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venerdì 30 gennaio 2015

Islam e Occidente: quali occasioni di incontro?


DOMENICA PROSSIMA 1 FEBBRAIO 2015  DURANTE L’ASSEMBLEA DELLA COMUNITA’

 
continueremo ad approfondire e riflettere su
Islam e Occidente: quali occasioni di incontro per evitare la pericolosa contrapposizione tra i  fondamentalismi?
Ci interrogheremo su:
educazione  - responsabilità -intreccio con le nuove generazioni
diversita’ – multicultura –separatezze – universalismo-
a partire dai vissuti e dalle esperienze di ieri e di oggi 

martedì 27 gennaio 2015

Islam e Occidente


Comunità dell’Isolotto – Firenze, domenica 25 gennaio 2015 e…

Islam e Occidente: quali occasioni di incontro per evitare la pericolosa contrapposizione tra i  fondamentalismi?

(riflessioni di Paola e Mario)

Letture:

Dal Vangelo di Matteo (5,38-46):
“Voi sapete che è stato detto: - Occhio per occhio, dente per dente-.  Ma io vi dico di non resistere al malvagio; anzi se uno ti percuote nella guancia destra, porgigli anche l’altra. Se uno vuol litigare con te, per toglierti la tunica, cedigli anche il mantello. E se uno ti forza a fare un miglio, va’ con  lui per altri due. Da’ a chi ti chiede, e non voltare le spalle a colui che desidera da te in prestito.
Voi sapete che fu detto :-Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico-.
Ma io vi dico: - Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa sorgere il suo sole sopra i cattivi e sopra i buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Perché se voi amate soltanto quelli che vi amano, quale premio meritate?
Dalla prima lettera di Pietro 2,15-17
 Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio. Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re.

Dai principi fondanti la Comunità di Medina

“Non ci sia costrizione  nella religione:”  ( Sura 2,257).
“Dì: la verità proviene dal vostro Signore, creda chi vuole, e chi non vuole neghi” (Sura 18,29).
“ Se il tuo Signore volesse, tutti coloro che sono sulla terra crederebbero. Sta a te costringerli ad essere credenti? (Sura 10,99).
[Versetti coranici trasmessi dall’Arcangelo Gabriele al Profeta Mohammad]

“Da parte del vostro Signore vi sono giunti appelli alla lungimiranza. Chi dunque vede chiaro lo fa a proprio vantaggio, chi resta cieco, lo fa a proprio danno” (Sura 6, 104).
“Quanto a me- dice  il profeta- non sono il vostro guardiano” .(Sura 6, 104).
“ Se dio volesse, non ci sarebbero più idolatri, ma noi -  dice Dio rivolgendosi al profeta  Mohammad- non ti abbiamo designato come loro custode” (Sura, 6, 107).
“Ammonisci dunque, ché tu altro non sei che un ammonitore, non hai su diloro nessuna autorità”. (Sura 88, 21-22).
“Chiama al sentiero del tuo Signore con saggezza e belle parole, e non discutere che nel modo più garbato”. (Sura 16, 125).




Introduzione.

La recente strage dei giornalisti della rivista satirica Charlie Hebdo a Parigi ha giustamente suscitato una campagna di opinione pubblica e numerose reazioni che hanno chiamato in causa alcuni valori fondanti la civiltà occidentale contemporanea quali “la libertà di espressione e pensiero” e hanno riproposto il tema dell’integralismo collegato alle confessioni religiose.
Gli spunti emersi in questi giorni grazie alla mobilitazione e alla reazione civile contro i gravi atti di terrorismo sono tantissimi e tutti molto importanti.
Tuttavia come membri di una comunità di base che si rifà all’alveo del cristianesimo ci è sembrato utile proporre in questo incontro comunitario alcune riflessioni e una proposta di percorso comunitario per le prossime settimane.
1.     Come è possibile che religioni che hanno a loro fondamento un messaggio d’amore siano state e siano ancora oggi utilizzate e travisate in chiave aggressiva e violenta?
2.     Come mai parliamo e ci ricordiamo delle religioni solo nei momenti in cui esse diventano fonte di ispirazione di comportamenti aggressivi e violenti mentre nella normalità non abbiamo il minimo rapporto di conoscenza e informazione verso di esse?
3.     Le drammatiche forme di violenza  giustificata in nome della fede, che così frequentemente ci si presenta davanti agli occhi quando apriamo la televisione  o la radio, sono davvero il frutto di fanatismi o integralismi religiosi, o invece e più in generale la conseguenza della perdita di significato di concetti come Vita/Morte che sembrano sempre più improntare la forma mentis degli uomini che vivono la realtà del villaggio globale dei nostri giorni?
4.     E in parallelo a questo non sarebbe il caso di interrogarsi come il terreno fecondo per ogni sorta di fanatismo e terrorismo anche di origine religiosa possa ampliarsi proprio in proporzione alla perdita progressiva di quei valori dell’umanesimo che da secoli sono stati il fondamento della civiltà occidentale?
I materiali che sono proposti per questa riflessione vogliono dare un primo contributo essenzialmente in due direzioni:
a.     Cominciamo a rimediare alla nostra cattiva conoscenza di ciò che viene indicato come  il “nemico” o “ la causa “ del male. Nel caso specifico l’Islam.

b.     per una vera cultura di coesistenza civile e fondata sul rispetto reciproco - più che sulla tolleranza - sull’accoglienza, occorre educare alla conoscenza vera delle cose.   Allora come non porsi con urgenza in una società che è ormai sempre più multietnica e multireligiosa due obbiettivi:           A. un ambito specifico e curriculare di storia delle religioni da inserire nella scuola pubblica prevedendo docenti opportunamente e specificamente formati.            B. la ripresa e lo sviluppo di momenti continui e intensi di confronto interreligioso.


Materiali e spunti per la riflessione 

Dall’intervista di Fabio Colagrande alla teologa musulmana Shahrzad Houshmand, docente alla Pontificia Università Gregoriana di Islam sciita nella facoltà (Radio Vaticana, 11 gennaio 2015)

R. – E’ chiaro che non si può in nessun campo giustificare un atto violento e l’uccisione di persone innocenti, questo è senz’altro condannato da tutti i capi religiosi, non solo islamici, perché qui non si tratta della violenza islamica ma è la violenza che ha colpito il cuore dell’uomo, in sé. Come diceva Ghandi: chi non è in pace con sé stesso è in guerra col mondo intero. Riprendo le parole anche di questo grande messaggero di pace che è Papa Francesco, che riprende, illumina, ci sveglia, ci scuote – come ripete sempre – da questa “globalizzazione dell’indifferenza” che alla fine è, anch’essa, la causa del malessere che viviamo oggi. Lui, infatti, ripete spesso di non generalizzare. Questo sarebbe un atto di grande ignoranza e un’altra violenza verso una grande fetta dell’umanità che comprende un miliardo e mezzo di persone. Quello che si sta un po’ facendo è questa generalizzazione che non sarà a favore di nessuno, non solo non a favore dei musulmani, ma nemmeno a favore dell’Occidente stesso, perché se non si usa con sapienza un atteggiamento accogliente, capace di un’analisi vera e profonda, questo non farà altro che causare altre forme di violenza. Io chiedo all’homo sapiens sapiens di oggi, che nonostante la sua sapienza ha messo in primo piano le fabbriche belliche e l’economia, di rivedere il messaggio profondo della rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fratellanza. Se non approfondiamo questo terzo slogan – fratellanza – fin quando l’homo sapiens sapiens, che pensiamo di essere noi, non punterà su questo terzo punto, discrimina una fetta dell’umanità e non sceglie politiche sociali intelligenti per l’integrazione, per la dignità e per il rispetto, ma sceglie la generalizzazione, andremo a cadere in altre forme di violenze.
L’Islam, ma non solo, ha bisogno di riforma
D. – C’è chi dice che eventi tragici come quello di Parigi si ripeteranno fino a che non verranno
purificate le fonti di questa violenza che sono in alcune forme di cultura islamista…
R. – Ogni essere umano ha bisogno di riformarsi sempre. L’individuo ha bisogno di riformarsi, come le comunità, le società, anche le religioni. Tutti questi eventi ci portano a riflettere e rivedere alcune delle nostre posizioni. Questo vale anche per una fetta dei musulmani nel mondo che hanno una visione stretta dell’islam, soprattutto quelle scuole coraniche: lo Stato del Pakistan dice di non avere le risorse sufficienti per aumentare le scuole pubbliche e i privati – che non si sa da dove esattamente vengono – costruiscono queste scuole coraniche che danno una visione particolarissima del Corano. Allora, la riforma dovrebbe avvenire sicuramente nell’islam ma anche l’Europa ha bisogno di una riforma, di uscire da questo eurocentrismo profondo che non vede nelle altre culture nessuna positività, nessuna forma di democrazia, di benessere. Allora, questo atteggiamento dovrebbe essere reciproco. Abbiamo bisogno di riformarci a livello umano, di ripensare la fraternità e di medicare le ferite non con le bombe ma con l’istruzione, il dialogo e l’incontro. Infatti, leggo il paragrafo 253 della bellissima Esortazione “Evangelii Gaudium” di Papa Francesco: “Per sostenere il dialogo con l’Islam è indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni”. Dobbiamo riformarci tutti, veramente.


