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martedì 28 novembre 2006



Monira Rahman con l'interprete, martedi pomeriggio qui alle baracche. Un onore e un piacere.

(clicca sulla foto per ingrandire)



Monira Rahman con l'interprete, martedi pomeriggio qui alle baracche. Un onore e un piacere.

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domenica 26 novembre 2006

Comunità di base dell’Isolotto – Firenze, 26.11.2006

Le vie della partecipazione

riflessioni di Carlo, Claudia, Luisella, Maurizio, Moreno Biagioni

 

1.      Letture dal Vangelo

2.      Il filo rosso della partecipazione (intervento di Moreno Biagioni)

3.      La partecipazione dei Town Meeting

4.      La scuola e il Quartiere

5.      Alcuni prossimi appuntamenti

 

1.      Letture dal Vangelo

“In un giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano e i discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe e,sfregandole con le mani, ne mangiavano i chicchi. I Farisei gli dissero : “Vedi, perché essi fanno di sabato quello che non è permesso?”. Ma egli rispose loro: “ Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatar, e mangiò i pani della offerta, che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare, e ne diede anche ai suoi compagni?”.

E diceva loro: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato.”.  

                                                                                                                           [Marco, 2, 23-28]

 

“Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro, ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perché il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.” 

                                                                                                                           [Esodo, 20, 8-11]

 

Volendo introdurre il tema della partecipazione dei cittadini alla vita democratica (o meglio alla attività democratica) ci è sembrato che il brano del Vangelo sul rapporto fra uomo e sabato fosse pertinente: da una parte c’è la visione dei Farisei, per i quali il sabato è sacro per volere di Dio e gli uomini si devono assoggettare al precetto, dall’altro c’è la visione di Gesù che mette in primo piano l’uomo e rende sacro il sabato solo attraverso l’uomo.

Nel caso della partecipazione democratica si tratta, a nostro avviso, di rendere nuovamente i cittadini protagonisti e soggetti attivi dell’esercizio democratico e non solo votanti nel giorno delle elezioni, sacro per eccellenza alla democrazia.

Forse può servire a chiarire meglio questa idea un brano tratto dal libro “I barbari” di Alessandro Baricco: “Questa sensazione che la democrazia sia ormai una tecnica che gira a vuoto, celebrando un unico valore davvero riconoscibile, cioè se stessa. Non so se sia una mia perversione, o un sentire comune a molti. Ma certo si ha così spesso il dubbio che perfino i principi di libertà, uguaglianza e solidarietà che fondarono l’idea della democrazia siano per così dire scivolati sullo sfondo, e che l’unico valore effettivo della democrazia sia la democrazia. Quando si limitano le libertà individuali in nome della sicurezza. Quando si ammorbidiscono i principi morali per esportare con la guerra la democrazia. Quando si accorpa la complessità del sentire politico nella opposizione di due poli che, in realtà, si contendono un pugno di indecisi collocati in mezzo. Non è il trionfo della tecnica sui principi ? E non assomiglia sorprendentemente allo stesso possibile delirio barbaro, che rischia di santificare una semplice tecnica, rendendola una divinità appoggiata su un vuoto di contenuti ? Guardate negli occhi democrazia e barbarie: ci vedrete la stessa inclinazione a diventare meccanismi perfetti che scattano a ripetizione senza produrre null’altro che se stessi. Orologi che funzionano perfettamente, ma che non spostano nessuna lancetta.”

2.      Il filo rosso della partecipazione (intervento di Moreno Biagioni)

 

Un patrimonio che non va disperso- C’è un filo rosso che collega le varie esperienze sviluppatesi a Firenze dal 1966 al 1976 (i cui documenti e testimonianze cerchiamo faticosamente di raccogliere nel nostro Archivio) .

Si tratta, ovviamente - come intendiamo sommariamente presentare nella Mostra - di un qualcosa che viene da più lontano del fatidico, per i fiorentini, 1966 dell’alluvione; che non si arresta certo al 1976 (quando a Firenze vengono istituiti i Consigli di Quartiere); che costituisce un fattore propulsivo di progresso, le cui tracce si ritrovano, da tempi lontanissimi e nei luoghi più diversi, spesso con percorsi carsici, e con l’ostilità del potere, nel fluire delle migliaia di storie che vanno a comporre, intrecciandosi, la storia, quella scritta, dagli accademici, con tantodi esse maiuscola – e magari ridotta agli eventi riguardanti i potenti, i “padroni del vapore”, i grandi personaggi -.

Il filo consiste nella partecipazione, quella partecipazione che Giorgio Gaber, in una delle sue canzoni più “ispirate”, ha individuato come base portante della libertà.

Si può dire che a Firenze, nel decennio da noi preso in considerazione, si sia verificata una straordinaria combinazione di elementi per cui la partecipazione è divenuta, più che in altri momenti, l’asse intorno al quale è andato costruendosi un movimento ampio, diffuso, radicato sul territorio.

I comitati dell’alluvione– C’è sicuramente un insieme di presupposti e d’intenso lavoro

politico–culturale precedente che rende possibile, nei giorni successivi all’alluvione del 4 novembre 1966, la formazione di numerosi comitati di quartiere. Essi hanno i loro punti di riferimento nelle case del popolo e delle parrocchie, operano a stretto contatto di gomito, promuovono interventi comuni.

L’esigenza, conseguente alla calamità, di attivarsi concretamente fa superare di slancio gli ostacoli creati dai pregiudizi, dalle appartenenze, dalle ideologie.

Ma nell’esperienza di Firenze vi è molto di più di una risposta emotiva, umanamente apprezzabile, ma politicamente limitata, alle conseguenze di un evento disastroso: vi si riscontra infatti una consapevolezza, tutta politica, che si traduce in capacità organizzative, in forme di democrazia partecipata e di auto–governo, in momenti di confronto e di elaborazione di ampio respiro.

Con il lavoro dell’Archivio - e con la Mostra, la pubblicazione, il video che ne sono scaturiti – si è, in qualche modo, riparato ad un’omissione, che faceva dei Comitati, e di coloro che si erano impegnati in tali organismi, dei veri e propri “desparecidos” (tanto che poteva venire il dubbio, a quelli che vi avevano speso tempo ed energie, di essere state vittime di un’allucinazione collettiva). Le celebrazioni del quarantennale dell’alluvione si sono incentrate, infatti, sull’impegno meritorio degli “angeli del fango”, provenienti da tutto il mondo e anticipatori, anch’essi, dell’imminente ’68. Delle forme di autorganizzazione che i fiorentini seppero darsi in pochi si sono ricordati. Per questo un “pezzetto” della Mostra è intitolato, con un piccolo tocco di polemica e d’ironia, “non siamo angeli”.

Scuola e quartiere– E’ su questo terreno, già in fermento, che si innesta a Firenze il vento caldo del 68, con le sue parole d’ordine anti-autoritarie e anti-sistema, un vento che dà qui origine, e questa si connota come una peculiarità locale, ad attività continuative diffuse sul territorio che si protrarranno per un lasso di tempo abbastanza lungo.

Si tratta, in primo luogo, di interventi che hanno a che fare con il tema dell’educazione (si organizzano doposcuola e scuole popolari nei locali delle case del popolo e delle parrocchie – ritorna il binomio già collegato ai comitati di quartiere dell’alluvione -), sotto l’influsso del libro, uscito da poco, “Lettera ad una professoressa” della Scuola di Barbiana, in cui si denuncia con grande efficacia il classismo dell’organizzazione scolastica italiana, che dà spazio ai Pierini, figli delle classi agiate, e respinge, o comunque emargina, i Gianni, figli dei contadini e degli operai.

I doposcuola e le scuole popolari - ironia della sorte o, meglio, conseguenza di un diffuso desiderio di riscatto - sono animati essenzialmente proprio da insegnanti e studenti, dai colleghi cioè della professoressa a cui si rivolge la “Lettera” e dai Pierini che stanno facendo le scuole superiori e l’università.

E’ loro intenzione dare una mano a quelli che la scuola dell’obbligo ha già messo, o tende a mettere, in un canto, ma accanto all’impegno solidaristico vi è l’intento, tutto politico (che costituisce, fra l’altro, il dato più innovativo dell’esperienza – il fare scuola nell’ottica del mutuo soccorso ha radici lontane nella tradizione stessa dell’associazionismo operaio -), di suscitare la partecipazione dei lavoratori-genitori intorno a concreti obiettivi di trasformazione del sistema educativo italiano.

