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giovedì 25 marzo 2010

A Enrico Rossi

A Enrico Rossi, candidato a Presidente della Regione Toscana


    le inviamo alcune considerazioni che sono scaturite dalla socializzazione comunitaria nell'incontro svolto dalla Comunità domenica scorsa 14 marzo dedicato al tema dell'accoglienza: per una primavera antirazzista, per non aver paura, per aprirsi agli altri, per fondare la convivenza sui diritti.

    Abbiamo esaminato fra l'altro la situazione dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE). Sulla base di esperienze concrete, di una vastissima documentazione (testimonianze, filmati, reportages giornalistici, documenti di giuristi etc.), della denuncia di varie associazioni, come Amnesty International e Medici senza frontiere, e dell'ampia relazione redatta da una Commissione istituita dal Governo Prodi durante la sua seconda breve esperienza, la Commissione De Mistura, composta da funzionari statali, tecnici, esperti, esponenti del volontariato e dell'associazionismo, risulta che i CIE rientrano appieno - anzi ne sono un cardine - nelle politiche di esclusione, di respingimento, di chiusura degli attuali governanti, politiche che contribuiscono in modo determinante allo sviluppo nel Paese di un razzismo sempre più diffuso e radicato; costituiscono secondo molti giuristi un'aberrazione giuridica al di fuori della Costituzione; sono oggettivamente incompatibili con l'ispirazione di fondo della legge regionale sull'immigrazione (quella legge, avversata dal Governo, che riconosce alcuni elementari diritti anche ai migranti irregolari).

    Di fronte a questa realtà ci risultano poco comprensibili alcune sue affermazioni in campagna elettorale, riguardanti i CIE.

A nostro parere, è giunto all'opinione pubblica il messaggio che il candidato Rossi, in discontinuità con la presente Amministrazione regionale, ha espresso una apertura verso la possibilità di una collaborazione della Regione, se il Governo decidesse di realizzare un CIE anche in Toscana, sebbene a patto che vi venissero rispettati i diritti umani e ne venissero rafforzate le dimensioni di accoglienza ed integrazione nel contesto sociale.

Ci riesce difficile comprendere come un carcere per immigrati irregolari, finalizzato alla loro espulsione, basato su normative nazionali, possa trasformarsi, se calato sul territorio toscano, in un centro che sostiene i migranti perché si regolarizzino e si integrino nel tessuto sociale. E infatti l'accordo di programma della coalizione che sostiene la sua candidatura "esprime un giudizio fortemente critico nei confronti della Legge Bossi-Fini e dei centri di identificazione ed espulsione in quanto si sono dimostrati inefficaci e non rispettosi dei diritti umani".

Riteniamo che se la Toscana - istituzioni e società civile attiva uniti come nel passato - continuerà a dire un chiaro "no" ai CIE darà un segnale importante per l'intero Paese, un segnale che può fare da punto di riferimento per quanti sul territorio cercano di contrastare, con esperienze volte a tutelare i diritti ed a sviluppare la convivenza, i provvedimenti governativi ed il clima d'intolleranza che ne deriva. Avendo coscienza che il razzismo e la xenofobia stanno minando alle radici il nostro assetto democratico (costituzionalmente democratico).

Perciò speriamo in un suo impegno, da Presidente, che tenga conto, in primo luogo, del giudizio fortemente critico nei confronti della Legge Bossi-Fini e dei CIE - contenuto nel programma di "Toscana democratica" - e che sia rivolto ad applicare, con energia e coerenza, la buona legge che, a proposito d'immigrazione, la Regione Toscana si è data.


Con i saluti più cordiali e con senso di stima


la Comunità dell'Isolotto

A Enrico Rossi

A Enrico Rossi, candidato a Presidente della Regione Toscana


    le inviamo alcune considerazioni che sono scaturite dalla socializzazione comunitaria nell'incontro svolto dalla Comunità domenica scorsa 14 marzo dedicato al tema dell'accoglienza: per una primavera antirazzista, per non aver paura, per aprirsi agli altri, per fondare la convivenza sui diritti.

    Abbiamo esaminato fra l'altro la situazione dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE). Sulla base di esperienze concrete, di una vastissima documentazione (testimonianze, filmati, reportages giornalistici, documenti di giuristi etc.), della denuncia di varie associazioni, come Amnesty International e Medici senza frontiere, e dell'ampia relazione redatta da una Commissione istituita dal Governo Prodi durante la sua seconda breve esperienza, la Commissione De Mistura, composta da funzionari statali, tecnici, esperti, esponenti del volontariato e dell'associazionismo, risulta che i CIE rientrano appieno - anzi ne sono un cardine - nelle politiche di esclusione, di respingimento, di chiusura degli attuali governanti, politiche che contribuiscono in modo determinante allo sviluppo nel Paese di un razzismo sempre più diffuso e radicato; costituiscono secondo molti giuristi un'aberrazione giuridica al di fuori della Costituzione; sono oggettivamente incompatibili con l'ispirazione di fondo della legge regionale sull'immigrazione (quella legge, avversata dal Governo, che riconosce alcuni elementari diritti anche ai migranti irregolari).