Ma Islam vuol dire pace

Il paradosso è che Islam viene dalla radice s-l-m che in arabo forma “salam” e in ebraico “shalom”, cioè pace. Esso quindi significa pace e rimanda alla pace del cuore e della mente che si ottiene quando ci si sottomette a quella verità ultima del mondo tradizionalmente detta Dio. Questo sottomettersi però non è da intendersi come cessazione della libertà, come la Soumission descritta da Michel Houellebecq nel suo nuovo romanzo e come a loro volta l’intendono gli integralismi islamici di ogni sorta, Is, Al Qaeda, Boko Haram, Hezbollah e affini. Si tratta piuttosto di sottomettersi nel senso di “mettersi sotto”, ripararsi, come quando piove forte e ci si rifugia dall’acquazzone. È la medesima disposizione esistenziale che porta i buddhisti a recitare ogni giorno “prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma, nel Sangha”, e che porta i cristiani a dire “Amen” cioè “è così, ci sto, mi affido” o a recitare Sub tuum praesidium. La sottomissione equivale alla custodia e al compimento della libertà del singolo che trova un porto a cui approdare e quindi una direzione verso cui navigare: è questo il fondamento originario alla base dell’Islam e di ogni altra religione…
Oggi però nella mente occidentale l’Islam è ben lontano dal venire associato a ciò a cui la sua radice rimanda. Evoca piuttosto il contrario, la guerra, la lotta, il terrore. Un duplice grande compito attende quindi ogni persona responsabile: prima capire, e poi far capire, che non è per nulla così. Ieri accompagnando mia figlia a scuola pensavo che in classe avrebbe trovato un compagno di fede musulmana e mi chiedevo con che occhi l’avrebbe guardato e con che occhi l’avrebbero guardato gli altri studenti. La disposizione dello sguardo dei figli dipende molto dallo sguardo e dalle parole degli adulti. Ma ora qualcuno provi a pensare di essere un musulmano quindicenne che ogni giorno si sente addosso sguardi diffidenti e rancorosi, e immagini che cosa finirebbe per pensare dell’occidente. 
Non sto per nulla dicendo che se c’è il terrorismo islamico è colpa nostra perché noi occidentali siamo malvagi e imperialisti, anche perché sono convinto del contrario, cioè che se c’è il terrorismo islamico è soprattutto per l’incapacità dell’Islam e delle sue guide spirituali di gestire l’incontro con la modernità, come più avanti argomenterò. Sto dicendo piuttosto che siccome il terrorismo islamico purtroppo c’è ed è in crescita nel cuore stesso dell’Europa, spetta a ognuno di noi decidere se trasformare ogni musulmano in un nemico e in un potenziale terrorista oppure no. E tutto procede da come parliamo dell’Islam e da come guardiamo i musulmani.
L’Islam è una grande tradizione spirituale con quattordici secoli di storia e con oltre un miliardo di fedeli. L’idea che a questa religione sia essenzialmente connaturata la violenza è profondamente sbagliata da un punto di vista teorico e soprattutto è tremendamente nociva da un punto di vista pratico, perché non fa che suscitare a sua volta violenza e da qui il gorgo che può finire per risucchiare irrimediabilmente la vita delle giovani generazioni. È vero che nel Corano vi sono pagine violente e che la storia islamica conosce episodi violenti, ma questo vale per ogni fenomeno umano. La Bibbia ha pagine di violenza inaudita e sia l’ebraismo sia il cristianesimo conoscono il fanatismo religioso e la violenza che ne promana. Lo stesso vale per l’hinduismo con l’ideologia detta hindutva. Persino il più mite buddhismo conosce oggi episodi di intolleranza in Sri Lanka e Myanmar.
Dando uno sguardo alla politica, che cosa abbiano prodotto la destra e la sinistra nel ‘900 è cosa nota: repressione dei diritti umani e milioni di vittime innocenti. Andando poi all’evento madre da cui è nata l’idea di laicità nella società europea, cioè la Rivoluzione francese, nei dieci anni della sua durata (1789-1799) si registra un numero di vittime variamente stimato dagli storici ma comunque enorme, visto che nei diciassette mesi del Terrore tra il 1793 e il 1794 si ebbero centomila vittime, una media di quasi 200 morti al giorno. E tutto questo nel nome di “liberté, égalité fraternité”, compresa, immagino, la libertà di stampa.
Noi non abbiamo nessun titolo per dare lezioni ai musulmani, se non uno solo: che siamo più vecchi e abbiamo più storia. Oggi buona parte dell’Islam, come l’Occidente cristiano nel passato, sta vivendo l’incontro con la secolarizzazione sentendosi aggredito, nel senso che i processi di laicità e di modernità risultano per esso come dei virus infettivi a cui reagisce attaccando e facendo così venir meno la tradizionale tolleranza che ha contraddistinto buona parte della sua storia.
Dalla Rivoluzione francese alla Seconda guerra mondiale, in un arco di oltre 150 anni, l’Occidente ha vissuto la sua influenza con febbri altissime, imparando alla fine a usare quel metodo della gestione della vita pubblica tra persone di diverso orientamento culturale e religioso che si chiama democrazia (per quanto ancora in modo molto imperfetto).
E noi questo dobbiamo fare: esportare democrazia. Non ovviamente nel senso criminale di George Bush e della sua guerra in Iraq (che ha molta responsabilità per la trappola in cui stiamo finendo), ma nel senso del rispetto delle idee e della vita altrui, da cui si produce quello sguardo amichevole che è il solo vero metodo per suscitare pace e lasciare una società migliore a chi verrà dopo di noi. Questo non significa che non bisogna essere determinati nella lotta contro i terroristi islamici, significa solo che occorre sempre saper distinguere l’organismo dalla malattia contratta. E in questa distinzione dovrà consistere la nostra lotta quotidiana a favore della pace del mondo. 
Vito Mancuso, la Repubblica 10 gennaio 2015