Si opera quindi intorno ad un punto decisivo per l’emancipazione delle classi subalterne, come si sarebbe detto un tempo: non a caso, a breve distanza di tempo, i sindacati porranno nelle loro piattaforme la rivendicazione delle 150 ore, cioè di spazi per lo studio retribuiti riconosciuti contrattualmente ai lavoratori.

Grande è l’attenzione di chi opera nei doposcuola e nelle scuole popolari - oltre che ai contenuti nuovi, da immettere nell’attività formativa, più vicini alla vita di tutti i giorni, agli avvenimenti contemporanei, alla storia, specie a quella degli ultimi decenni, vista anche con l’occhio dei vinti degli oppressi, degli ultimi – agli strumenti didattici da utilizzare per l’insegnamento sia delle materie umanistiche che di quelle scientifiche.

Per questo vengono presi contatti con le realtà all’avanguardia in tale campo, tipo il Movimento di Cooperazione Educativa ed il CEMEA.

Nel crogiolo fiorentino le vicende del movimento nato nei quartieri si intrecciano strettamente con quelle delle realtà di base religiose più impegnate sul piano sociale, e non in un’ottica puramente caritativa: nel 1968 esse avranno un momento di grande evidenza, a livello nazionale ed internazionale, con le vicende dell’Isolotto.

L’indirizzo prevalente, nell’ambito del movimento fiorentino, è quello del confronto–scontro con i livelli istituzionali (della “lunga marcia attraverso le istituzioni”, per riprendere un termine usato dal Movimento Studentesco e da Rudy Dutsche), del rapporto critico con le organizzazioni “ufficiali” della sinistra, dell’impulso costante ad ampliare l’area dei partecipanti alle attività, ai momenti di elaborazione, alle lotte.

Lo sviluppo del movimento ed i suoi punti qualificanti - Si accresce nel tempo la tendenza a radicarsi in maniera ancora più forte nei quartieri (si comincia, fra l’altro, a redigere un periodico con questo titolo, che esce, seppure in maniera discontinua, nel biennio 1971/1972), a costituire, accanto ai doposcuola, alle scuole popolari, alle associazioni di genitori, dei veri e propri comitati in grado di allargare il proprio raggio d’intervento dalla scuola – dalle lotte per l’edilizia scolastica e per la democratizzazione della scuola pubblica - alla necessità di spazi verdi attrezzati all’emergenza acqua ai problemi della salute all’azione per i servizi essenziali e per il decentramento amministrativo.

Si chiude una fase - E’ proprio con l’attuazione degli organi collegiali della scuola, in seguito ai “decreti delegati” (i rappresentanti dei genitori e, alle superiori, degli studenti entrano finalmente negli organismi scolastici), e con l’elezione diretta dei consigli di quartiere nel novembre del 1976 (Firenze, conquistata dalle sinistre alle elezioni dell’anno precedente, è la prima città che realizza tale tipo di decentramento) che si conclude, come si è già accennato, la stagione del movimento di quartiere fiorentino di cui, per sommi capi, abbiamo cercato di ripercorrere il cammino.

In tale periodo erano emerse una serie di indicazioni innovative, spesso soltanto abbozzate, che in qualche caso sarebbero riaffiorate nel futuro e che, comunque, danno l’impressione, riviste a distanza di tempo, di notevoli potenzialità, se sperimentate compiutamente (in altre parole, si sommano pionierismo, con i vizi connessi di evidenti semplificazioni e improvvisazioni, da un lato, e volontà di ricerca, nonché intuizioni, a volte davvero felici, dall’altro).

Dopo il 1976 si avvia una fase nuova, che si svilupperà essenzialmente negli anni 80, in cui la partecipazione viene messa in un canto e divengono prioritarie la governabilità, l’efficienza, spesso soltanto di facciata, la capacità di decidere velocemente – il cosiddetto decisionismo - (senza gli intralci - i lacci ed i lacciuoli - degli strumenti partecipativi) [la riforma delle istituzioni e della politica prenderanno decisamente un altro corso da quello auspicato dal movimento].

Una nuova stagione di movimenti - Sul finire del secolo breve ed all’inizio del 2000 i movimenti (pacifista, ambientalista, delle donne, antirazzista, per la tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori etc.) riprendono vigore. La partecipazione torna ad essere un fattore fondante della vita democratica.

Con il nostro lavoro, con il recupero, naturalmente parziale, della memoria di un periodo che spesso si tende a liquidare come se fosse soltanto una sequela di violenze, intendiamo:

-         ritrovare nel passato le radici della partecipazione, come vien detto nel titolo della Mostra (senza voler identificare però l’ieri con l’oggi),

-         portare un contributo alla costruzione di quella parte della storia della città e del suo territorio che di solito rimane nell’ombra,

-         fornire una traccia per successive ricerche sui diversi aspetti dell’altra Firenze (altra rispetto alla Firenze dei palazzi, dei poteri forti, delle vetrine) che vedono protagonisti le donne e gli uomini in carne ed ossa con la loro capacità di associarsi, di autorganizzarsi, di lottare per dare soluzione ai loro problemi quotidiani (ed anche in nome dell’utopia di un mondo diverso e possibile).

Solo il tempo potrà dirci se avremo raggiunto, anche parzialmente, qualcuno di questi obiettivi.

 

 

3. La partecipazione dei Town Meeting

 

Premessa: una nuova e particolare esperienza di partecipazione è quella dei Town Meeting, per l’esattezza dell’electronic Town Meeting che si è sperimentata anche in Toscana, a Massa Carrara sabato 18 novembre 2006 con lo scopo di definire i contenuti della futura legge sulla partecipazione che la Regione Toscana intende elaborare e adottare prossimamente. Si tratta di un’esperienza che ha suscitato interesse da parte di alcuni, ironia e scetticismo da altri e qualche aspra critica.

Ma prima di andare a vedere cosa è successo a Carrara e farcelo raccontare da Moreno che vi ha partecipato, vogliamo spiegare cos’è il Town Meeting anche con qualche riferimento storico. 

Cenni storici: I Town Meeting sono forme di governo locale nate circa 300 anni fa nelle piccole città nel nordest degli USA[1], nella regione del New England con lo scopo di discutere e definire le scelte della comunità. I TM in queste piccole città sono ancora presenti e nella forma “open” cioè aperta alla partecipazione di tutti i cittadini con diritto di voto, si svolgono, sostanzialmente così: 

·        I TM sono assemblee cittadine pubbliche che si tengono di solito 1 volta l'anno, per mezza o per l’intera giornata; si avvisa la cittadinanza dell’incontro almeno 1 mese prima;

·        Vengono discussi temi che riguardano il governo della città, da temi apparentemente secondari (l’acquisto di una spazzaneve) a temi fondamentali come l’intero bilancio cittadino. I temi da discutere sono proposti dagli amministratori o da gruppi di cittadini di almeno 10 persone;

·        le decisioni prese hanno valore vincolante per gli amministratori;

·        La partecipazione media dei cittadini al TM è generalmente del 20%[2] degli aventi diritto, ma nelle cittadine più piccole o in situazioni particolari arriva all’80%;

·        Le regole di svolgimento dell’assemblea sono discusse e decise prima in modo da rendere concreta ed efficace l’assemblea. La discussione e le decisioni sono prese così: il moderatore legge le proposte degli amministratori e le proposte dei cittadini, queste possono essere approvate oppure discusse, chiarite, emendate e quindi o approvate o abolite per voto diretto.

L’esperienza dei TM del New England, anche quando è stata adottata altrove, funziona sostanzialmente in piccole realtà. Per situazioni più ampie sono stati allora sperimentati i TM “rappresentativi”, dove le discussioni e le decisioni sono fatte da cittadini che rappresentano la cittadinanza (con i pregi e i difetti delle rappresentanze).