    Di fronte a questa realtà ci risultano poco comprensibili alcune sue affermazioni in campagna elettorale, riguardanti i CIE.

A nostro parere, è giunto all'opinione pubblica il messaggio che il candidato Rossi, in discontinuità con la presente Amministrazione regionale, ha espresso una apertura verso la possibilità di una collaborazione della Regione, se il Governo decidesse di realizzare un CIE anche in Toscana, sebbene a patto che vi venissero rispettati i diritti umani e ne venissero rafforzate le dimensioni di accoglienza ed integrazione nel contesto sociale.

Ci riesce difficile comprendere come un carcere per immigrati irregolari, finalizzato alla loro espulsione, basato su normative nazionali, possa trasformarsi, se calato sul territorio toscano, in un centro che sostiene i migranti perché si regolarizzino e si integrino nel tessuto sociale. E infatti l'accordo di programma della coalizione che sostiene la sua candidatura "esprime un giudizio fortemente critico nei confronti della Legge Bossi-Fini e dei centri di identificazione ed espulsione in quanto si sono dimostrati inefficaci e non rispettosi dei diritti umani".

Riteniamo che se la Toscana - istituzioni e società civile attiva uniti come nel passato - continuerà a dire un chiaro "no" ai CIE darà un segnale importante per l'intero Paese, un segnale che può fare da punto di riferimento per quanti sul territorio cercano di contrastare, con esperienze volte a tutelare i diritti ed a sviluppare la convivenza, i provvedimenti governativi ed il clima d'intolleranza che ne deriva. Avendo coscienza che il razzismo e la xenofobia stanno minando alle radici il nostro assetto democratico (costituzionalmente democratico).

Perciò speriamo in un suo impegno, da Presidente, che tenga conto, in primo luogo, del giudizio fortemente critico nei confronti della Legge Bossi-Fini e dei CIE - contenuto nel programma di "Toscana democratica" - e che sia rivolto ad applicare, con energia e coerenza, la buona legge che, a proposito d'immigrazione, la Regione Toscana si è data.


Con i saluti più cordiali e con senso di stima


la Comunità dell'Isolotto

Ci mancava, oh, come ci mancava!

Riportiamo due riflessioni di don Paolo Farinella, prete a Genova, sulle recenti "esternazioni" del Presidente del Consiglio e del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Le riflessioni di don Farinella sono la dimostrazione della crescente "rivolta" all'interno della Chiesa cattolica contro le posizioni "politiche" e gli anatemi della Gerarchia, iniziati ai tempi del referendum sulla legge per la fecondazione assistita con il noto invito del Cardinale Ruini a non votare e proseguite sino ad oggi. Oggi Ruini non è più Presidente della CEI, ma Bagnasco non lo fa certo rimpiangere.

Cordiali saluti

Giampietro Sestini

 


Ci mancava, oh, come ci mancava! 

 

Lettera di Berlusconi al Papa sulla pedofilia

Il presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, si complimenta con il papa per la lettera agli Irlandesi sui preti pedofili: Benedetto XVI «è chiamato a confrontarsi con situazioni difficili, che diventano motivo di attacco alla Chiesa e perfino alla sostanza stessa della religione cristiana». Poverino! non riesce a pronunciare la parola «pedofilia». Si è sforzato, ma non ci riesce perché dovrebbe parlare di «sessualità scomposta» e abnorme perpetrata in luoghi e sedi istituzionali, esattamente come ha fatto lui, a dispetto e dileggio di quella morale cattolica di cui ogni giorno fa i gargarismi in pubblico, mentre in privato ne fa strage. Non può parlare di «sesso», lui che, mentre inneggia «alla sostanza stessa della religione cristiana», frequenta prostitute a pagamento dietro compenso in denaro e in posti in parlamento o al governo e dalla moglie è condotto in giudizio per separazione per colpa. Scrive al papa perché, da ruffiano qual è, vuole ingraziarselo.

Qual è il significato di questa lettera insulsa, senza senso, ridicola e immotivata? Io penso che voglia cavalcare il momento di difficoltà del Vaticano, criticato da larghissima parte della Chiesa che ha valutato la lettera agli Irlandesi inadeguata, insufficiente, scontata. Dopo il fallimento del raduno di Roma con precari pagati a cento euro cadauno, il debosciato ha bisogno di ricrearsi una verginità formale e vuole fare sapere al mondo intero che egli sta dalla parte del Vaticano, sempre e comunque. L’immondo travestito da agnello.