Considerazioni sul piano storico – da un contributo di Franco Cardini: Europa, “Occidente”, Islam: profilo storico e prospettive
DUE FONDAMENTALISMI DA SMASCHERARE
Esiste senza dubbio un "fondamentalismo" islamico: è ormai così che siamo abituati e definire - con un termine preso a prestito dal lessico delle sette cristiane statunitensi - l'atteggiamento di una quantità di gruppi e di scuole (peraltro differenti e sovente in conflitto tra loro), nati intorno agli Anni Venti e sviluppatisi soprattutto nei Sessanta-Settanta del XX secolo, alcuni dei quali postulano un'applicazione della normativa giuridica emergente dal Corano e dalla Tradizione (sunna) letteralmente accettati e senz'alcuna elaborazione esegetica, mentre altri sostengono di voler reinterpretare l'Islam nel suo complesso per ricondurlo alla purezza delle origini.
Atteggiamenti del genere, com'è noto, sono stati e in qualche misura sono propri anche di alcune sètte o Chiese cristiane che, dal medioevo alla Riforma fino ai giorni nostri, hanno proposto un impossibile "ritorno alle origini" della "Chiesa primitiva", quella "degli Apostoli". Nel mondo islamico, le pretese accampate da questi gruppi fondamentalisti possono in realtà, in qualche misura, rifarsi alle tesi di movimenti religioso-politici del passato (…).
Ma nell'insieme si tratta di istanze nuove, che ben si potrebbero qualificare come "moderniste": anche - e soprattutto - quando pretendono di rifarsi a un passato remoto. La loro nascita e il loro sviluppo di situano significativamente tra l'indomani della prima guerra mondiale e la sconfitta araba nella "Guerra dei Sei Giorni" del giugno 1967: dinanzi alla frustrazione profonda del mondo arabo-islamico e islamico ingenerale, che alla fine del Settecento aveva accolto con quasi unanime entusiasmo le proposte di modernizzazione che gli provenivano dall'Occidente ma che ormai si sentiva da esso ripetutamente ingannato, tradito e umiliato (inganni, tradimenti e umiliazioni che non erano affatto solo immaginari), nasceva quasi spontanea l'idea di tornare alla purezza della tradizione musulmana come unico rifugio e unica base per una nuova partenza spirituale, sociale e politica. Ma l'implausibilità delle tesi fondamentaliste -…- consiste tanto nell'impossibilità obiettiva d'un'applicazione letterale e normativa di Corano e di Tradizione come fondatrice d'una vera convivenza civile, quanto nell'arbitrarietà di tale strada mai proposta finora e quanto, infine, nel carattere non religioso bensì politico della tesi secondo cui il dovere principale del musulmano sia la lotta contro il "satana occidentale".
Questa tesi è una sorta di leninismo politico applicato alla fede, che sostituisce la lotta di classe con la lotta religioso-culturale: dovere del musulmano è, semplicemente, uniformarsi con intimo consenso alla volontà di Dio. Tale il significato della parola Islam, la radice della quale è la stessa della parola Salam ("pace"). Sarebbe bene non confondere quindi il sostantivo "Islam" e l'aggettivo "islamico" (o, meglio, "musulmano", che rispetta di più il termine originario), che indica il fedele dell'Islam, con i brutti neologismi "islamismo" e "islamista", che tuttavia potrebbero venir usati per indicare le idee e i sostenitori della sciagurata riduzione dell'Islam a ideologia politica. Una manovra, questa, che si autodefinisce antioccidentale: mentre al contrario - accettando proprio uno dei peggiori prodotti della cultura occidentale, l'ideologismo politico - denunzia proprio una perniciosa dipendenza dall'Occidente nei suoi aspetti meno positivi.
Esiste d'altronde, com'è noto, anche un "fondamentalismo" occidentalistico: figlio della caratteristica intolleranza illuminista, che usa com'è noto travestirsi da tolleranza ma che al contrario è profondamente convinta che il mondo delle democrazie liberali e del liberismo economico sia il migliore dei mondi possibili e l'unico, finale e necessario traguardo possibile di qualunque umana cultura.
Questo disprezzo per l' "Altro-da-sé", capace di tollerare culture differenti dalla sua solo nella misura in cui le ritiene fasi transitorie da percorrere per giungere alla "maturità" occidentale e che in ultima analisi non concepisce niente che nella breve o nella lunga durata possa sfuggire al suo Pensiero Unico e ai modi di vita e di produzione da esso proposti, sembra aver di recente guadagnato anche alcuni ambienti cattolici, magari d'origine "tradizionalista". .
Siamo dinanzi a un nuovo, inatteso totalitarismo. E difatti, ne ha i connotati. Annah Arendt sosteneva che il totalitarismo, in quanto tale, ha bisogna di un "nemico metafisico": ed ecco il "borghese" per il comunismo, l' "ebreo" per il nazismo.
[….]
Diciamo la verità. Siamo dinanzi al pericolo di un vero contagio intellettuale e massmediale, che potrebbe dar luogo a un nuovo fenomeno maccartista. D'altronde, l'immagine dell'Islam come "millenario avversario" del nostro Occidente ha largo corso in un mondo disinformato, dotato di scarsa e superficiale conoscenza della storia, abituato agli schemi scolastico-bignameschi, poco abituato a pensare per categorie religiose incline quindi a sottovalutarle e a considerare semplicisticamente i fenomeni che le riguardano, senza far le dovute distinzioni) e infine profondamente scosso dopo i tragici fatti dell'11 settembre del 2001.
Bisogna dire che questo errore di prospettiva, irresponsabilmente avallato da alcuni mass media e opinion makers, riceve purtroppo un'apparente conferma indiretta nel comportamento di alcuni ambienti musulmani, essi stessi molto poco informati sia della sostanza della loro fede, sia della -del resto molto complessa - realtà politica e culturale del nostro mondo, nel quale essi magari si trovano per esigenze di lavoro o di sopravvivenza, che credono di conoscere sufficientemente perché ne parlano un po' le lingue e ne guardano i programmi televisivi, ma che nel nucleo profondo sfugge loro tragicamente.
In questo modo, i fondamentalisti nostrani e quelli islamici, magari entrambi in buona fede, fanno entrambi il gioco degli agenti terroristi il fine dei quali è, appunto, tradurre in pratica l'infausta profezia di Samuel Hungtington e giungere allo scontro fra civiltà.
Esiste un antidoto? Sì: ma va assunto subito, e in massicce dosi, prima che sia troppo tardi. Non è verso il melting pot multiculturale che bisogna andare, bensì verso il salad bowl della convivenza entro uno stesso quadro pubblico e istituzionale, nel rispetto delle medesime leggi e nel mantenimento di quelle tradizioni proprie a ciascuna cultura che con tali leggi non siano in contrasto.
Bisogna moltiplicare - a cominciare dalle istituzioni, dai posti di lavoro, dalle scuole - le occasioni d'incontro, approfondire le nostre rispettive identità e al tempo stesso studiare e conoscere meglio e più da vicino quelle altrui. Io non credo nella tolleranza astratta: valore debole e retorico, che vacilla al primo soffiar del vento della retorica e del fanatismo, che crolla alla prima ingiusta violenza di cui si sia vittime o spettatori e che non si riesca a razionalizzare e ad analizzare nella sua struttura storica.
Io credo nell'incontro, nell'interesse e nella simpatia reciproci che ne nascono, nel confronto tra le tradizioni e le culture condotto nel rispetto reciproco e nel desiderio di rafforzare la propria identità attraverso l'accettazione di quel che è accettabile nelle culture altrui e l'arricchimento che ne deriva. A chi è più vicino un credente cattolico occidentale: a un ateo occidentale o a un ebreo o a un musulmano che condividono la sua fede nel Dio d'Abramo e nella Rivelazione, nel dialogo tra Dio e l'uomo? A chi è più vicino un euro-meridionale: a un arabo-mediterraneo o a un baltico?
Occidente e Islam: le sei fasi di un confronto storico.
Un primo nemico da battere è proprio il pregiudizio psuedostorico […] il presupposto di Hungtington è che quattordici secoli di storia dimostrano che fra Occidente e Islam la guerra è stata continua […]
..la storia, quella vera, insegna (…) che i lunghi secoli del confronto tra Europa e Islam furono certo caratterizzati da crociate e controcrociate, e non certo senza episodi violenti e sanguinosi; ma che la crociata non era affatto, non fu mai guerra "totale"; che in quei lunghi secoli - nei quali le guerre guerreggiate furono nel complesso endemiche, ma brevi e quasi sempre poco cruente - quel che di gran lunga prevalse fu il costante, continuo, profondo rapporto amichevole fra cristiani e musulmani nel teatro del mare Mediterraneo. Un'amicizia che si riscontra continua: a livello economico, diplomatico, culturale. A questo rapporto dobbiamo la rinascita dei commerci e della civiltà urbana dopo la stasi altomedievale; gli dobbiamo la nascita del sistema monetario e creditizio moderno; gli dobbiamo - grazie a uno stuolo d'instancabili traduttori arabi, ebrei e cristiani che lavoravano di comune accordo, soprattutto in Spagna - la stessa nascita scientifica e culturale della teologia, della filosofia, dell'astronomia, della fisica, della chimica, della medicina, della matematica, della tecnologia moderne.
Senza l'apporto dell'Islam - riciclatore della cultura ellenistica e divulgatore di quelle persiana, indiana e cinese altrimenti sconosciute all'Europa - non sarebbe mai nata la splendida Europa delle cattedrali e delle università, l'Europa dalla quale è scaturita quella stessa modernità di cui tanto andiamo fieri. Gloria e riconoscenza eterna, diciamolo da europei e da moderni, all'Islam di Avicenna, di Averroè, di Ibn Khaldun: senza i quali non avremmo avuto né Abelardo, né Tommaso d'Aquino, né Dante, né Machiavelli, né Galileo. Certo, l'Islam di oggi non è più quello di allora. Ma anche su ciò, bisogna intenderci. Europa e Islam hanno potuto trattare da pari a pari finché sono stati più o meno sullo stesso piano. Cerchiamo di distinguere i loro rapporti in sei specifiche fasi.
….[Si delineano le diverse fasi che hanno caratterizzato il rapporto tra Europa e Islam, e a proposito del periodo a noi più vicino si osserva:]
Dopo l'ondata della conquista dei secoli VII-X e quella della intermittente guerra turco-ottomana contro l'Europa,ecco quella che qualcuno chiama la "terza ondata" dell' immaginario assalto musulmano all'Europa. Quello degli extracomunitari e dei clandestini. Quello ancora privo di armi nel senso vero del termine, ma tuttavia "armato" di aggressività culturale e di vitalità demografica e sostenuto dalla propaganda fondamentalista che mina con l'immigrazione dall'interno quel "Satana occidentale" che vuol colpire con il terrorismo all'esterno.
E' un'interpretazione folle: che tuttavia è condivisa tanto da alcuni estremisti islamici ("islamisti", appunto, come si dovrebbero più propriamente chiamare: e nelle ragioni dei quali la religione ha ben poco posto) quanto da alcuni fanatici occidentalisti che hanno bisogno d'identificare nell'Islam il nuovo "nemico metafisico".
Diagnosi e possibili terapie
E' fondamentale gestire la sesta fase dei rapporti tra Occidente e Islam, nella quale attualmente ci troviamo, con saggezza e moderazione. Tagliando l'erba sotto i piedi alla velenosa campagna demagogica dei fondamentalisti islamici: vale a dire distinguendo nettamente gli ambienti, i filoni e i fini dei differenti ambienti musulmani; stringendo sempre più i rapporti con la stragrande maggioranza islamica che desidera articolare un rapporto di convivenza tra modernità e Islam; collaborando a risolvere alcuni problemi cruciali - come quello israeliano-palestinese […]