 

L’e-TM, l’evoluzione odierna dei Town Meeting: L’evoluzione degli ultimi anni dei Town Meeting è rappresentata dagli Elettronic-Town meeting, cioè grandi assemblee pubbliche dove la maggior difficoltà della discussione e dell’individuazioni di decisioni comuni, che si ha quando i partecipanti sono molti, è affrontata e risolta con strumenti tecnologici e informatici. L’e-TM è articolato in 3 fasi


  1. la prima fase è una fase di informazione, grazie a documenti ed esperti;

  2. nella seconda fase i partecipanti sono suddivisi i tanti piccoli tavoli di discussione (una decina di partecipanti per tavolo), la discussione è moderata da un facilitatore, i contenuti che emergono da ogni tavolo sono inviati attraverso un PC ad un tavolo centrale, dove vi sono persone che li sintetizzano e li rinviano all’attenzione dell’intera assemblea;

  3. nella terza fase, i temi sintetizzati e restituiti in forma di domande sono proposti a tutti i partecipanti, i quali si possono esprimere in modo diretto votando individualmente mediante tastierine apposite (polling keypads).


 

L’esperienza di Elettronic Town Meeting che ha avuto maggior risonanza è stata la cosiddetta “Listening to the city” (Ascoltando la città) che ha riunito 4.300 newyorkesi per discutere se, come e cosa ricostruire nell’area del World Trade Center dopo l’attentato dell’11 settembre 2001.

In Italia la prima esperienza di e-TM si è avuta a Torino in occasione delle Tregua Olimpica e la seconda esperienza si è tenuta a Massa-Carrara il 18 novembre 2006 per contribuire ad individuare i contenuti della futura legge regionale sulla partecipazione dei cittadini alle decisioni delle istituzioni.

 

L’esperienza del Town Meeting di Torino “Sottoscrivi una tregua”

A Torino, durante le Olimpiadi invernali 2006, l'assessorato alle Politiche giovanili ed alla Cooperazione Internazionale e Pace ha invitato i giovani di tutto il mondo a partecipare ad un incontro internazionale sui grandi temi dell'informazione, della pace, dello sviluppo e dell'integrazione. L’incontro ha coinvolto circa 2.000 ragazzi italiani e stranieri

L'obiettivo dell'incontro era quello di sperimentare una tregua dei conflitti tra persone che hanno opinioni, culture e fedi diverse e permettere che in questa tregua prevalessero l'ascolto, il dialogo, la riflessione. Alcuni dei più importanti esperti a livello mondiale hanno messo a disposizione saperi ed esperienze. I giovani si sono confrontati su tre temi principali:


  1. La situazione relativa all’informazione globale, i rischi di monopolio e le esigenze di pluralismo, i vecchi e i nuovi media, quelli del Nord e del Sud del mondo;

  2. Lo sviluppo e la lotta alla povertà, le politiche delle istituzioni internazionali e delle corporation confrontate con il lavoro delle ONG, il microcredito, il copyleft;

  3. Il meltin’ pot e l’integrazione reciproca delle diverse culture, lo scontro/incontro con le identità religiose, etniche, nazionali che resistono sia in Occidente che nel Sud del mondo.


Per attivare la maggior “partecipazione” possibile, è stato adottato, per la prima volta in Italia, lo strumento dell’Electronic Town Meeting [e-TM], che ha permesso ad oltre 2000 persone di discutere in piccoli gruppi, di essere aggiornati in tempo reale per via telematica dei risultati dei diversi tavoli di discussione; e infine di esprimersi individualmente con un voto telematico.

 

L’esperienza del Town Meeting di Massa Carrara

Mettiamo in comune materiali, immagini, commenti, articoli e l’esperienza diretta di Moreno Biagioni.

 

 

    4. La scuola e il Quartiere

 

Parlando delle radici della partecipazione non possiamo non parlare anche della storia delle scuole del nostro quartiere.

In occasione dell’incontro per l’inaugurazione dell’Archivio Storico della Comunità dell’Isolotto, Simonetta Soldani fece una bellissima relazione dal titolo   “Riflessioni su una scuola aperta al mondo” centrata sul cammino comune che docenti e genitori, insieme ai loro ragazzi, hanno compiuto nel nostro quartiere, “uniti -dice la Soldani- nel considerare la scuola come una società in miniatura impegnata a costruire un domani a misura d’uomo……ma anche come uno strumento formativo ed affermativo dei diritti di cittadinanza sia del singolo, sia della collettività…    le scuole dell’Isolotto hanno insegnato a tutti, grandi e piccoli, ad aprirsi alla diversità, a sentire, non in teoria ma nella pratica quotidiana, il confronto come una ricchezza …….sono state luogo e strumento ideale per sperimentare nuove forme d’incontro, di valorizzazione delle convinzioni e delle capacità di ciascuno, di educazione ad una cittadinanza consapevole e multipla dove l’attenzione al microcosmo del quartiere faceva tutt’uno con l’attenzione ai drammi e ai problemi del mondo, dando vita ad una scuola dove la sperimentazione pedagogica e didattica era sempre intrisa di un senso civico e di politicità…. Le scuole dell’Isolotto hanno ricevuto nella loro giovinezza un imprinting che in qualche modo si è perpetuato nel tempo e che si esprime in una marcata apertura alle innovazioni, alla valorizzazione delle differenze, al rispetto delle diverse culture, ad una non ingenua né banale fiducia nelle possibilità di costruire un mondo migliore e attento ai bisogni dei più”

 

E, proprio per non disperdere questo patrimonio, per ricordare il clima di quegli anni, recentemente è stato fatto un grosso lavoro che ha visto le varie scuole dell’Isolotto impegnate in una ricerca sulla memoria storica perché ciascuna delineasse la propria identità individuale e collettiva.

Si è trattato di ricostruire il percorso compiuto da ogni singola scuola dall’inaugurazione dell’edificio ad oggi, curando soprattutto gli aspetti pedagogico-didattici, le sperimentazioni attuate, i primi passi degli organi collegiali, i rapporti e l’interazione con realtà presenti nel territorio; sono stati raccolti materiali di vario genere: documenti, lavori svolti, fotografie, video, frugando negli archivi delle scuole, ma soprattutto nei ricordi di chi ha vissuto quelle bellissime esperienze, sono stati intervistati: alunni e  genitori, custodi, docenti e dirigenti scolastici.

Il risultato di questo lavoro verrà presentato il 2 Dicembre alla scuola elementare Montagnola in un convegno che ha per titolo “La scuola e il quartiere”.

 In quell’occasione inoltre verrà presentato anche un film inedito del maestro Luciano Gori 

 

      

4. Alcuni prossimi appuntamenti

 

Le radici della partecipazione : Firenze e il suo territorio:

Dai comitati di quartiere ai consigli di quartiere 1966/1976

Firenze, sala vetrata delle Murate, piazza Madonna della neve dal 24 novembre al 12 dicembre 2006

 

La scuola e il quartiere : l’esperienza dell’isolotto

Convegno, Firenze, scuola elementare la Montagnola, 2 dicembre 2006 ore 9 - 13

Interventi di:

Doriano Bizzarri, dirigente scolastico

Giuseppe D’Eugenio, presidente del consiglio di quartiere 4

Franco Quercioli : il segno dei movimenti, il senso di una ricerca

Elda Padalino e Paola Lucarini :il percorso delle scuole

Arabella Panichi : l’ipotesi di un archivio

Dario ragazzini : l’esperienza fiorentina nella storia della scuola

Daniela Lastri : il significato di una esperienza in una città che cambia

“il maestro Luciano” : Mauro Sbordoni e i ragazzi di Luciano presentano Tutti uniti, un film inedito di Luciano Gori

 

Legge sulla partecipazione: dal Town Meeting al Consiglio RegionaleGiovedì 30 novembre ore 21 - Circolo Arci Il Progresso - via Vittorio Emanuele 135

Relazioni di:

Paul Ginsborg, la Toscana e  la cultura della partecipazione

Sara Nocentini, Legge sulla partecipazione: luci e ombre del percorso regionale

Chiara Cudia, Partecipazione in Toscana: cosa potrà fare una legge regionale?

Partecipano:  Moreno Biagioni, Bianca Camiciottoli, Ubaldo Ceccoli, Tommaso Fattori,

Francesca Fondelli, Alberto Magnaghi, Anna Picciolini, Alessandro Santoro e

i consiglieri regionali Mario Lupi, Marco Montemagni e Monica Sgherri
.







[1] Vermont, Connecticut, Maine, Rhode Island e Massachussets.