Ancora una volta assistiamo alla strumentalizzazione di un momento tragico e doloroso della Chiesa con responsabilità oggettive di papa Ratzinger e contorno e il Caimano ne approfitta subito per fare una genuflessione oscena ad uso personale, perché il fantoccio di uomo non sa vedere altro che usi personali, addomesticati alla sua bisogna. La lettera al papa, opportunamente divulgata, è una forma di propaganda elettorale verso quell’elettorato debole cattolico che si lascerà incantare da questo tronfio e immondo pifferaio e sul quale è piombato come un elefante in una cristalleria il cardinale Angelo Bagnasco.

Il tocco finale, da lupanare, è il riferimento all’efficacia della lettera dovuta secondo lui alla «umiltà e sincerità unita alla chiarezza delle ragioni che il Papa mette in campo». Riguardo all’umiltà, Berluskoniev è un maestro impareggiabile: umile, mite, altruista e, quello che più conta, fondatore del partito dell’amore a pagamento e delle prostitute affittate «a carrettate», con i cattolici che tengono bordone e reggono il moccolo.

Da cattolico inorridisco e vorrei sperare che il papa usasse le sue scarpette rosse per il tiro al bersaglio, nella certezza che questa volta lo Spirito Santo guiderebbe la santa mano per fare centro sul bersaglio catramato e inamidato. So anche, però, che l’Utopia in Vaticano è morta e sepolta da un pezzo, mentre regna e prospera la disonesta ricchezza. W l’umiltà! Parola di Berluskoniev, spergiuro di professione.

 

Prolusione del card. Bagnasco a ridosso delle elezioni: come da copione

Non era ancora arrivata in Vaticano la lettera di Berluskoniev che già nello stesso giorno, si sentiva il controcanto del card. Bagnasco al consiglio permanente della Cei. Egli con tempestività programmata degna di ben altre battaglie, a pochi giorni del voto, parla con il solito linguaggio aulico a supporto del governo e delle formazioni regionali di destra. Si direbbe che più dell’inesistenza di Dio, la Cei tema la vittoria della sinistra o di quella che ci si ostina a chiamare sinistra.

L’attacco frontale all’aborto come materia discriminante delle elezioni regionali è indebita, immorale e indecente. L’aborto è previsto da una legge dello Stato: cosa c’entrano le regioni? L’uscita di Bagnasco è calcolata e mira ad essere una diretta fucilata ad Emma Bonino e a Mercedes Bresso in Piemonte. Per la proprietà transitiva chi attacca Bonino e Bresso, appoggiate dal Pd, appoggia il Pdl che è contro il Pd. Povera gerarchia, ridotta a giocare questi mezzucci pur di vincere la Regione Lazio! Se una donna fa così paura, cosa farebbe un esercito di donne? Scrive il cardinale: «Sarà bene che la cittadinanza inquadri con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale. L’evento del voto è un fatto qualitativamente importante che in nessun caso converrà trascurare … C’è una linea consolidata che … insieme a Benedetto XVI, chiamiamo «valori non negoziabili: … la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l’indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna» (Card. Angelo Bagnasco, presidente Cei, «Prolusione al consiglio permanente del 22-25 marzo 2010, n. 8).

Si può anche essere d’accordo su alcuni aspetti, ma perché proprio, in piena feroce campagna elettorale? Puro caso? C’è forse una relazione o un accordo preventivo tra la lettera di Berlusconi e la prolusione di Bagnasco? I brutti pensieri fanno temere di sì. Se così fosse, sarebbe grave e si conferma la strategia clericale di una alleanza «a prescindere» con il governo Berlusconi; così come si rafforza il sospetto che il silenzio tombale della presidenza della Cei, lo scorso anno, durante la teoria di scandali, personali e istituzionali, perpetrati da Berlusconi, sia stato il prezzo pagato sull’altare della «disonesta ricchezza» pur di tenere in vita un sostegno reciproco, Berlusocni/Vaticano-Cei anche a costo della morale, della verità, della divisione all’interno della Chiesa italiana, anche a costo del sacrificio di innocenti come il povero Dino Boffo.

Al card. Bagnasco risponde indirettamente alcuni giorni prima, quasi prevenendolo, Mons. Luigi Bettazzi che nell’editoriale «Principi non rinunciabili» di Mosaico di Pace(marzo 2010), annovera tra i «principi non negoziabili» tanto cari alla gerarchia ecclesiastica, anche il «bene comune» e i valori «della sincerità e della sobrietà, della legalità e della solidarietà»; così come tra quelli negativi ascrive: l’idolo della ricchezza in funzione del potere, il potere stesso, il permissivismo sociale e l’interesse privato e il fine che giustifica i mezzi.