A commento della lettura della prima lettera di Pietro riportiamo l’omelia di Enzo Mazzi del maggio 1968, tratta dal libro “L’Isolotto: una comunità fra Vangelo e diritto canonico” di Sergio Gomiti, Edizioni il pozzo di Giacobbe, 2014:
 « “Comportatevi da uomini liberi, non come chi usa la libertà come una maschera per coprire la malizia, ma da servi di Dio”.
Queste parole di S. Pietro che abbiamo lette dalla sua prima lettera sono molto attuali.
La libertà è anche oggi la più grande aspirazione degli uomini e dei popoli. La libertà è una mèta e una causa per la quale merita veramente spendere tutto.
Ma il cammino verso la libertà, anche oggi come ai tempi di Pietro, è ostacolato dalla falsità.
L’Apostolo dice che bisogna stare attenti a non usare della libertà come  di una maschera per coprire la malizia.
C’è dunque un modo vero e uno falso di cercare, di difendere e di usare la libertà. E’ importante cercare la libertà in modo vero.
Prendiamo un esempio: l’affamato e il sazio.
L’affamato cerca disperatamente la libertà di sfamarsi; il sazio invece cerca la libertà di godersi in pace la propria sazietà, senza essere disturbato da nessuno.
Non è difficile capire che il primo è sincero nella sua ricerca di libertà, il secondo invece è falso, egli usa della libertà come di una maschera per coprire il proprio egoismo.
Oggi, nella società nella quale viviamo, si parla tanto di libertà. Sentiamo dire che la nostra società è una società libera e che dobbiamo difendere questa libertà.
Ma che libertà è la nostra: è vera libertà o libertà falsa?
Dobbiamo cercare di vederci chiaro, perché la libertà è una cosa molto importante. La lettera di S. Pietro ci invita a questo esame.
Prendiamo uno degli aspetti più fondamentali della libertà e che, in questo caso, ci riguarda in modo particolare: la libertà religiosa.
Si dice che nella nostra società vi è libertà religiosa. E’ vero questo?
Badate bene che quando si parla di libertà religiosa non si intende la possibilità di vivere o no la religione esteriormente, la facoltà di andare o no in chiesa, la possibilità di insegnare la religione nelle scuole, la possibilità di costruire chiese, ecc.
La libertà religiosa riguarda il più profondo dell’uomo e in particolare la possibilità di cercare la verità, la possibilità di pensare, di fare le proprie scelte religiose, di aderire al Vangelo e alla Chiesa in maniera personale, attiva, responsabile e creativa.
Questa è la vera libertà religiosa. Ma vi è da noi questa libertà religiosa?
Domandiamoci prima di tutto quale è la libertà dell’uomo comune, dell’operaio, della persona del popolo in ordine alla ricerca della verità… La persona del popolo, l’uomo comune deve solo affidarsi a chi ha il tempo, la possibilità e il compito di pensare e quindi di decidere.
Di fatto la gran massa della gente è considerata solo a livello delle sue possibilità di lavoro, di produzione. Si guarda come la massa può essere influenzata, guidata, magari anche contentata; ma le è tolta la possibilità di pensare e di decidere.
La stessa condizione del lavoro è tale che non c’è tempo di pensare e i pochi spazi che rimangono liberi sono riempiti spesso da cose che stordiscono e fanno dimenticare la realtà dei problemi.
La libertà più profonda dell’uomo scompare, e l’uomo come tale, cioè come persona che pensa e che decide, è ridotto a nulla…
Non vi sembra dunque che nel nostro sistema sociale la libertà religiosa si riduca davvero a poco più che un paravento?
La stessa struttura ecclesiastica è talmente inserita in questo sistema sociale che finisce per sostenerlo e per renderlo più oppressivo.
E’ doloroso vedere come gli uomini, per ognuno dei quali Cristo è morto e risorto, sono considerati, perfino dalla Chiesa, poco o nulla in quella che è la loro caratteristica fondamentale: la libertà, la loro libertà di pensare, di maturare e di decidere. Di fatto ciò che la Chiesa propone agli uomini, alla massa degli uomini, è un complesso di verità e di cose bell’e pensate, bell’e fatte… Il guaio è che fuori della Chiesa si trova subito un altro complesso di verità pronto ad accogliere e ad opprimere. Non vi sembra che anche nella nostra società la libertà religiosa sia un po’ una maschera, come dice S. Pietro?
Non vi sembra che sia importante aprire gli occhi su queste cose? Non vi sembra che valga la pena di impegnarsi a fondo perché la nostra società divenga più rispettosa della libertà delle persone e specialmente delle persone più umili?
Non ci nascondiamo che si tratta di un impegno assai difficile, duro e anche rischioso. Ci sembra però l’impegno più importante dei nostri tempi, perché l’aspirazione alla libertà è senz’altro la aspirazione più fortemente sentita dagli uomini e dai popoli».

Note:
-       bisogna tener presente che l'Islam è unico e unito nella sua comunità religiosa, l'umma: diviso però in una pluralità di culture, si stati, di scuole, di gruppi confraternali
-       passato coloniale – scelte sull’insediamento ebraico in Palestina