[2] Il 20% può sembrare un valore molto basso, ma negli USA spesso, specie quanto alle votazioni locali non si accompagna il voto statale o presidenziale, la partecipazione è molto più bassa.

 


Comunità di base dell’Isolotto – Firenze, 26.11.2006

Le vie della partecipazione

riflessioni di Carlo, Claudia, Luisella, Maurizio, Moreno Biagioni

 

1.      Letture dal Vangelo

2.      Il filo rosso della partecipazione (intervento di Moreno Biagioni)

3.      La partecipazione dei Town Meeting

4.      La scuola e il Quartiere

5.      Alcuni prossimi appuntamenti

 

1.      Letture dal Vangelo

“In un giorno di sabato Gesù passava per i campi di grano e i discepoli, camminando, cominciarono a strappare le spighe e,sfregandole con le mani, ne mangiavano i chicchi. I Farisei gli dissero : “Vedi, perché essi fanno di sabato quello che non è permesso?”. Ma egli rispose loro: “ Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatar, e mangiò i pani della offerta, che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare, e ne diede anche ai suoi compagni?”.

E diceva loro: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! Perciò il Figlio dell’uomo è signore anche del sabato.”.  

                                                                                                                           [Marco, 2, 23-28]

 

“Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro, ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perché il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.” 

                                                                                                                           [Esodo, 20, 8-11]

 

Volendo introdurre il tema della partecipazione dei cittadini alla vita democratica (o meglio alla attività democratica) ci è sembrato che il brano del Vangelo sul rapporto fra uomo e sabato fosse pertinente: da una parte c’è la visione dei Farisei, per i quali il sabato è sacro per volere di Dio e gli uomini si devono assoggettare al precetto, dall’altro c’è la visione di Gesù che mette in primo piano l’uomo e rende sacro il sabato solo attraverso l’uomo.

Nel caso della partecipazione democratica si tratta, a nostro avviso, di rendere nuovamente i cittadini protagonisti e soggetti attivi dell’esercizio democratico e non solo votanti nel giorno delle elezioni, sacro per eccellenza alla democrazia.

Forse può servire a chiarire meglio questa idea un brano tratto dal libro “I barbari” di Alessandro Baricco: “Questa sensazione che la democrazia sia ormai una tecnica che gira a vuoto, celebrando un unico valore davvero riconoscibile, cioè se stessa. Non so se sia una mia perversione, o un sentire comune a molti. Ma certo si ha così spesso il dubbio che perfino i principi di libertà, uguaglianza e solidarietà che fondarono l’idea della democrazia siano per così dire scivolati sullo sfondo, e che l’unico valore effettivo della democrazia sia la democrazia. Quando si limitano le libertà individuali in nome della sicurezza. Quando si ammorbidiscono i principi morali per esportare con la guerra la democrazia. Quando si accorpa la complessità del sentire politico nella opposizione di due poli che, in realtà, si contendono un pugno di indecisi collocati in mezzo. Non è il trionfo della tecnica sui principi ? E non assomiglia sorprendentemente allo stesso possibile delirio barbaro, che rischia di santificare una semplice tecnica, rendendola una divinità appoggiata su un vuoto di contenuti ? Guardate negli occhi democrazia e barbarie: ci vedrete la stessa inclinazione a diventare meccanismi perfetti che scattano a ripetizione senza produrre null’altro che se stessi. Orologi che funzionano perfettamente, ma che non spostano nessuna lancetta.”

2.      Il filo rosso della partecipazione (intervento di Moreno Biagioni)

 

Un patrimonio che non va disperso- C’è un filo rosso che collega le varie esperienze sviluppatesi a Firenze dal 1966 al 1976 (i cui documenti e testimonianze cerchiamo faticosamente di raccogliere nel nostro Archivio) .

Si tratta, ovviamente - come intendiamo sommariamente presentare nella Mostra - di un qualcosa che viene da più lontano del fatidico, per i fiorentini, 1966 dell’alluvione; che non si arresta certo al 1976 (quando a Firenze vengono istituiti i Consigli di Quartiere); che costituisce un fattore propulsivo di progresso, le cui tracce si ritrovano, da tempi lontanissimi e nei luoghi più diversi, spesso con percorsi carsici, e con l’ostilità del potere, nel fluire delle migliaia di storie che vanno a comporre, intrecciandosi, la storia, quella scritta, dagli accademici, con tantodi esse maiuscola – e magari ridotta agli eventi riguardanti i potenti, i “padroni del vapore”, i grandi personaggi -.

Il filo consiste nella partecipazione, quella partecipazione che Giorgio Gaber, in una delle sue canzoni più “ispirate”, ha individuato come base portante della libertà.

Si può dire che a Firenze, nel decennio da noi preso in considerazione, si sia verificata una straordinaria combinazione di elementi per cui la partecipazione è divenuta, più che in altri momenti, l’asse intorno al quale è andato costruendosi un movimento ampio, diffuso, radicato sul territorio.

I comitati dell’alluvione– C’è sicuramente un insieme di presupposti e d’intenso lavoro

politico–culturale precedente che rende possibile, nei giorni successivi all’alluvione del 4 novembre 1966, la formazione di numerosi comitati di quartiere. Essi hanno i loro punti di riferimento nelle case del popolo e delle parrocchie, operano a stretto contatto di gomito, promuovono interventi comuni.

L’esigenza, conseguente alla calamità, di attivarsi concretamente fa superare di slancio gli ostacoli creati dai pregiudizi, dalle appartenenze, dalle ideologie.

Ma nell’esperienza di Firenze vi è molto di più di una risposta emotiva, umanamente apprezzabile, ma politicamente limitata, alle conseguenze di un evento disastroso: vi si riscontra infatti una consapevolezza, tutta politica, che si traduce in capacità organizzative, in forme di democrazia partecipata e di auto–governo, in momenti di confronto e di elaborazione di ampio respiro.

Con il lavoro dell’Archivio - e con la Mostra, la pubblicazione, il video che ne sono scaturiti – si è, in qualche modo, riparato ad un’omissione, che faceva dei Comitati, e di coloro che si erano impegnati in tali organismi, dei veri e propri “desparecidos” (tanto che poteva venire il dubbio, a quelli che vi avevano speso tempo ed energie, di essere state vittime di un’allucinazione collettiva). Le celebrazioni del quarantennale dell’alluvione si sono incentrate, infatti, sull’impegno meritorio degli “angeli del fango”, provenienti da tutto il mondo e anticipatori, anch’essi, dell’imminente ’68. Delle forme di autorganizzazione che i fiorentini seppero darsi in pochi si sono ricordati. Per questo un “pezzetto” della Mostra è intitolato, con un piccolo tocco di polemica e d’ironia, “non siamo angeli”.

Scuola e quartiere– E’ su questo terreno, già in fermento, che si innesta a Firenze il vento caldo del 68, con le sue parole d’ordine anti-autoritarie e anti-sistema, un vento che dà qui origine, e questa si connota come una peculiarità locale, ad attività continuative diffuse sul territorio che si protrarranno per un lasso di tempo abbastanza lungo.

Si tratta, in primo luogo, di interventi che hanno a che fare con il tema dell’educazione (si organizzano doposcuola e scuole popolari nei locali delle case del popolo e delle parrocchie – ritorna il binomio già collegato ai comitati di quartiere dell’alluvione -), sotto l’influsso del libro, uscito da poco, “Lettera ad una professoressa” della Scuola di Barbiana, in cui si denuncia con grande efficacia il classismo dell’organizzazione scolastica italiana, che dà spazio ai Pierini, figli delle classi agiate, e respinge, o comunque emargina, i Gianni, figli dei contadini e degli operai.

I doposcuola e le scuole popolari - ironia della sorte o, meglio, conseguenza di un diffuso desiderio di riscatto - sono animati essenzialmente proprio da insegnanti e studenti, dai colleghi cioè della professoressa a cui si rivolge la “Lettera” e dai Pierini che stanno facendo le scuole superiori e l’università.

E’ loro intenzione dare una mano a quelli che la scuola dell’obbligo ha già messo, o tende a mettere, in un canto, ma accanto all’impegno solidaristico vi è l’intento, tutto politico (che costituisce, fra l’altro, il dato più innovativo dell’esperienza – il fare scuola nell’ottica del mutuo soccorso ha radici lontane nella tradizione stessa dell’associazionismo operaio -), di suscitare la partecipazione dei lavoratori-genitori intorno a concreti obiettivi di trasformazione del sistema educativo italiano.