Il card. Bagnasco, poi, continua: «Dinanzi a quel che va emergendo ad opera della Magistratura, noi Vescovi ci sentiamo di dover chiedere a tutti, con umiltà, di uscire dagli incatenamenti prodotti dall’egoismo e dalla ricerca esasperata del tornaconto e innalzarsi sul piano della politica vera. Questa è liberazione dai comportamenti iniqui, dalle contiguità affaristiche per riconoscere al prossimo tutto ciò di cui egli ha diritto … e innanzitutto la sua dignità di cittadino … al di fuori della morbosità per un certo accaparramento personale, si recuperi il senso di quello che è pubblico, che vuol dire di tutti e di cui nessuno deve approfittare causando grave scandalo dei cittadini comuni, di chi vive del proprio stipendio o della propria pensione ed è abituato a farseli bastare, stagione dopo stagione. C’è un impegno che … non può non riguardare tutti, politici e cittadini …: mettere fine a quella falsa indulgenza secondo la quale, poiché tutti sembrano rubare, ciascuno si ritiene autorizzato a sua volta a farlo senza più scrupoli. Non è vero che tutti rubano, ma se per assurdo ciò accadesse, non si attenuerebbe l’imperativo dell’onestà. Non cerchiamo alibi preventivi né coperture impossibili: sottrarre qualcosa a ciò che fa parte della cosa pubblica non è rubare di meno; semmai sarebbe un rubare di più. Per i credenti questo obbligo assurge alla dignità di comando del Signore, dunque non si può venir meno» (IBID. n. 9).

Come non essere d’accordo? Anche le pietre lo sono. Perché l’aborto deve essere criterio di valutazione elettorale il furto no? Non è un comandamento esplicito anch’esso? Come può il cardinale Bagnasco mettere d’accordo queste parole con il programma, le promesse mai mantenute e le realizzazioni delittuose del governo Berlusconi? Alla luce della parola del cardinale, non si dovrebbe come primo effetto immediato scomunicare l’operato del governo e della sua maggioranza che per disgrazia opprime l’Italia e tutti i cattolici che lo sostengono? Si rende conto il cardinale Bagnasco che il fondatore del partito dell’amore è un frequentatore abituale di minorenni e prostitute e un ladro di professione? Sa il presidente della Cei che Berlusconi ha candidato uomini appartenenti alle diverse mafie, senza distinzione di sorta? E’ a conoscenza il porporato che non meno di 26 inquisiti siedono in parlamento nelle fila del partito che difende «i principi non negoziabili»?

Lo sa che sono oltre trenta le leggi che Berlusconi ha imposto al parlamento a suo favore e della sua cricca e delle sue due famiglie? Perché sua eminenza non fa nomi e cognomi di chi ruba, di chi delinque, di chi corrompe, di chi si lascia corrompere? Si rende conto che il papa ha ricevuto Bertolaso nel momento stesso in cui lo convocava la magistratura della repubblica per chiedergli conto della corruzione di cui lui è artefice, beneficiario, mandante e controllore a danno e sulla pelle dei terremotati dell’Abruzzi, il cui vescovo, Molinari, è uso fare da scendiletto a Berlusconi? Sig. Cardinale perché lei ha taciuto per tutto l’anno quando tutto il mondo accusava Berlusconi di immoralità istituzionale e non solo per l’uso indiscriminato di prostitute e forse di droga, mentre oggi interviene, lesto come un fulmine, il giorno dopo la manifestazione/farsa del Pdl e una settimana prima delle elezioni e per buon peso, nello stesso giorno in cui Berlusconi solidarizza col papa in materia di pedofilia? Forse perché lui è esperto anche in materia? Lo avete assunto come consulente etico della Cei?

Sig. cardinale, la prego, ascolti quello che le dico: Io Paolo Farinella, prete della Chiesa cattolica, affermo con piena avvertenza e informata coscienza che ritengo peccato grave votare chiunque stia dalla parte di Berlusconi perché incompatibile con i principi del vangelo, della dottrina sociale della Chiesa, della morale cattolica e della dignità civile.

E’ un delitto, di cui rispondere davanti alla propria coscienza e a Dio votare per chi conculca i diritti dei poveri, senza differenza di cittadinanza, di chi incita all’odio razziale, di chi corrompe testimoni in tribunale e giudici per avere sentenze a suo favore, di chi compra senatori prezzolati per fare cadere governi democratici, di chi evade il fisco e incita ad evadere, di chi assalta le istituzioni di garanzia, di chi vara leggi a favore suo e della sua azienda, di chi non ha parvenza di morale e vive in modo oscenamente ricco, rubando sulla povertà dei poveri, di chi sperpera denaro pubblico pur di esaltare il culto della propria personalità (v. La Maddalena).