Le due memorie

Scontro di due memorie
Mahmud Darwish, Birwa(Alta Galilea 1942, Houston 2008)
   La memoria ebraica ha trasformato una delle sue pretese basilari in rivendicazione di diritto alla Palestina, eppure è incapace di riconoscere il diritto altrui e di apprezzarne il senso della memoria. Gli israeliani rifiutano di convivere con la memoria palestinese, rifiutano di riconoscerla, nonostante uno degli slogan nazionali ebraici sia “non dimenticheremo”.
Mantenere la coscienza collettiva in stato di perenne ricordo per polarizzare il sentimento nazionale è una delle materie fondamentali insegnate nella scuola israeliana nella prima nella scala delle priorità sioniste. Ripetono sempre: “possa io dimenticare la mia mano destra, se ti dimentico Gerusalemme!”. Dopo l’olocausto a cui gli ebrei europei sono stati sottoposti dal nazismo, il loro moto fondante è diventato “non dimenticheremo e non perdoneremo”.
Ogni anno gli israeliani commemorano le proprie vittime. Israele si ferma. Ci sono un museo specifico, un insegnamento specifico, un programma specifico per ricordare l’olocausto alle nuove generazioni. Nel libro di Amos Elon intitolato Israeliani, c’è un capitolo specifico dedicato a questo argomento che dice: “Agli occhi della giovane generazione post-sionista, l’olocausto ha perciò confermato uno dei temi fondamentali del sionismo classico del 19º secolo: senza un paese proprio si è la feccia della terra, preda inevitabile delle belve”. Nel libro viene riconosciuto il fatto che la politica israeliana strumentalizza l’olocausto come ricatto emotivo.
La cultura israeliana insiste nel saturare i cittadini con le memorie dell’Olocausto avvenuto in Europa per acuire la sensazione di esilio e isolamento dal resto del mondo. Sensazione essenziale nella psicologia e nel temperamento israeliani. Alimentare la memoria israeliana ha, dunque, un intento politico preciso: acuire la rivendicazione sionista della Palestina inculcando negli israeliani la convinzione che la minaccia dello sterminio rimane costante e che tornare e rifugiarsi in “terra d’Israele” è l’unica garanzia di sicurezza storica e politica.
   L’olocausto e sua utilizzazione a fini politici
 Non dimenticare le stragi naziste è un dovere di tutti, non soltanto degli ebrei. Qualsiasi livello di antagonismo arabo-israeliano si sia raggiunto, nessun arabo ha il diritto di simpatizzare con il nemico del proprio nemico, perché il nazismo è nemico di tutti i popoli. E questa è una cosa.
Però Israele sfoga i suoi rancori su un altro popolo chiedendo ai palestinesi e a qualsiasi altro arabo di pagare il prezzo di crimini che non hanno commesso. E questa è un’altra cosa.
Gli israeliani si vantano di fronte al mondo di essere i primi profughi ed esiliati nella storia dell’umanità, fino al punto di trasformare questo attributo in un segno distintivo. Però sono completamente incapaci di comprendere che anche altri possono possedere lo stesso senso.
Non è crudele affermare che il comportamento dei sionisti contro il popolo palestinese è paragonabile alle pratiche naziste applicate contro gli stessi ebrei.
 Non è crudele affermare che il comportamento israeliano e quello del movimento sionista nei rapporti internazionali strappano proprio di bocca il commento: commerciano con il sangue delle vittime ebree. Con i soldi e l’equipaggiamento ricevuti in risarcimento delle vittime del nazismo uccidono un altro popolo.
Dunque non è crudele nemmeno affermare che il modo in cui Israele commemora le vittime del nazismo è caratterizzato dal ricatto emotivo; in quanto saturare gli israeliani tramite il senso dell’olocausto spinto all’eccesso e contemporaneamente tramite il bisogno di vendicarsi non del proprio carnefice ma di un’altra vittima, ossia il popolo palestinese, è un obiettivo politico.
il sionista arrogante non si vergogna di vantare che la perdita di 6 milioni di ebrei, o giù di lì,  gli è valsa una patria.
(Darwish, Una trilogia palestinese, Feltrinelli, Milano 2014, pgg.45-46)
(Mahmud Darwish, Una trilogia palestinese, Feltrinelli ed., 2014, p.

venerdì 23 gennaio 2015

Il Cohousing, un altro modo di abitare


Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 18 gennaio 2015
Il Cohousing, un altro modo di abitare
riflessioni di Carlo, Claudia, Gisella, Luisella, Maurizio,
con l’intervento delle architette Genziana Fabiani e Anna Guerzoni  

Letture

Una volta stabilitosi in casa, Davide disse al profeta Natan: «Ecco, io abito una casa di cedro mentre l'arca dell'alleanza del Signore sta sotto una tenda». Natan rispose a Davide: «Fa' quanto desideri in cuor tuo, perché Dio è con te».Ora in quella medesima notte questa parola di Dio fu rivolta a Natan: «Va' a riferire a Davide mio servo: Dice il Signore: Tu non mi costruirai la casa per la mia dimora. Difatti io non ho mai abitato in una casa da quando feci uscire Israele dall'Egitto fino ad oggi. Io passai da una tenda all'altra e da una dimora all'altra. Durante tutto il tempo in cui ho camminato insieme con tutto Israele non ho mai detto a qualcuno dei Giudici, ai quali avevo ordinato di pascere il mio popolo: Perché non mi avete costruito una casa di cedro? Ora, riferirai al mio servo Davide: Dice il Signore degli eserciti: Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, per costituirti principe sul mio popolo Israele. Sono stato con te in tutte le tue imprese; ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te; renderò il tuo nome come quello dei più grandi personaggi sulla terra. Destinerò un posto per il mio popolo Israele; ivi lo pianterò perché vi si stabilisca e non debba vivere ancora nell'instabilità e i malvagi non continuino ad angariarlo come una volta, come quando misi i Giudici a capo di Israele. Umilierò tutti i tuoi nemici, mentre ingrandirò te. Il Signore ha intenzione di costruire a te una casa. Quando i tuoi giorni saranno finiti e te ne andrai con i tuoi padri, susciterò un discendente dopo di te, uno dei tuoi figli, e gli renderò saldo il regno. Costui mi costruirà una casa e io gli assicurerò il trono per sempre. Io sarò per lui un padre e lui sarà per me un figlio; non ritirerò da lui il mio favore come l'ho ritirato dal tuo predecessore. Io lo farò star saldo nella mia casa, nel mio regno; il suo trono sarà sempre stabile».
                                                                                                                                [cronache, 1, 1-15]

In quei giorni Gesù disse: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande».
                                                                                                                                                                                                                   [Matteo, 7, 21-27]

I riferimenti alla “casa” si trovano molto spesso nella Bibbia, sia nel nuovo che nel vecchio Testamento.
Nella Bibbia la tenda, l’abitazione, la casa rimandano ad un’esperienza umana basilare che esprime sicurezza, conforto, riparo, solidarietà, luogo di incontro e di scambio.
Ecco allora la preoccupazione costante del popolo biblico: la casa.
Per i Patriarchi essa è sinonimo di discendenza; per la gente in fuga dall’Egitto e in cammino attraverso il deserto si identifica con la terra promessa; per gli esiliati, lontani dalla patria, vuol dire rientrare a contatto con la propria terra e con gli affetti familiari lontani.
Ad un certo punto, il re Davide vuole addirittura costruire una casa per Dio, il tempio di Gerusalemme.  
Gesù nel Vangelo dice di non avere dove posare il capo, di fatto alloggia nella casa di Pietro a Cafarnao, e non disdegna di entrare in casa di Levi, di Zaccheo, di Simone fariseo e di molti altri per mangiare e, nello stesso tempo, coglie l’occasione per insegnare, guarire e perdonare. 
Nei Vangeli casa è espressa con i termini greci òikos, òikia; entrambi questi termini ricorrono ben 209 volte. Quindi vuol dire che l’idea-concetto di casa, nel Nuovo Testamento, è più che attestata.
Nell’antica traduzione greca della Sacra Scrittura, la cosiddetta traduzione dei LXX, òikos, oikìa traducono l’ebraico bait (che veniva usata per intendere sia la casa come abitazione che la famiglia e la dinastia, con una  connotazione positiva dell’ambiente domestico come luogo protetto rispetto ad un contesto esterno ostile), ma possono tradurre anche altri significati, come tenda, reggia, ecc.
E’ curioso osservare che tutta la vicenda di Gesù raccontata nei Vangeli inizia e finisce in una casa, quella non disponibile per la sua nascita e quella dell’ultima cena.

Lettura da Il Profeta di Khalil Gibran

Allora un muratore si fece avanti e domandò: Parlaci della Casa.
Egli rispose, dicendo:

 

Prima di costruire dentro le mura cittadine, immaginate una dimora nel deserto.
Poiché come voi rincasate al crepuscolo, così fa il vagabondo che è in voi, sempre lontano e solitario.
La casa è il vostro corpo più grande.
Vive nel sole e si addormenta nella quiete della notte; e non è senza sogni. La vostra casa non sogna? e sognando non lascia la città per un boschetto o per la cima d'un colle?

 

Vorrei raccogliere in mano tutte le vostre case e spargerle sui prati e le foreste come un seminatore.
Vorrei che le strade fossero valli, e i vostri viali verdi sentieri, perché possiate cercarvi l'un l'altro tra le vigne, e incontrarvi con gli abiti odorosi della fragranza della terra.

 

Ma queste cose non possono ancora avvenire.
Nella loro paura, i vostri antenati vi riunirono troppo vicini gli uni agli altri. E quella paura durerà ancora un po' a lungo. Ancora un po' le mura cittadine separeranno dai campi i vostri focolari.

 

E ditemi, gente di Orphalese, che cosa c'è in queste case? Che cosa proteggete con porte sbarrate?
Avete pace, la calma passione che rivela la forza?
Avete ricordi, le arcate luminose che abbracciano la sommità della mente?
Avete la bellezza, che guida il cuore dagli oggetti di legno e di pietra alla montagna sacra?
Ditemi, avete questo nelle vostre case?
O avete solo gli agi, e la brama degli agi, quella cosa furtiva ch'entra in casa come visitatrice, e poi diventa ospite, e infine padrona?

 

Sì, essa vi doma, e con frusta e uncino trasforma in burattini le vostre più grandi aspirazioni.
Benché abbia mani di seta, il suo cuore è di ferro.
Vi addormenta cullandovi, solo per starvi accanto al letto e farsi gioco della nobile carne.
Deride i sani sensi, e li pone tra i cardi come fragili vasi.
In verità, la brama degli agi uccide la passione dell'anima, e segue sogghignando il suo funerale.