Si opera quindi intorno ad un punto decisivo per l’emancipazione delle classi subalterne, come si sarebbe detto un tempo: non a caso, a breve distanza di tempo, i sindacati porranno nelle loro piattaforme la rivendicazione delle 150 ore, cioè di spazi per lo studio retribuiti riconosciuti contrattualmente ai lavoratori.

Grande è l’attenzione di chi opera nei doposcuola e nelle scuole popolari - oltre che ai contenuti nuovi, da immettere nell’attività formativa, più vicini alla vita di tutti i giorni, agli avvenimenti contemporanei, alla storia, specie a quella degli ultimi decenni, vista anche con l’occhio dei vinti degli oppressi, degli ultimi – agli strumenti didattici da utilizzare per l’insegnamento sia delle materie umanistiche che di quelle scientifiche.

Per questo vengono presi contatti con le realtà all’avanguardia in tale campo, tipo il Movimento di Cooperazione Educativa ed il CEMEA.

Nel crogiolo fiorentino le vicende del movimento nato nei quartieri si intrecciano strettamente con quelle delle realtà di base religiose più impegnate sul piano sociale, e non in un’ottica puramente caritativa: nel 1968 esse avranno un momento di grande evidenza, a livello nazionale ed internazionale, con le vicende dell’Isolotto.

L’indirizzo prevalente, nell’ambito del movimento fiorentino, è quello del confronto–scontro con i livelli istituzionali (della “lunga marcia attraverso le istituzioni”, per riprendere un termine usato dal Movimento Studentesco e da Rudy Dutsche), del rapporto critico con le organizzazioni “ufficiali” della sinistra, dell’impulso costante ad ampliare l’area dei partecipanti alle attività, ai momenti di elaborazione, alle lotte.

Lo sviluppo del movimento ed i suoi punti qualificanti - Si accresce nel tempo la tendenza a radicarsi in maniera ancora più forte nei quartieri (si comincia, fra l’altro, a redigere un periodico con questo titolo, che esce, seppure in maniera discontinua, nel biennio 1971/1972), a costituire, accanto ai doposcuola, alle scuole popolari, alle associazioni di genitori, dei veri e propri comitati in grado di allargare il proprio raggio d’intervento dalla scuola – dalle lotte per l’edilizia scolastica e per la democratizzazione della scuola pubblica - alla necessità di spazi verdi attrezzati all’emergenza acqua ai problemi della salute all’azione per i servizi essenziali e per il decentramento amministrativo.

Si chiude una fase - E’ proprio con l’attuazione degli organi collegiali della scuola, in seguito ai “decreti delegati” (i rappresentanti dei genitori e, alle superiori, degli studenti entrano finalmente negli organismi scolastici), e con l’elezione diretta dei consigli di quartiere nel novembre del 1976 (Firenze, conquistata dalle sinistre alle elezioni dell’anno precedente, è la prima città che realizza tale tipo di decentramento) che si conclude, come si è già accennato, la stagione del movimento di quartiere fiorentino di cui, per sommi capi, abbiamo cercato di ripercorrere il cammino.

In tale periodo erano emerse una serie di indicazioni innovative, spesso soltanto abbozzate, che in qualche caso sarebbero riaffiorate nel futuro e che, comunque, danno l’impressione, riviste a distanza di tempo, di notevoli potenzialità, se sperimentate compiutamente (in altre parole, si sommano pionierismo, con i vizi connessi di evidenti semplificazioni e improvvisazioni, da un lato, e volontà di ricerca, nonché intuizioni, a volte davvero felici, dall’altro).

Dopo il 1976 si avvia una fase nuova, che si svilupperà essenzialmente negli anni 80, in cui la partecipazione viene messa in un canto e divengono prioritarie la governabilità, l’efficienza, spesso soltanto di facciata, la capacità di decidere velocemente – il cosiddetto decisionismo - (senza gli intralci - i lacci ed i lacciuoli - degli strumenti partecipativi) [la riforma delle istituzioni e della politica prenderanno decisamente un altro corso da quello auspicato dal movimento].

Una nuova stagione di movimenti - Sul finire del secolo breve ed all’inizio del 2000 i movimenti (pacifista, ambientalista, delle donne, antirazzista, per la tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori etc.) riprendono vigore. La partecipazione torna ad essere un fattore fondante della vita democratica.

Con il nostro lavoro, con il recupero, naturalmente parziale, della memoria di un periodo che spesso si tende a liquidare come se fosse soltanto una sequela di violenze, intendiamo:

-         ritrovare nel passato le radici della partecipazione, come vien detto nel titolo della Mostra (senza voler identificare però l’ieri con l’oggi),

-         portare un contributo alla costruzione di quella parte della storia della città e del suo territorio che di solito rimane nell’ombra,

-         fornire una traccia per successive ricerche sui diversi aspetti dell’altra Firenze (altra rispetto alla Firenze dei palazzi, dei poteri forti, delle vetrine) che vedono protagonisti le donne e gli uomini in carne ed ossa con la loro capacità di associarsi, di autorganizzarsi, di lottare per dare soluzione ai loro problemi quotidiani (ed anche in nome dell’utopia di un mondo diverso e possibile).

Solo il tempo potrà dirci se avremo raggiunto, anche parzialmente, qualcuno di questi obiettivi.

 

 

3. La partecipazione dei Town Meeting

 

Premessa: una nuova e particolare esperienza di partecipazione è quella dei Town Meeting, per l’esattezza dell’electronic Town Meeting che si è sperimentata anche in Toscana, a Massa Carrara sabato 18 novembre 2006 con lo scopo di definire i contenuti della futura legge sulla partecipazione che la Regione Toscana intende elaborare e adottare prossimamente. Si tratta di un’esperienza che ha suscitato interesse da parte di alcuni, ironia e scetticismo da altri e qualche aspra critica.

Ma prima di andare a vedere cosa è successo a Carrara e farcelo raccontare da Moreno che vi ha partecipato, vogliamo spiegare cos’è il Town Meeting anche con qualche riferimento storico. 

Cenni storici: I Town Meeting sono forme di governo locale nate circa 300 anni fa nelle piccole città nel nordest degli USA[1], nella regione del New England con lo scopo di discutere e definire le scelte della comunità. I TM in queste piccole città sono ancora presenti e nella forma “open” cioè aperta alla partecipazione di tutti i cittadini con diritto di voto, si svolgono, sostanzialmente così: 

·        I TM sono assemblee cittadine pubbliche che si tengono di solito 1 volta l'anno, per mezza o per l’intera giornata; si avvisa la cittadinanza dell’incontro almeno 1 mese prima;

·        Vengono discussi temi che riguardano il governo della città, da temi apparentemente secondari (l’acquisto di una spazzaneve) a temi fondamentali come l’intero bilancio cittadino. I temi da discutere sono proposti dagli amministratori o da gruppi di cittadini di almeno 10 persone;

·        le decisioni prese hanno valore vincolante per gli amministratori;

·        La partecipazione media dei cittadini al TM è generalmente del 20%[2] degli aventi diritto, ma nelle cittadine più piccole o in situazioni particolari arriva all’80%;

·        Le regole di svolgimento dell’assemblea sono discusse e decise prima in modo da rendere concreta ed efficace l’assemblea. La discussione e le decisioni sono prese così: il moderatore legge le proposte degli amministratori e le proposte dei cittadini, queste possono essere approvate oppure discusse, chiarite, emendate e quindi o approvate o abolite per voto diretto.

L’esperienza dei TM del New England, anche quando è stata adottata altrove, funziona sostanzialmente in piccole realtà. Per situazioni più ampie sono stati allora sperimentati i TM “rappresentativi”, dove le discussioni e le decisioni sono fatte da cittadini che rappresentano la cittadinanza (con i pregi e i difetti delle rappresentanze).