Io Paolo prete, cittadino sovrano residente in Liguria, in forza del criterio del bene comune e del rispetto dei diritti individuali, voterò Alessandra Ballerini, di professione avvocato degli ultimi e dei poveri che si batte per i diritti di tutti e che si presenta con una lista collegata a quella di Burlando Claudio del Pd.

Se votassi in Lazio o in Piemonte non esiterei a votare Bonino o Bresso e auguro all’Italia che Berlusconi e la sua compagnia teatrante siano sconfitti. Faccio gli auguri alla Bonino e alla Bresso, perché, anche se non mi piacciono su tanti punti, possano vincere democraticamente e possano portare un vero «rinascimento laico» nelle loro Regioni, specialmente nel campo della sanità e della scuola.

Sui problemi etici ci confronteremo apertamente, lealmente, democraticamente, senza interferenze e confusioni tra altare e seggio regionale.

Che Dio protegga l’Italia e le sue Regioni dalla peste del berlusconismo e dalla miopia della gerarchia cattolica.


*****************************************

LiberaUscita

Associazione nazionale laica e apartitica

per il diritto di morire con dignità

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Sottolineature di Baraccheverdi

Ci mancava, oh, come ci mancava!

Riportiamo due riflessioni di don Paolo Farinella, prete a Genova, sulle recenti "esternazioni" del Presidente del Consiglio e del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Le riflessioni di don Farinella sono la dimostrazione della crescente "rivolta" all'interno della Chiesa cattolica contro le posizioni "politiche" e gli anatemi della Gerarchia, iniziati ai tempi del referendum sulla legge per la fecondazione assistita con il noto invito del Cardinale Ruini a non votare e proseguite sino ad oggi. Oggi Ruini non è più Presidente della CEI, ma Bagnasco non lo fa certo rimpiangere.

Cordiali saluti

Giampietro Sestini

 


Ci mancava, oh, come ci mancava! 

 

Lettera di Berlusconi al Papa sulla pedofilia

Il presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, si complimenta con il papa per la lettera agli Irlandesi sui preti pedofili: Benedetto XVI «è chiamato a confrontarsi con situazioni difficili, che diventano motivo di attacco alla Chiesa e perfino alla sostanza stessa della religione cristiana». Poverino! non riesce a pronunciare la parola «pedofilia». Si è sforzato, ma non ci riesce perché dovrebbe parlare di «sessualità scomposta» e abnorme perpetrata in luoghi e sedi istituzionali, esattamente come ha fatto lui, a dispetto e dileggio di quella morale cattolica di cui ogni giorno fa i gargarismi in pubblico, mentre in privato ne fa strage. Non può parlare di «sesso», lui che, mentre inneggia «alla sostanza stessa della religione cristiana», frequenta prostitute a pagamento dietro compenso in denaro e in posti in parlamento o al governo e dalla moglie è condotto in giudizio per separazione per colpa. Scrive al papa perché, da ruffiano qual è, vuole ingraziarselo.

Qual è il significato di questa lettera insulsa, senza senso, ridicola e immotivata? Io penso che voglia cavalcare il momento di difficoltà del Vaticano, criticato da larghissima parte della Chiesa che ha valutato la lettera agli Irlandesi inadeguata, insufficiente, scontata. Dopo il fallimento del raduno di Roma con precari pagati a cento euro cadauno, il debosciato ha bisogno di ricrearsi una verginità formale e vuole fare sapere al mondo intero che egli sta dalla parte del Vaticano, sempre e comunque. L’immondo travestito da agnello.

Ancora una volta assistiamo alla strumentalizzazione di un momento tragico e doloroso della Chiesa con responsabilità oggettive di papa Ratzinger e contorno e il Caimano ne approfitta subito per fare una genuflessione oscena ad uso personale, perché il fantoccio di uomo non sa vedere altro che usi personali, addomesticati alla sua bisogna. La lettera al papa, opportunamente divulgata, è una forma di propaganda elettorale verso quell’elettorato debole cattolico che si lascerà incantare da questo tronfio e immondo pifferaio e sul quale è piombato come un elefante in una cristalleria il cardinale Angelo Bagnasco.

Il tocco finale, da lupanare, è il riferimento all’efficacia della lettera dovuta secondo lui alla «umiltà e sincerità unita alla chiarezza delle ragioni che il Papa mette in campo». Riguardo all’umiltà, Berluskoniev è un maestro impareggiabile: umile, mite, altruista e, quello che più conta, fondatore del partito dell’amore a pagamento e delle prostitute affittate «a carrettate», con i cattolici che tengono bordone e reggono il moccolo.

Da cattolico inorridisco e vorrei sperare che il papa usasse le sue scarpette rosse per il tiro al bersaglio, nella certezza che questa volta lo Spirito Santo guiderebbe la santa mano per fare centro sul bersaglio catramato e inamidato. So anche, però, che l’Utopia in Vaticano è morta e sepolta da un pezzo, mentre regna e prospera la disonesta ricchezza. W l’umiltà! Parola di Berluskoniev, spergiuro di professione.