 

Ma voi, figli dello spazio, voi irrequieti nel riposo, non sarete intrappolati e domati.
La vostra casa non farà da àncora, ma da albero maestro.
Non sarà la lucida pellicola che ricopre la ferita, ma la palpebra che protegge l'occhio.
Non piegherete le ali per passare attraverso le porte, non chinerete la testa per non urtare il soffitto, non tratterrete il fiato per paura che i muri si crepino e cadano.
Voi non abiterete dentro tombe costruite dai morti per i vivi.
E a dispetto della sua magnificenza, la vostra casa non custodirà il vostro segreto né riparerà la vostra ansia.
Perché quello che in voi è sconfinato dimora nel palazzo del cielo la cui porta è la nebbia mattutina, e le finestre i canti e il silenzio della notte.


1. Breve storia della casa
Fin dalla preistoria la specie umana – come del resto fanno anche gli animali - ha cercato di trovare o costruirsi una casa, un luogo che fungesse da riparo e da rifugio. La prima forma di casa in questo senso è stata la grotta; poi c’è stata la tenda che ha accompagnato la specie umana nei suoi percorsi di nomadismo; e la capanna che compare fin dal Neolitico e che implica già la capacità della specie di minimo di progetto di architettura; un altro tipo particolare di abitazione, anch'esso risalente al Neolitico, è dato dalle palafitte, case di legno costruite su piattaforme infisse nell'acqua su alti pali, allo scopo di difesa in ambienti acquitrinosi e paludosi.
I materiali con cui venivano costruite le case nei tempi antichi come oggi dipendevano dalle diverse condizioni ambientali e climatiche: il legno è tipico delle zone ricche di boschi, mentre l'uso del mattone contraddistingue l’area mediterranea e le zone medio-orientali. La costruzione con muri di argilla, ciottoli e pietre a blocchi cominciò alla fine del Neolitico nelle grandi civiltà d'oriente. Qui iniziarono ad essere costruite case la cui struttura rimarrà immutata nel corso dei secoli: sono abitazioni ad uno o più piani, con il tetto a forma di terrazza che serve a raccogliere l'acqua piovana.
Con il passare del tempo e con la formazione delle prime civiltà stanziali, oltre alla funzione di riparo e protezione le abitazioni assumono anche altre funzioni, le funzioni di inter-relazione e socialità tra i membri della famiglia e non solo.
Assumono poi aspetto e forma diverse a seconda dei diversi strati sociali. Si assiste, così, allo sviluppo di modalità costruttive diverse per le abitazioni popolari da un lato e per le élite dall'altro. Una distinzione che, con modalità differenti, durerà fino ai nostri giorni.


2. Il cohousing, un diverso modo di abitare

Cos’è il cohousing? :  è un modello abitativo nato negli anni Sessanta nel nord-Europa che combina l'autonomia dell'abitazione privata con la condivisione di spazi e servizi comuni (cucine, lavanderie, spazi giochi, orti e ogni altro spazio  comune considerato rilevante per quella specifica comunità) da parte di un gruppo limitato di nuclei famigliari. Gli spazi comuni sono utilizzati e gestiti in modo collettivo ottenendo così risparmi di costi e benefici dal punto di vista sociale e ambientale.
I vantaggi del co-housing:  questo modo di abitare presenta alcuni interessanti vantaggi:
-       la socializzazione, la cooperazione, il reciproco aiuto tra le persone;
-       il contenimento dei costi nella gestione dell’abitare, il risparmio energetico, il minor impatto ambientale.
Quando nasce il cohousing: la nascita del cohousing è fissata nel 1964 quando un architetto danese, Jan Gødmand Høyer, progetta e realizza la prima esperienza di co-abitazione per la comunità di Skråplanet. Successivamente il cohousing si diffonde nei paesi del Nord Europa e in particolare in Danimarca, Olanda e nei paesi scandinavi, ma fino agli anni ‘Ottanta resta un fenomeno limitato al contesto nord-europeo. Successivamente prende piede anche negli USA e in Australia e da qualche anno comincia ad essere conosciuto e sperimentato anche nei paesi mediterranei, compresa l’Italia.
Le caratteristiche comuni alle varie esperienze di co-housing
Ogni progetto di cohousing ha una storia diversa e proprie caratteristiche, vi sono tuttavia alcuni tratti comuni alle diverse esperienze finora realizzate.
·       Progettazione partecipata: riguarda il progetto edilizio vero e proprio ma soprattutto il progetto di comunità: cosa e come condividere, come gestire i servizi e gli spazi comuni.
·       Gestione locale: le comunità di cohousing sono amministrate direttamente dagli abitanti, che si occupano anche di organizzare i lavori di manutenzione e della gestione degli spazi comuni.
·       Struttura non gerarchica: nelle comunità di cohousing si definiscono responsabilità e ruoli di gestione degli spazi e delle risorse condivise (in genere in relazione agli interessi e alle competenze delle persone) ma nessuno esercita alcuna autorità sugli altri membri; le decisioni sono prese sulle base del consenso.
·       Sicurezza: il cohousing offre la garanzia di un ambiente sicuro, con forme alte di socialità e collaborazione, particolarmente idoneo per la crescita dei bambini e per la sicurezza dei più anziani.
·       Benefici economici e servizi a valore aggiunto: la condivisione di beni e servizi consente di risparmiare sul costo della vita. Inoltre indipendentemente dalla tipologia abitativa, la formula del cohousing consente di accedere a beni e servizi condivisi che per il singolo individuo avrebbero un costo economico maggiore.
·       Privacy: L’idea del cohousing permette di coniugare i benefici della condivisione di alcuni spazi e attività comuni, mantenendo l’individualità della propria abitazione e dei propri tempi di vita.



Il co-housing nel mondo.Tre esperienze del Nord America [tratto da www.cohousingitalia.it]
·       In Canada : l'ultima pietra del cohousing canadese Pacific gardens è stata posta nel settembre 2009. Ubicato presso la città di Nanaimo, i cohousers condividono vita, spazi ma sopratutto un progetto: vivere in pace, nel rispetto della natura, degli uomini e di tutti gli esseri viventi. Rendere la propria presenza fonte di miglioramento dell'ambiente circostante: per questo lo stile architettonico utilizzato per gli esterni ricorda un grande giardino e gli interni un grande cortile. Un luogo sicuro e sereno per tutte le generazioni, che vivono come in una grande famiglia allargata mantenendo comunque il proprio spazio intimo e personale.
·       Swan’s Market - Oakland in California (USA): il mercato è un edificio storico dell‘inizio del ‘900 ristrutturato in modo da ospitare un mercato alimentare, una gallerie d’arte, un museo d’arte per bambini, dei negozi, un caffè, uffici, case in affitto a prezzi ragionevoli e un cohousing. Swan’s Market è il risultato di un progetto di riqualificazione di un’area urbana degradata. La riprogettazione ha dovuto tener conto di parecchi vincoli a causa sia del suo carattere di mercato storico e della presenza di attività economiche, ma questi vincoli hanno anche suggerito la struttura. La casa comune ha  una cucina e una sala da pranzo dove i residenti condividono un pasto tre volte alla settimana; c'è una stanza a vetri con moquette per i giochi dei bambini. Al pianterreno si trovano la lavanderia e la futura stanza degli ospiti, la palestra e il laboratorio. E’ adatta a portatori di handicap. Il consenso generale è che un rilassato pomeriggio di domenica con a seguire una cena condivisa, sia la scelta più piacevole per la riunione mensile dei cohousers.
·       Temescal Creek - Oakland in California (USA): nel marzo 1999, dopo soli tre mesi di incontri, un gruppo di cinque famiglie ha fondato il cohousing di Temescal Creek, una comunità di “retrofit cohousing”[1] a Oakland in California. La nostra idea era quella di creare e vivere in una comunità che promuovesse l’armonia al suo interno e nel suo rapporto con la società e con l’ambiente. Il primo passo nella creazione del nostro progetto è stato quello di acquistare, in proprietà comune, da un proprietario comprensivo, tre unità bifamiliari adiacenti, nel Nord di Oakland. Più tardi abbiamo acquistato altre due case adiacenti nello stesso isolato.
Abbiamo assunto una società specializzata in cohousing per aiutarci a sviluppare un piano adatto per la nostra comunità. Il problema era quello di costituire un’associazione condominiale mentre progettavamo e costruivamo la nuova casa comune. In tal modo ogni unità avrebbe avuto un mutuo separato e sarebbe diventata proprietaria di una parte, uguale per tutti, della casa comune. Abbiamo pagato 20 euro l’ora ad alcuni dei residenti della nostra comunità per sbrigare il lavoro necessario ad ottenere i permessi e per variare la struttura proprietaria da comune a condominiale. Per conoscere i nostri vicini abbiamo organizzato feste per tutto l’isolato e altre divertenti occasioni di incontro. Qualche tempo dopo, quando presentammo alla commissione edilizia una grossa variazione di progetto per costruire proprio sulla linea di confine, quei vicini scrissero lettere di sostegno e uno di loro si presentò davanti alla commissione per parlare in nostro favore.
Per limitare i costi non abbiamo fatto eseguire tutti i lavori all’impresa edile. Abbiamo preferito pagare uno della comunità che lavora nel ramo, per subappaltare la finitura esterna in stucco, l’imbiancatura, i lavori sul terreno e le opere esterne in cemento. È un sistema per ridurre i costi che raccomandiamo nel caso ci sia qualcuno disponibile a farlo che abbia il sostegno del resto della comunità. Spesso pensiamo che se la nostra comunità avesse preso la strada della costruzione ex novo, probabilmente a questo punto staremmo appena traslocando. Invece in questi cinque anni, abbiamo avuto il piacere di vivere nella comunità mentre noi stessi la stavamo creando, condividendo pasti e pietre miliari e guardandola crescere assieme i nostri figli.