 

L’e-TM, l’evoluzione odierna dei Town Meeting: L’evoluzione degli ultimi anni dei Town Meeting è rappresentata dagli Elettronic-Town meeting, cioè grandi assemblee pubbliche dove la maggior difficoltà della discussione e dell’individuazioni di decisioni comuni, che si ha quando i partecipanti sono molti, è affrontata e risolta con strumenti tecnologici e informatici. L’e-TM è articolato in 3 fasi


  1. la prima fase è una fase di informazione, grazie a documenti ed esperti;

  2. nella seconda fase i partecipanti sono suddivisi i tanti piccoli tavoli di discussione (una decina di partecipanti per tavolo), la discussione è moderata da un facilitatore, i contenuti che emergono da ogni tavolo sono inviati attraverso un PC ad un tavolo centrale, dove vi sono persone che li sintetizzano e li rinviano all’attenzione dell’intera assemblea;

  3. nella terza fase, i temi sintetizzati e restituiti in forma di domande sono proposti a tutti i partecipanti, i quali si possono esprimere in modo diretto votando individualmente mediante tastierine apposite (polling keypads).


 

L’esperienza di Elettronic Town Meeting che ha avuto maggior risonanza è stata la cosiddetta “Listening to the city” (Ascoltando la città) che ha riunito 4.300 newyorkesi per discutere se, come e cosa ricostruire nell’area del World Trade Center dopo l’attentato dell’11 settembre 2001.

In Italia la prima esperienza di e-TM si è avuta a Torino in occasione delle Tregua Olimpica e la seconda esperienza si è tenuta a Massa-Carrara il 18 novembre 2006 per contribuire ad individuare i contenuti della futura legge regionale sulla partecipazione dei cittadini alle decisioni delle istituzioni.

 

L’esperienza del Town Meeting di Torino “Sottoscrivi una tregua”

A Torino, durante le Olimpiadi invernali 2006, l'assessorato alle Politiche giovanili ed alla Cooperazione Internazionale e Pace ha invitato i giovani di tutto il mondo a partecipare ad un incontro internazionale sui grandi temi dell'informazione, della pace, dello sviluppo e dell'integrazione. L’incontro ha coinvolto circa 2.000 ragazzi italiani e stranieri

L'obiettivo dell'incontro era quello di sperimentare una tregua dei conflitti tra persone che hanno opinioni, culture e fedi diverse e permettere che in questa tregua prevalessero l'ascolto, il dialogo, la riflessione. Alcuni dei più importanti esperti a livello mondiale hanno messo a disposizione saperi ed esperienze. I giovani si sono confrontati su tre temi principali:


  1. La situazione relativa all’informazione globale, i rischi di monopolio e le esigenze di pluralismo, i vecchi e i nuovi media, quelli del Nord e del Sud del mondo;

  2. Lo sviluppo e la lotta alla povertà, le politiche delle istituzioni internazionali e delle corporation confrontate con il lavoro delle ONG, il microcredito, il copyleft;

  3. Il meltin’ pot e l’integrazione reciproca delle diverse culture, lo scontro/incontro con le identità religiose, etniche, nazionali che resistono sia in Occidente che nel Sud del mondo.


Per attivare la maggior “partecipazione” possibile, è stato adottato, per la prima volta in Italia, lo strumento dell’Electronic Town Meeting [e-TM], che ha permesso ad oltre 2000 persone di discutere in piccoli gruppi, di essere aggiornati in tempo reale per via telematica dei risultati dei diversi tavoli di discussione; e infine di esprimersi individualmente con un voto telematico.

 

L’esperienza del Town Meeting di Massa Carrara

Mettiamo in comune materiali, immagini, commenti, articoli e l’esperienza diretta di Moreno Biagioni.

 

 

    4. La scuola e il Quartiere

 

Parlando delle radici della partecipazione non possiamo non parlare anche della storia delle scuole del nostro quartiere.

In occasione dell’incontro per l’inaugurazione dell’Archivio Storico della Comunità dell’Isolotto, Simonetta Soldani fece una bellissima relazione dal titolo   “Riflessioni su una scuola aperta al mondo” centrata sul cammino comune che docenti e genitori, insieme ai loro ragazzi, hanno compiuto nel nostro quartiere, “uniti -dice la Soldani- nel considerare la scuola come una società in miniatura impegnata a costruire un domani a misura d’uomo……ma anche come uno strumento formativo ed affermativo dei diritti di cittadinanza sia del singolo, sia della collettività…    le scuole dell’Isolotto hanno insegnato a tutti, grandi e piccoli, ad aprirsi alla diversità, a sentire, non in teoria ma nella pratica quotidiana, il confronto come una ricchezza …….sono state luogo e strumento ideale per sperimentare nuove forme d’incontro, di valorizzazione delle convinzioni e delle capacità di ciascuno, di educazione ad una cittadinanza consapevole e multipla dove l’attenzione al microcosmo del quartiere faceva tutt’uno con l’attenzione ai drammi e ai problemi del mondo, dando vita ad una scuola dove la sperimentazione pedagogica e didattica era sempre intrisa di un senso civico e di politicità…. Le scuole dell’Isolotto hanno ricevuto nella loro giovinezza un imprinting che in qualche modo si è perpetuato nel tempo e che si esprime in una marcata apertura alle innovazioni, alla valorizzazione delle differenze, al rispetto delle diverse culture, ad una non ingenua né banale fiducia nelle possibilità di costruire un mondo migliore e attento ai bisogni dei più”

 

E, proprio per non disperdere questo patrimonio, per ricordare il clima di quegli anni, recentemente è stato fatto un grosso lavoro che ha visto le varie scuole dell’Isolotto impegnate in una ricerca sulla memoria storica perché ciascuna delineasse la propria identità individuale e collettiva.

Si è trattato di ricostruire il percorso compiuto da ogni singola scuola dall’inaugurazione dell’edificio ad oggi, curando soprattutto gli aspetti pedagogico-didattici, le sperimentazioni attuate, i primi passi degli organi collegiali, i rapporti e l’interazione con realtà presenti nel territorio; sono stati raccolti materiali di vario genere: documenti, lavori svolti, fotografie, video, frugando negli archivi delle scuole, ma soprattutto nei ricordi di chi ha vissuto quelle bellissime esperienze, sono stati intervistati: alunni e  genitori, custodi, docenti e dirigenti scolastici.

Il risultato di questo lavoro verrà presentato il 2 Dicembre alla scuola elementare Montagnola in un convegno che ha per titolo “La scuola e il quartiere”.

 In quell’occasione inoltre verrà presentato anche un film inedito del maestro Luciano Gori 

 

      

4. Alcuni prossimi appuntamenti

 

Le radici della partecipazione : Firenze e il suo territorio:

Dai comitati di quartiere ai consigli di quartiere 1966/1976

Firenze, sala vetrata delle Murate, piazza Madonna della neve dal 24 novembre al 12 dicembre 2006

 

La scuola e il quartiere : l’esperienza dell’isolotto

Convegno, Firenze, scuola elementare la Montagnola, 2 dicembre 2006 ore 9 - 13

Interventi di:

Doriano Bizzarri, dirigente scolastico

Giuseppe D’Eugenio, presidente del consiglio di quartiere 4

Franco Quercioli : il segno dei movimenti, il senso di una ricerca

Elda Padalino e Paola Lucarini :il percorso delle scuole

Arabella Panichi : l’ipotesi di un archivio

Dario ragazzini : l’esperienza fiorentina nella storia della scuola

Daniela Lastri : il significato di una esperienza in una città che cambia

“il maestro Luciano” : Mauro Sbordoni e i ragazzi di Luciano presentano Tutti uniti, un film inedito di Luciano Gori

 

Legge sulla partecipazione: dal Town Meeting al Consiglio RegionaleGiovedì 30 novembre ore 21 - Circolo Arci Il Progresso - via Vittorio Emanuele 135

Relazioni di:

Paul Ginsborg, la Toscana e  la cultura della partecipazione

Sara Nocentini, Legge sulla partecipazione: luci e ombre del percorso regionale

Chiara Cudia, Partecipazione in Toscana: cosa potrà fare una legge regionale?

Partecipano:  Moreno Biagioni, Bianca Camiciottoli, Ubaldo Ceccoli, Tommaso Fattori,

Francesca Fondelli, Alberto Magnaghi, Anna Picciolini, Alessandro Santoro e

i consiglieri regionali Mario Lupi, Marco Montemagni e Monica Sgherri
.