 

Prolusione del card. Bagnasco a ridosso delle elezioni: come da copione

Non era ancora arrivata in Vaticano la lettera di Berluskoniev che già nello stesso giorno, si sentiva il controcanto del card. Bagnasco al consiglio permanente della Cei. Egli con tempestività programmata degna di ben altre battaglie, a pochi giorni del voto, parla con il solito linguaggio aulico a supporto del governo e delle formazioni regionali di destra. Si direbbe che più dell’inesistenza di Dio, la Cei tema la vittoria della sinistra o di quella che ci si ostina a chiamare sinistra.

L’attacco frontale all’aborto come materia discriminante delle elezioni regionali è indebita, immorale e indecente. L’aborto è previsto da una legge dello Stato: cosa c’entrano le regioni? L’uscita di Bagnasco è calcolata e mira ad essere una diretta fucilata ad Emma Bonino e a Mercedes Bresso in Piemonte. Per la proprietà transitiva chi attacca Bonino e Bresso, appoggiate dal Pd, appoggia il Pdl che è contro il Pd. Povera gerarchia, ridotta a giocare questi mezzucci pur di vincere la Regione Lazio! Se una donna fa così paura, cosa farebbe un esercito di donne? Scrive il cardinale: «Sarà bene che la cittadinanza inquadri con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale. L’evento del voto è un fatto qualitativamente importante che in nessun caso converrà trascurare … C’è una linea consolidata che … insieme a Benedetto XVI, chiamiamo «valori non negoziabili: … la dignità della persona umana, incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l’indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna» (Card. Angelo Bagnasco, presidente Cei, «Prolusione al consiglio permanente del 22-25 marzo 2010, n. 8).

Si può anche essere d’accordo su alcuni aspetti, ma perché proprio, in piena feroce campagna elettorale? Puro caso? C’è forse una relazione o un accordo preventivo tra la lettera di Berlusconi e la prolusione di Bagnasco? I brutti pensieri fanno temere di sì. Se così fosse, sarebbe grave e si conferma la strategia clericale di una alleanza «a prescindere» con il governo Berlusconi; così come si rafforza il sospetto che il silenzio tombale della presidenza della Cei, lo scorso anno, durante la teoria di scandali, personali e istituzionali, perpetrati da Berlusconi, sia stato il prezzo pagato sull’altare della «disonesta ricchezza» pur di tenere in vita un sostegno reciproco, Berlusocni/Vaticano-Cei anche a costo della morale, della verità, della divisione all’interno della Chiesa italiana, anche a costo del sacrificio di innocenti come il povero Dino Boffo.

Al card. Bagnasco risponde indirettamente alcuni giorni prima, quasi prevenendolo, Mons. Luigi Bettazzi che nell’editoriale «Principi non rinunciabili» di Mosaico di Pace(marzo 2010), annovera tra i «principi non negoziabili» tanto cari alla gerarchia ecclesiastica, anche il «bene comune» e i valori «della sincerità e della sobrietà, della legalità e della solidarietà»; così come tra quelli negativi ascrive: l’idolo della ricchezza in funzione del potere, il potere stesso, il permissivismo sociale e l’interesse privato e il fine che giustifica i mezzi.

Il card. Bagnasco, poi, continua: «Dinanzi a quel che va emergendo ad opera della Magistratura, noi Vescovi ci sentiamo di dover chiedere a tutti, con umiltà, di uscire dagli incatenamenti prodotti dall’egoismo e dalla ricerca esasperata del tornaconto e innalzarsi sul piano della politica vera. Questa è liberazione dai comportamenti iniqui, dalle contiguità affaristiche per riconoscere al prossimo tutto ciò di cui egli ha diritto … e innanzitutto la sua dignità di cittadino … al di fuori della morbosità per un certo accaparramento personale, si recuperi il senso di quello che è pubblico, che vuol dire di tutti e di cui nessuno deve approfittare causando grave scandalo dei cittadini comuni, di chi vive del proprio stipendio o della propria pensione ed è abituato a farseli bastare, stagione dopo stagione. C’è un impegno che … non può non riguardare tutti, politici e cittadini …: mettere fine a quella falsa indulgenza secondo la quale, poiché tutti sembrano rubare, ciascuno si ritiene autorizzato a sua volta a farlo senza più scrupoli. Non è vero che tutti rubano, ma se per assurdo ciò accadesse, non si attenuerebbe l’imperativo dell’onestà. Non cerchiamo alibi preventivi né coperture impossibili: sottrarre qualcosa a ciò che fa parte della cosa pubblica non è rubare di meno; semmai sarebbe un rubare di più. Per i credenti questo obbligo assurge alla dignità di comando del Signore, dunque non si può venir meno» (IBID. n. 9).