Il co-housing in Europa [da www.cohousingitalia.it]
Il primo cohousing, sorto nel 1972 nei pressi di Copenhagen, ha dato il via a molte esperienze sviluppatesi inizialmente in nord Europa -  Svezia, Germania, Inghilterra, Olanda, Danimarca – e poi nel resto d’Europa e del mondo. Ne descriviamo qui alcune.
-       Wandelmeent - Olanda: Wandelmeent è la prima esperienza di cohousing olandese; vi sono
50 abitazioni dove vivono circa 200 persone (single, giovani coppie con o senza bambini e anziani) situate tra Amsterdam e Utrecht. Tutto è cominciato nel 1969, quando una donna scrisse a un giornale, lanciando un appello per la creazione di una struttura di tipo comunitario. Sei mesi più tardi, nacque un gruppo interessato all’iniziativa e furono decisi i tre aspetti principali del progetto: accessibilità a tutte le fasce di reddito; dimensioni delle abitazioni; autonomia nel decidere il modo di organizzare e gestire la comunità. Nel 1972, dopo un’intensa campagna di reclutamento, il gruppo promotore si arricchì di numerosi membri. Lo studio di architetti “Leo de Jonge” propose un progetto sperimentale che venne sovvenzionato dal Ministero della Cultura, del Tempo Libero e della Solidarietà Sociale. Finalmente, nel 1977, le prime famiglie si trasferirono nel cohousing. L’architettura di Wandelmeent è molto particolare. Il viale tra le abitazioni è punteggiato da piazzette e affiancato dal verde della natura che abbellisce anche le costruzioni, l’aspetto estetico del villaggio è di grande richiamo. Il piccolo borgo è costituito da 10 costruzioni, ognuna delle quali comprende 5 abitazioni e una sala comune abbastanza ampia da accogliere tutti gli abitanti di quel circolo. La sala comune è arredata con una cucina con in mezzo una grande tavola circondata da numerose sedie. Nella struttura sono presenti altre costruzioni destinate al tempo libero. Agli ospiti sono destinate tre camere, ognuna con bagno privato, dove possono alloggiare amici e visitatori di passaggio. Per entrare a far parte di Wandelmeent è previsto un percorso di ammissione allo scopo di conoscere meglio le motivazioni del candidato e le possibilità di integrazione con il gruppo dei residenti. Ognuno si impegna a partecipare alla riunione comunitaria che si svolge almeno una volta al mese, il cui scopo è quello di promuovere la convivialità all’interno del gruppo, ma anche affrontare le numerose questioni organizzative.
·       Community Project – Gran Bretagna: Il Community Project è una vivace comunità di cohousing costituita da 21 famiglie. É inserita in 5 ettari di terreno che ospitano anche animali domestici. Il venerdì sera si tiene una cena comune dove ognuno porta una pietanza. Il progetto era nato proprio attorno a un tavolo da pranzo dove un gruppo di amici parlava di “come sarebbe bello se...”. Come sarebbe bello se potessimo vivere vicini l’uno all’altro, se potessimo vivere in un vicinato unito, amichevole e vivace. Volevano trovare un equilibrio tra il sentimento comunitario di amicizia e il bisogno di intimità e privacy. Una sorta di comunità, ma con abitazioni private e senza economia in comune. Solo dopo anni dall’inizio dello sviluppo del loro progetto hanno sentito parlare di cohousing e hanno capito che era esattamente quello che essi avevano creato. L’edificio comune è enorme e in continua trasformazione fino ad oggi. É dotato di una cucina, una sala da pranzo, una sala da gioco per i piccoli e una per i ragazzi, un’ampia sala utilizzata per spettacoli, un laboratorio artigiano, una palestra che può anche ospitare incontri di molte persone, stanze per gli ospiti, una serie di uffici, di cui nove sono affittati a membri della comunità che lavorano “da casa”. La gestione quotidiana della vita nel cohousing è organizzata in sottogruppi. Ogni sottogruppo ha un suo budget, ma le spese maggiori devono essere approvate da un gruppo più ampio. L’esperienza del Community Project indica che una sola cena a venerdì è al limite minimo della frequenza. I residenti sostengono anche che, una volta che le cose hanno trovato un loro ordine, è molto difficile trovare il consenso necessario per cambiare.
Munksøgaard Roskilde – Danimarca: è un grande cohousing vicino al centro universitario di Roskilde, una città di 45.000 abitanti. La comunità, suddivisa in 5 blocchi di 20 abitazioni ciascuno è stata edificata intorno a una vecchia fattoria. Le case di legno sono a due piani. Un blocco è per i giovani e un altro per gli anziani, mentre i tre blocchi rimanenti sono destinati a famiglie: in uno gli alloggi sono di proprietà privata, in un altro sono in affitto e il terzo è di proprietà di una cooperativa. Tutti i blocchi comprendono edifici per le attività comuni. Ad est dell’insediamento vi sono dei  campi dove sono tenuti gli animali da pascolo e si sta avviando la coltivazione di ortaggi e cereali. Due anni fa Munksøgaard ha vinto il primo premio per il miglior insediamento sostenibile del XXI secolo. La costruzione è stata realizzata da un normale imprenditore edile. I collaboratori del progetto hanno curato particolarmente l' aspetto ecologico. Il processo di pianificazione è iniziato nel marzo del 1995 intorno a un progetto che poi è stato sintetizzato nella dichiarazione d’intenti: “Vogliamo costruire una comunità di cento alloggi, sia per giovani che per anziani. Una parte delle abitazioni deve essere destinata a chi si può permettere una casa di proprietà, una parte a chi può sostenere solo una parte di un mutuo e una parte ancora destinata a quelle persone che possono permettersi solo un affitto. Le case dovranno essere realizzate con i materiali migliori e più salubri, cercando di individuare, per ogni aspetto, le soluzioni più sostenibili”. Con la costruzione di Munksøgaard abbiamo dato un aiuto concreto all’amministrazione locale a sviluppare l’edilizia nell’area di Trekroner. Non ci aspettiamo troppo l’uno dall’altro, ma ci rispettiamo, proponendo possibilità concrete di collaborazione: per esempio condividiamo l’uso delle automobili e i pasti nella sala della comunità. Raccogliamo l’acqua piovana e la usiamo per il bucato nelle case comuni. Abbiamo un sistema di riscaldamento locale basato una combinazione di legna (per la combustione) e pannelli solari (per l’acqua). I pannelli solari assicurano circa il 50% dell’energia necessaria al riscaldamento dell’acqua. Le case sono costruite in legno con muri interni fatti di mattoni d’argilla cruda.

Esperienze di co-housing in Italia 

Cohousing e condomini solidaliLa conoscenza del co-housing si diffonde con il  libro 'Cohousing e condomini solidali' di Matthieu Lietaert pubblicato nel 2007 da TerraNuova Edizioni.