[1] Vermont, Connecticut, Maine, Rhode Island e Massachussets.



[2] Il 20% può sembrare un valore molto basso, ma negli USA spesso, specie quanto alle votazioni locali non si accompagna il voto statale o presidenziale, la partecipazione è molto più bassa.

 


sabato 25 novembre 2006


 MONIRA RAHMAN A FIRENZE IL 28 NOVEMBRE


Monira Rahman sara' all'Isolotto di Firenze per incontrare la popolazione

del quartiere presso le "Baracche", via degli Aceri 1, martedi' 28 novembre

alle 17,30.



Monira Rahman e' una giovane donna del Bangladesh che lotta da anni per

difendere e curare le donne sfigurate e gravemente invalidate dagli attacchi

di acido gettato loro sul volto e sul corpo, donne spesso giovanissime (dai

13 ai 35 anni), vittime dell'atroce violenza di maschi: pretendenti respinti

o mariti gelosi o semplicemente insoddisfatti dalla dote. Si tratta di una

vera emergenza in Bangladesh.

A questo scopo ha fondato e dirige un'associazione: la Acid Survivor Foundation.

 La fondazione, nata nel maggio 1999, collabora con le ong locali

e la comunita' internazionale per assicurare alle vittime l'accesso a cure

mediche costose, per permettere loro di aver accesso al sistema legale per

denunciare gli atti di criminalita' subiti, per la loro riabilitazione

sociale e lavorativa, creando luoghi di incontro e dialogo e di sostegno

alle famiglie, e soprattutto cerca di prevenire ulteriori attacchi. Il loro

impegno e' risultato molto efficace: si stima infatti, che dal 2003, proprio

grazie alla Acid Survivor Foundation, gli attacchi siano diminuiti del 40%.

*

Monira Rahman ha ottenuto dalla sezione tedesca di Amnesty International lo

Human Rights Award ed ora e' a Firenze per ricevere il Gonfalone d'argento

di cui e' stata insignita dalla Regione Toscana.

Monira ha chiesto di poter incontrare alcune realta' sociali della citta'

maggiormente impegnate nel campo dei diritti umani e sociali e contro la

violenza verso le donne.

La biblioteca comunale dell'Isolotto e la Comunita' dell'Isolotto sono liete

di ospitarla, di socializzare con lei esperienze tanto significative e di

esprimere totale solidarieta'.

Siete tutte e tutti invitati.


Proprio qui, da noi.


 MONIRA RAHMAN A FIRENZE IL 28 NOVEMBRE


Monira Rahman sara' all'Isolotto di Firenze per incontrare la popolazione

del quartiere presso le "Baracche", via degli Aceri 1, martedi' 28 novembre

alle 17,30.



Monira Rahman e' una giovane donna del Bangladesh che lotta da anni per

difendere e curare le donne sfigurate e gravemente invalidate dagli attacchi

di acido gettato loro sul volto e sul corpo, donne spesso giovanissime (dai

13 ai 35 anni), vittime dell'atroce violenza di maschi: pretendenti respinti

o mariti gelosi o semplicemente insoddisfatti dalla dote. Si tratta di una

vera emergenza in Bangladesh.

A questo scopo ha fondato e dirige un'associazione: la Acid Survivor Foundation.

 La fondazione, nata nel maggio 1999, collabora con le ong locali

e la comunita' internazionale per assicurare alle vittime l'accesso a cure

mediche costose, per permettere loro di aver accesso al sistema legale per

denunciare gli atti di criminalita' subiti, per la loro riabilitazione

sociale e lavorativa, creando luoghi di incontro e dialogo e di sostegno

alle famiglie, e soprattutto cerca di prevenire ulteriori attacchi. Il loro

impegno e' risultato molto efficace: si stima infatti, che dal 2003, proprio

grazie alla Acid Survivor Foundation, gli attacchi siano diminuiti del 40%.

*

Monira Rahman ha ottenuto dalla sezione tedesca di Amnesty International lo

Human Rights Award ed ora e' a Firenze per ricevere il Gonfalone d'argento

di cui e' stata insignita dalla Regione Toscana.

Monira ha chiesto di poter incontrare alcune realta' sociali della citta'

maggiormente impegnate nel campo dei diritti umani e sociali e contro la

violenza verso le donne.

La biblioteca comunale dell'Isolotto e la Comunita' dell'Isolotto sono liete

di ospitarla, di socializzare con lei esperienze tanto significative e di

esprimere totale solidarieta'.

Siete tutte e tutti invitati.


Proprio qui, da noi.

mercoledì 22 novembre 2006

LAICITA’ DELL’ETICA

 Attualmente è in atto nella nostra società un tentativo di ricorrere in modo acritico al mondo della religione per rassicurarsi circa i principi che devono guidare il nostro comportamento. Tanto più che le odierne autorità politiche ed ecclesiastiche, da Bush a papa Ratzinger, fanno a gara per inculcare l’idea che solo chi crede in Dio realizza pienamente la propria natura, sia umana che razionale.

Questo è senza dubbio un indice preoccupante del disorientamento che pervade ogni ambito sociale ed anche della sfiducia nelle proprie capacità di trovare punti di riferimento validi, che diano senso alla nostra vita.

 Eugenio Lecaldano, docente di filosofia morale all’Università di Roma, dimostra nel suo saggio “Un’etica senza Dio” che non solo non è vero che senza Dio non ci sia possibilità di un comportamento morale, ma anzi che solo mettendo da parte Dio l’uomo può raggiungere una vita morale.

 Egli parte anzitutto dal contestare punto per punto i presupposti dell’etica religiosa. Questa ha come suo fondamento Dio come Autore della Natura, anche se considerata non in modo statico, ma come progetto in fase di realizzazione: noi però non conosciamo né questo progetto nella sua compiutezza, né il suo architetto, perché è al di fuori della nostra esperienza (altrimenti non sarebbe Dio).

Ammesso pure che l’etica si possa fondare su Dio, qual è il concetto valido di Dio? Perché noi storicamente sperimentiamo vari concetti di Dio, in base ai periodi storici e in base alle diverse culture. Perciò l’etica concretamente non potrà mai avere un unico fondamento.

Supponiamo comunque che si arrivi a riconoscere un unico Dio; come si fa a capire quali sono i comandamenti divini? Chi se ne fa interprete? La realtà storica ci insegna che le interpretazioni sono molto diverse, anche nell’ambito della stessa religione.

 Inoltre fondare l’etica in Dio significa accettare supinamente ordini esterni a noi, senza la possibilità di capire profondamente il senso del proprio agire. L’etica si riduce a un rispetto esteriore di norme accettate per fede, ma di cui non si è razionalmente convinti.

C’è poi chi sostiene che Dio si riconosce nelle leggi di natura, che sono anche le leggi della ragione, per cui solo i credenti capiscono le leggi naturali, in una sorta di monopolizzazione della sapienza. Di fatto però i modi di capire le leggi naturali sono diversi, non solo tra popoli differenti, ma anche tra individui di uno stesso gruppo sociale e religioso.

D’altra parte un’etica fondata su un Dio che premia o punisce impedisce lo sviluppo di una coscienza morale: si segue un comportamento per ottenere un vantaggio egoistico, e quindi ci si allontana da una condotta morale, che è tale quando significa consapevolezza e autonomia di scelta per realizzare il bene proprio e della società in cui si vive. Inoltre chi aggancia l’etica a Dio, a questo principio assoluto, tende a ritenere giustificata l’imposizione della moralità con la forza della legge, proprio perché i principi devono essere validi per tutti. E allora si sviluppa l’intolleranza e l’integralismo: le istituzioni dello Stato diventano strumenti per far rispettare la legge divina. Ma la conseguenza più devastante è che sul piano psicologico si forma una personalità eterodiretta, incapace di una vera vita morale, cioè incapace di autonomia e di responsabilità nelle sue scelte.


 La capacità di essere moralmente responsabili richiede l’autonomia nella scelta e quindi per essere autonomi bisogna liberarci da tutti i condizionamenti, religiosi, familiari ecc.; perché l’autonomia individuale non è altro che la consapevolezza della propria libertà.

Un’etica responsabile è apertura verso gli altri, in quanto implica sensibilità e attenzione verso gli altri membri della società. E l’uomo è naturalmente incline alla “simpatia” con gli altri esseri umani e gli altri viventi in generale (gli animali).