Come non essere d’accordo? Anche le pietre lo sono. Perché l’aborto deve essere criterio di valutazione elettorale il furto no? Non è un comandamento esplicito anch’esso? Come può il cardinale Bagnasco mettere d’accordo queste parole con il programma, le promesse mai mantenute e le realizzazioni delittuose del governo Berlusconi? Alla luce della parola del cardinale, non si dovrebbe come primo effetto immediato scomunicare l’operato del governo e della sua maggioranza che per disgrazia opprime l’Italia e tutti i cattolici che lo sostengono? Si rende conto il cardinale Bagnasco che il fondatore del partito dell’amore è un frequentatore abituale di minorenni e prostitute e un ladro di professione? Sa il presidente della Cei che Berlusconi ha candidato uomini appartenenti alle diverse mafie, senza distinzione di sorta? E’ a conoscenza il porporato che non meno di 26 inquisiti siedono in parlamento nelle fila del partito che difende «i principi non negoziabili»?

Lo sa che sono oltre trenta le leggi che Berlusconi ha imposto al parlamento a suo favore e della sua cricca e delle sue due famiglie? Perché sua eminenza non fa nomi e cognomi di chi ruba, di chi delinque, di chi corrompe, di chi si lascia corrompere? Si rende conto che il papa ha ricevuto Bertolaso nel momento stesso in cui lo convocava la magistratura della repubblica per chiedergli conto della corruzione di cui lui è artefice, beneficiario, mandante e controllore a danno e sulla pelle dei terremotati dell’Abruzzi, il cui vescovo, Molinari, è uso fare da scendiletto a Berlusconi? Sig. Cardinale perché lei ha taciuto per tutto l’anno quando tutto il mondo accusava Berlusconi di immoralità istituzionale e non solo per l’uso indiscriminato di prostitute e forse di droga, mentre oggi interviene, lesto come un fulmine, il giorno dopo la manifestazione/farsa del Pdl e una settimana prima delle elezioni e per buon peso, nello stesso giorno in cui Berlusconi solidarizza col papa in materia di pedofilia? Forse perché lui è esperto anche in materia? Lo avete assunto come consulente etico della Cei?

Sig. cardinale, la prego, ascolti quello che le dico: Io Paolo Farinella, prete della Chiesa cattolica, affermo con piena avvertenza e informata coscienza che ritengo peccato grave votare chiunque stia dalla parte di Berlusconi perché incompatibile con i principi del vangelo, della dottrina sociale della Chiesa, della morale cattolica e della dignità civile.

E’ un delitto, di cui rispondere davanti alla propria coscienza e a Dio votare per chi conculca i diritti dei poveri, senza differenza di cittadinanza, di chi incita all’odio razziale, di chi corrompe testimoni in tribunale e giudici per avere sentenze a suo favore, di chi compra senatori prezzolati per fare cadere governi democratici, di chi evade il fisco e incita ad evadere, di chi assalta le istituzioni di garanzia, di chi vara leggi a favore suo e della sua azienda, di chi non ha parvenza di morale e vive in modo oscenamente ricco, rubando sulla povertà dei poveri, di chi sperpera denaro pubblico pur di esaltare il culto della propria personalità (v. La Maddalena).

Io Paolo prete, cittadino sovrano residente in Liguria, in forza del criterio del bene comune e del rispetto dei diritti individuali, voterò Alessandra Ballerini, di professione avvocato degli ultimi e dei poveri che si batte per i diritti di tutti e che si presenta con una lista collegata a quella di Burlando Claudio del Pd.

Se votassi in Lazio o in Piemonte non esiterei a votare Bonino o Bresso e auguro all’Italia che Berlusconi e la sua compagnia teatrante siano sconfitti. Faccio gli auguri alla Bonino e alla Bresso, perché, anche se non mi piacciono su tanti punti, possano vincere democraticamente e possano portare un vero «rinascimento laico» nelle loro Regioni, specialmente nel campo della sanità e della scuola.

Sui problemi etici ci confronteremo apertamente, lealmente, democraticamente, senza interferenze e confusioni tra altare e seggio regionale.

Che Dio protegga l’Italia e le sue Regioni dalla peste del berlusconismo e dalla miopia della gerarchia cattolica.


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Sottolineature di Baraccheverdi

lunedì 22 marzo 2010

ANDALUSIA:Derecho a Morir Dignamente


ANDALUSIA: APPROVATA LA LEGGE PER IL DIRITTO DI MORIRE CON DIGNITA’



L'Andalusia ha avuto da sempre un peso rilevante in tutta la Spagna. Oggi è la più popolosa e la seconda più estesa delle diciassette comunità autonome (regioni) del Paese. É composta da 8 provincie con un totale di circa 8.200.000 abitanti.