Nel febbraio 2010 si è costituita la Rete Italiana Cohousing  formata da associazioni e gruppi formali e informali, spontanei e senza scopo di lucro, che si occupano di promozione e/o realizzazione di esperienze di cohousing a livello locale e si riconoscono in questi principi e obiettivi:
·       Promuovere e diffondere sul territorio nazionale la cultura del cohousing ed interagire con realtà affini sia a livello nazionale che internazionale.
·       Sostenere gruppi di cohousing condividendo le conoscenze acquisite e le esperienze maturate, per renderle patrimonio collettivo;
·       Interagire con gli enti pubblici e privati e con tutte quelle realtà territoriali che a vario titolo sono impegnate in attività di supporto alla realizzazione di abitazioni solidali.
·       Fornire informazioni ed essere di stimolo e supporto alle amministrazioni pubbliche nello sviluppo di strumenti normativi ed operativi volti a favorire la costituzione e la diffusione di insediamenti di cohousing;
·       La Rete può essere supportata nelle proprie funzioni da consulenti interni o esterni alla propria organizzazione per l’approfondimento di tematiche specifiche.

Alcuni nodi della rete ed esperienze sono:

·       Abitare Nexsus – Pandino (Cremona) - www.e-cohousing.it
·       Mondo Comunità e Famiglia – Figline Valdarno (FI) - www.comunitaefamiglia.org
·       Le Case Franche - Forlì - www.clusterize.it/progetti/2008/le-case-franche
·       Cohousing Solidaria – Ferrara - www.cohousingsolidaria.org
·       CoVAbito – Varese- www.des.varese.it
·       Kuraj – Reggio Emilia
·       Luoghi Comuni – Como - www.lisolachece.org
·       Associazione CoAbitare – Torino  - www.coabitare.org
·       Cohousing in Toscana – Firenze  - www.cohousingintoscana.it
·       Urban Village Bovisa – Milano  cohousing.it/content/view/34/24/
·       Cohousing in Toscana – Firenze  - www.cohousingintoscana.it
·       Ciò- housing – Faenza - www.ciohousing.it
·       Ecoabitare – Roma - ecohousing-roma.wikidot.com
·       Cooperativa Numero Zero – Torino  - www.cohousingnumerozero.org

Il bando regionale in Toscana 
É stato pubblicato sul BURT del 23 maggio 2012 il bando da 13 milioni di euro per interventi pilota rivolti alla sperimentazione di forme innovative dell’abitare e del costruire. Lo ha annunciato l’assessore al welfare e alle politiche per la casa Salvatore Allocca nel corso di un convegno sul social housing che si è tenuto presso lo stand della Regione a Terra Futura.
“Il bando che abbiamo più volte annunciato – ha detto l’assessore Allocca – è adesso realtà. I Comuni, ai quali il bando si rivolge, avranno 6 mesi di tempo per presentare le proprie proposte nell’ambito delle tre linee di intervento previste. Il bando è una risposta importante al fabbisogno abitativo toscano che ha assunto i caratteri di vera e propria emergenza. Inoltre punta a coniugare concetti importanti come la sostenibilità ambientale, attraverso l’utilizzo di tecniche costruttive ad impatto minimo, quella economica, mettendo al centro il diritto fondamentale ad avere un’abitazione, e quella sociale, cercando di recuperare le relazioni sociali”.
Il bando individua tre linee di intervento:
-       Il 50% dei 13 milioni è destinato ad interventi pilota di co-housing (linea 1), secondo le tecniche della bioarchitettura e bioedilizia e serviranno per costruire o recuperare alloggi da dare in affitto ad un canone inferiore a quello di mercato.
-       Un 25% sarà messo a disposizione per la costruzione di alloggi di rotazione (linea 2), destinati cioè a persone o famiglie che si trovano in una condizione temporanea di disagio abitativo.
-       Il restante 25% sarà utilizzabile per interventi sperimentali di autocostruzione o autorecupero (linea 3).

Destinatari del bando sono i Comuni (singoli o associati) che potranno rispondere non soltanto con progetti propri ma anche con quelli proposti da altri soggetti (cooperative edilizie, imprese di costruzione e cooperative di produzione e lavoro, sia in forma singola che consorziate, associazioni, cooperative o altri organismi senza scopo di lucro). Il contributo regionale, ad esclusione delle eventuali spese per l’acquisto degli immobili o delle aree edificabili, sarà del 100% del costo se l’intervento viene promosso e realizzato dal Comune o dal soggetto gestore Erp, mentre in caso di soggetto proponente privato il sostegno non supererà il 40% dei costi (fatte sempre salve le spese per l’acquisto degli immobili o delle aree). Anche per la linea 2 il sostegno regionale ai costi dell’intervento sarà del 100% ma per un importo che non potrà superare 1 milione di euro (ed anche in tal caso sono escluse le spese per l’acquisto degli immobili o delle aree). Per la linea 3 il contributo regionale non potrà superare i 5 mila euro per quanto riguarda i costi di promozione, coordinamento e formazione, i 10 mila euro per quelli di progettazione ed i 25 mila euro per ogni alloggio realizzato.
Il Comune di Firenze ha aderito al bando della Regione Toscana  per nuove costruzioni con la modalità dell’autocostruzione-autorecupero mettendo a disposizione immobili di proprietà comunale e precisamente:
-       in Via Aretina 513
-       in Via delle Torri 31
-       in Via Reginaldo Giuliani 364


Comunicato stampa del Comune di Firenze del 24.04.2013
Questo pomeriggio il consiglio, approvando la delibera sul regolamento dei contratti, ha dato anche il via libera all’emendamento elaborato dalla Commissione Urbanistica con cui si introduce la possibilità di individuare immobili dismessi dal Comune che possono essere finalizzati ad edilizia sociale (convenzionata, co-housing, autorecupero, ecc.). Secondo il presidente della commissione Urbanistica “significa che nel prossimo piano delle alienazioni e delle valorizzazioni si potrà decidere che un immobile possa essere venduto o messo in concessione non semplicemente per realizzare una entrata di bilancio ma anche per fare alloggi sociali.
Nella stessa direzione va la delibera che approva le varianti che rendono possibili due interventi (uno per alloggi per giovani in co-housing nella ex sede del Quartiere in via Assisi e uno per un intervento di auto recupero proposto da una associazione di abitanti in via delle Torri) che rientrano tra quelli candidati dal Comune all'apposito bando di finanziamento regionale. In relazione a questa seconda delibera, la Commissione urbanistica, raccogliendo anche le richieste del Consiglio di Quartiere 4, ha raccomandato all'amministrazione comunale di fare in modo che l'intervento di via Assisi garantisca il mantenimento e la valorizzazione del Centro di Formazione Professionale lì collocato, sviluppando con questo una sinergia tramite la realizzazione di alloggi che potrebbero essere dedicati prioritariamente proprio ai ragazzi utenti dello stesso CFP, e che siano mantenute tutte le attrezzature pubbliche e associative attualmente esistenti nello stesso immobile.


Una possibile esperienza di co-housing nel Quartiere 4: l’associazione Autorecupero Cohousing Le Torri
intervento di arch. Anna Guerzoni e arch. Genziana Fabiani

Preghiera eucaristica

La solidarietà abita nel più profondo di ognuno di noi.  
Scoprendo l'universo degli altri, diversi ma simili,
e coltivando orizzonti di vicinanza e solidarietà
riusciamo a liberarci dalle catene che ci imprigionano
e a cercare modi più umani ed autentici di vivere.

E’ tenendoci per mano che riusciamo a dare alla vita
un senso nuovo, aperto ad orizzonti ancora impensati,
e al tempo stesso antico,
ricco di tutta la sapienza del cammino umano nei secoli.

Questo spirito ci unisce alle donne e agli uomini di tutti i tempi:
l’anelito e la ricerca di un mondo in cui non esistano più gerarchie,
dove le ultime e gli ultimi siano le prime e i primi,
dove possiamo vivere liberamente la differenza
ed arricchirci delle differenze.

Questa ricerca ha animato anche l’esperienza di Gesù.
il quale, la sera prima di essere ucciso,
durante la cena pasquale con le donne e gli uomini che lo seguivano,
prese del pane, lo spezzò e lo distribuì loro dicendo:
"Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo".
Poi prese il calice del vino, lo diede loro e disse:
"Prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue
versato per tutti i popoli".

Sapienza, condivisione, partecipazione,
sono oggi le parole che accompagnano il cerchio di persone qui riunito
il quale, insieme a tutte le donne e gli uomini di buona volontà,
cerca di  dare alla vita un senso sempre rinnovato
senza perdere una goccia di tutta la sapienza
del cammino umano nei secoli,
compresa la sapienza dischiusa dal Vangelo.





[1] trasformazione in cohousing di un edificio preesistente.