La sensibilità al dolore proprio e degli altri, come anche le emozioni e i sentimenti, sono frutto di un processo evolutivo naturale, e non è necessario ricorrere al concetto di Dio. Anche l’idea di Dio e il sentimento religioso hanno un’origine naturale e sono il frutto di una lenta maturazione. Per Hume le prime idee religiose sorsero dalle speranze e dalle paure dell’uomo. Freud identifica l’origine della religione nelle dinamiche profonde che legano gli esseri umani alla figura del padre e alla sua autorità. Ma forse la spiegazione più azzeccata è quella di Feuerbach, che vede Dio come il luogo immaginario in cui l’uomo vede realizzati i suoi bisogni e superati i suoi limiti. La coscienza che l’uomo ha di Dio è la coscienza che egli ha di se stesso, del suo dover essere, proiettato e alienato in un altro essere.

 In conclusione l’etica laica è fondata sull’autonomia dell’individuo che si crea un suo carattere morale sulla base delle proprie esigenze e delle proprie esperienze. Ciò comporta che vi sia necessariamente una pluralità di posizioni morali, che si pongono a confronto tra loro; si sviluppano dunque il rispetto e la tolleranza reciproca nella coscienza della relatività di ciascuna posizione e nella ricerca del modello morale più idoneo. Ciascuno valorizza cioè le proprie esigenze, le proprie emozioni e capacità razionali, in un processo di crescita collettiva verso una convivenza ideale.


 Leggendo questo saggio mi sono trovato in sintonia con l’autore su molti punti, ma curiosamente non perché avverso la religione e assumo una posizione atea, ma anzi proprio come cristiano alla scoperta delle origini della propria spiritualità. Esse si fondano su un Dio inconoscibile e non raffigurabile in forme o concetti umani, si fondano su un cammino nel deserto alla scoperta di una propria identità, come individuo e come essere sociale. Infine si radicano sull’intuizione che Dio si è fatto uomo e che soltanto nell’uomo si può cercare e alla fine contemplare il volto di Dio.

Giuseppe Bettenzoli

domenica 19 novembre 2006.

Intervento tenuto qui alle baracche verdi all'assemblea settimanale della Comunità dell'Isolotto
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LAICITA’ DELL’ETICA

 Attualmente è in atto nella nostra società un tentativo di ricorrere in modo acritico al mondo della religione per rassicurarsi circa i principi che devono guidare il nostro comportamento. Tanto più che le odierne autorità politiche ed ecclesiastiche, da Bush a papa Ratzinger, fanno a gara per inculcare l’idea che solo chi crede in Dio realizza pienamente la propria natura, sia umana che razionale.

Questo è senza dubbio un indice preoccupante del disorientamento che pervade ogni ambito sociale ed anche della sfiducia nelle proprie capacità di trovare punti di riferimento validi, che diano senso alla nostra vita.

 Eugenio Lecaldano, docente di filosofia morale all’Università di Roma, dimostra nel suo saggio “Un’etica senza Dio” che non solo non è vero che senza Dio non ci sia possibilità di un comportamento morale, ma anzi che solo mettendo da parte Dio l’uomo può raggiungere una vita morale.

 Egli parte anzitutto dal contestare punto per punto i presupposti dell’etica religiosa. Questa ha come suo fondamento Dio come Autore della Natura, anche se considerata non in modo statico, ma come progetto in fase di realizzazione: noi però non conosciamo né questo progetto nella sua compiutezza, né il suo architetto, perché è al di fuori della nostra esperienza (altrimenti non sarebbe Dio).

Ammesso pure che l’etica si possa fondare su Dio, qual è il concetto valido di Dio? Perché noi storicamente sperimentiamo vari concetti di Dio, in base ai periodi storici e in base alle diverse culture. Perciò l’etica concretamente non potrà mai avere un unico fondamento.

Supponiamo comunque che si arrivi a riconoscere un unico Dio; come si fa a capire quali sono i comandamenti divini? Chi se ne fa interprete? La realtà storica ci insegna che le interpretazioni sono molto diverse, anche nell’ambito della stessa religione.

 Inoltre fondare l’etica in Dio significa accettare supinamente ordini esterni a noi, senza la possibilità di capire profondamente il senso del proprio agire. L’etica si riduce a un rispetto esteriore di norme accettate per fede, ma di cui non si è razionalmente convinti.

C’è poi chi sostiene che Dio si riconosce nelle leggi di natura, che sono anche le leggi della ragione, per cui solo i credenti capiscono le leggi naturali, in una sorta di monopolizzazione della sapienza. Di fatto però i modi di capire le leggi naturali sono diversi, non solo tra popoli differenti, ma anche tra individui di uno stesso gruppo sociale e religioso.

D’altra parte un’etica fondata su un Dio che premia o punisce impedisce lo sviluppo di una coscienza morale: si segue un comportamento per ottenere un vantaggio egoistico, e quindi ci si allontana da una condotta morale, che è tale quando significa consapevolezza e autonomia di scelta per realizzare il bene proprio e della società in cui si vive. Inoltre chi aggancia l’etica a Dio, a questo principio assoluto, tende a ritenere giustificata l’imposizione della moralità con la forza della legge, proprio perché i principi devono essere validi per tutti. E allora si sviluppa l’intolleranza e l’integralismo: le istituzioni dello Stato diventano strumenti per far rispettare la legge divina. Ma la conseguenza più devastante è che sul piano psicologico si forma una personalità eterodiretta, incapace di una vera vita morale, cioè incapace di autonomia e di responsabilità nelle sue scelte.


 La capacità di essere moralmente responsabili richiede l’autonomia nella scelta e quindi per essere autonomi bisogna liberarci da tutti i condizionamenti, religiosi, familiari ecc.; perché l’autonomia individuale non è altro che la consapevolezza della propria libertà.

Un’etica responsabile è apertura verso gli altri, in quanto implica sensibilità e attenzione verso gli altri membri della società. E l’uomo è naturalmente incline alla “simpatia” con gli altri esseri umani e gli altri viventi in generale (gli animali).

La sensibilità al dolore proprio e degli altri, come anche le emozioni e i sentimenti, sono frutto di un processo evolutivo naturale, e non è necessario ricorrere al concetto di Dio. Anche l’idea di Dio e il sentimento religioso hanno un’origine naturale e sono il frutto di una lenta maturazione. Per Hume le prime idee religiose sorsero dalle speranze e dalle paure dell’uomo. Freud identifica l’origine della religione nelle dinamiche profonde che legano gli esseri umani alla figura del padre e alla sua autorità. Ma forse la spiegazione più azzeccata è quella di Feuerbach, che vede Dio come il luogo immaginario in cui l’uomo vede realizzati i suoi bisogni e superati i suoi limiti. La coscienza che l’uomo ha di Dio è la coscienza che egli ha di se stesso, del suo dover essere, proiettato e alienato in un altro essere.

 In conclusione l’etica laica è fondata sull’autonomia dell’individuo che si crea un suo carattere morale sulla base delle proprie esigenze e delle proprie esperienze. Ciò comporta che vi sia necessariamente una pluralità di posizioni morali, che si pongono a confronto tra loro; si sviluppano dunque il rispetto e la tolleranza reciproca nella coscienza della relatività di ciascuna posizione e nella ricerca del modello morale più idoneo. Ciascuno valorizza cioè le proprie esigenze, le proprie emozioni e capacità razionali, in un processo di crescita collettiva verso una convivenza ideale.


 Leggendo questo saggio mi sono trovato in sintonia con l’autore su molti punti, ma curiosamente non perché avverso la religione e assumo una posizione atea, ma anzi proprio come cristiano alla scoperta delle origini della propria spiritualità. Esse si fondano su un Dio inconoscibile e non raffigurabile in forme o concetti umani, si fondano su un cammino nel deserto alla scoperta di una propria identità, come individuo e come essere sociale. Infine si radicano sull’intuizione che Dio si è fatto uomo e che soltanto nell’uomo si può cercare e alla fine contemplare il volto di Dio.

Giuseppe Bettenzoli

domenica 19 novembre 2006.

Intervento tenuto qui alle baracche verdi all'assemblea settimanale della Comunità dell'Isolotto
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