perché ci voleva per questo un atto pubblico, sia anche perché non era certamente facile che tutto ciò passasse inosservato in una piccola comunità come quella di Nazareth.Si può facilmente immaginare il dramma che scuote Giuseppe e che molto
probabilmente lo lascia insonne per diverso tempo. E quando finalmente riesce a prendere sonno, è tormentato da un incubo che lo agita ancora di più: c'è qualcuno ('angelo' in greco significa messaggero, annunciatore) che nel sogno gli suggerisce di non aver paura a prendere Maria come sposa, perché quello che è stato generato in lei è opera dello Spirito. In pratica gli viene suggerito di non osservare i dettami della legge, di trasgredire ciò che di più sacro ci poteva essere per un 'uomo giusto', e di accettare una situazione irregolare, in cui doveva riconoscere l'opera dello Spirito. Anzi si annuncia che il bambino che nascerà sarà un segno di salvezza per tutto il popolo; si chiamerà quindi Gesù (che significa 'Dio salva') e in lui si riconoscerà l'avveramento delle promesse profetiche che annunciavano che Dio sarebbe stato presente tra gli uomini. Non credo sia stato facile per un uomo molto religioso come Giuseppe accettare l'idea che una situazione irregolare, contro la legge mosaica, potesse essere un segno di salvezza per tutta la società, che un figlio per lui illegittimo potesse operare un cambiamento radicale nei rapporti umani. Era per lui una contraddizione in termini, al di fuori di quanto finora aveva creduto. Alla fine accetta di adottare Gesù non tanto perché effettivamente convinto che questa fosse la reale volontà di Dio, che lui concepiva come giudice del comportamento dell'individuo in base alla Torah, ma perché non aveva altra scelta, se escludeva la denuncia e la lapidazione della sua amata Maria in quanto adultera. E' molto difficile che l'essere umano capisca l'importanza di certe scelte nel presente; in genere se ne scopre il valore quando ricordiamo il passato e ricolleghiamo i vari fatti tra loro. Solo allora possiamo riconoscere l'opera dello Spirito, che non è legato ai nostri schemi culturali e sociali, ma è libero di soffiare dove e come vuole. La salvezza della società sta nel superamento di certi schemi attuali che non permettono all'individuo lo sviluppo della propria creatività e nemmeno un salto di qualità verso una migliore convivenza. L'irregolarità o anche l'illegittimità di certe situazioni possono essere elementi altamente positivi per tutti, nella misura in cui aprono ad un progetto di giustizia e di verità per tutto il popolo, per l'intera umanità. Così è stato per Gesù e il suo progetto di vita, che venne riconosciuto come un salto qualitativo nello sviluppo spirituale dell'umanità, tanto da considerare la sua persona come un sole che rinasce e che rivitalizza l'essere umano: per questo è stato scelto come data per la nascita di Gesù il 25 dicembre, che già era nell'impero romano la festa della luce, perché tale giorno rappresenta un punto di svolta del percorso del sole che riprende ad amplificare sempre più la durata della sua luce e dona all'essere umano la speranza in un futuro diverso. Gesù, nell'irregolarità della sua nascita e nel superamento degli schemi sociali esistenti al suo tempo, rappresenta un nuovo sole che dona a tutti la sua luce di verità, la speranza del superamento di tutti gli egoismi e di tutte le grettezze umane.
Lettura comunitaria
“Pane, quanto sei semplice e sublime, congiunzione di germe e di fuoco, tu sei azione dell'uomo, miracolo ripetuto, volontà di vita. Noi semineremo di grano la terra e i pianeti, pane per ogni bocca e per ogni uomo. Pane per tutti i popoli. Tutto ciò che ha forma e gusto di pane: la terra, la bellezza, l'amore... tutto è nato per essere condiviso, per essere dato, per moltiplicarsi..., Anche la vita avrà forma di pane, sarà semplice e sublime, innumerevole e pura. Tutti gli esseri avranno diritto alla terra e alla vita. Così sarà il pane di domani,il pane per ogni bocca, sacro, consacrato, perché sarà il prodotto della più lunga e della più dura lotta umana”.

Le parole del poeta Pablo Neruda ci aiutano a rendere viva e attuale la memoria di Gesù. Il quale, la sera prima di essere ucciso, durante la cena pasquale con i suoi, prese del pane, lo spezzò e lo distribuì loro dicendo: "Prendete e mangiatene tutti, questo è il segno del mio corpo che è donato per voi". Poi prese il calice del vino, lo diede ai suoi discepoli e disse: "Prendete e bevetene tutti, questo è il segno del sangue che viene donato per voi e per tutti; fate questo in memoria di me". Lo Spirito di Gesù e di tutti gli uomini di buona volontà, trasformi e renda efficaci questi segni, il pane e il vino spezzati e condivisi, ma anche le parole e gli scritti, i gesti di accoglienza reciproca, le mani simbolicamente intrecciate, gli sguardi di simpatia che s'incrociano, lo stupore di un cerchio che si rinnova in un luogo aperto senza protezioni né sicurezze.