A seguito della approvazione della legge sul diritto di morire con dignità,  l’Asociación Federal Derecho a Morir Dignamente (AFDMD) ha diramato un comunicato-resoconto. Se ne riporta qui sotto il testo, tradotto da Alberto Bonfiglioli per LiberaUscita.
Cordiali saluti
Giampietro Sestini






Madrid - 17 marzo 2010
Congratulazioni agli andalusi per essersi dotati di uno Statuto Autonomo che riconosce il diritto di ogni persona alla piena dignità nel processo della sua morte (art. 20); all’Assessorato alla sanità della Giunta dell’Andalusia per la sua iniziativa tendente a concretizzare in legge questo diritto e al Parlamento andaluso, in particolare alla Commissione sanità, per aver rispettato il pluralismo invitando al dibattito le organizzazioni sociali quali l’Asociación Federal Derecho a Morir Dignamente, i cui contributi sono stati accettati dalla maggioranza.

Dopo che nel 2005 la Regione di Madrid aveva citato l’ospedale Severo Ochoa de Leganés per la sedazione palliativa di malati terminali, creando un ingiustificabile allarme sociale e sfiducia dei cittadini, la legge della Regione autonoma dell’Andalusia rappresenta un cambiamento di grande importanza. La legge permette di chiarire e precisare i diritti dei cittadini alla fine della loro vita, i doveri del personale sanitario e le garanzie che devono fornire le istituzioni sanitarie. Questi diritti erano già riconosciuti in un certo modo nella legge dello Stato del 2002 sull’autonomia del paziente.
A giudizio dell’AFDMD gli aspetti più significativi della nuova legge sono i seguenti:
1. La legge chiarisce il diritto all’informazione clinica e al rifiuto del consenso ad ogni intervento (legge 41/2002) e stabilisce il dovere di rispettare la volontà del paziente. Quest’ultimo dovrà essere informato della trascendenza della sua decisione e gli verrà richiesto di nominare una persona che accetti di rappresentarlo, con capacità di ricevere informazioni e di prendere decisioni (art. 6). Attualmente, oltre la metà dei malati terminali non sono stati informati esplicitamente né sulla loro malattia né sulla relativa prognosi. Nella maggior parte dei casi, in effetti, non si è dedicato sufficiente tempo alla comunicazione con il paziente, sostituendola frequentemente con l’informazione a un familiare.
2. Le persone che si trovano nella fase terminale o che devono affrontare decisioni relative alla stessa hanno diritto a decidere sugli interventi sanitari che li riguardano. Ogni intervento richiede il consenso libero e volontario dei pazienti (art. 7). Il consenso informato non é una formalità burocratica o una firma su un pezzo di carta, ma rappresenta il diritto fondamentale di ogni individuo a decidere sulla sua integrità fisica e psichica.
3. Ogni persona ha il diritto a rifiutare un intervento (art.8), come l’alimentazione-idratazione artificiale (per sonda naso-gastrica o gastrostomia percutanea) o qualsiasi altra misura di supporto vitale (antibiotici, sieri, trasfusioni, ecc.). Permettere la morte mediante la sospensione di trattamenti o per limitazione dello sforzo terapeutico fa parte della buona prassi o lex artis, così come lo stabilisce chiaramente la legge. Tuttavia, non è la stessa cosa permettere la morte, atto non punibile, e provocare la morte su richiesta del malato terminale mediante un’iniezione letale. Anche se questo atto per l’AFDMD è eticamente ineccepibile, è punibile secondo il codice penale e, pertanto, rimane fuori dell’ambito della legislazione di una regione autonoma.
4. Il testamento biologico – in Andalusia documento di volontà di vita anticipata - è uno strumento al servizio dell’autonomia del paziente che deve far parte della storia clinica (art. 9). I professionisti sono obbligati a informare il paziente su questo diritto e a rispettare i valori e le istruzioni contenuti nel testamento (art. 19). La diffusione dei diritti dei pazienti (legge 41/2002) non è stata ancora realizzata nell’intero territorio nazionale. É fondamentale attuare un’efficace campagna informativa sul nuovo paradigma dell’autonomia del malato che ancora sono in molti ad ignorare.
5. Quando una persona non sia in grado di esprimersi, i diritti all’informazione, al consenso o al rifiuto di trattamento saranno esercitati da un suo rappresentante designato nel testamento biologico o, in mancanza di tale designazione, dal coniuge o da altri familiari (art.10). I familiari di malati di demenza, in stato vegetativo o qualsiasi altra situazione irreversibile che impedisca loro di esprimere la propria volontà, potranno decidere cosa riterranno meglio per il loro caro, senza ledere i dritti di quest’ultimo. 
6. Diritto alle cure palliative (art.12). Una volta garantito questo diritto, diventa evidente la fallacia dell’”alibi palliativo” (“le cure palliative universali cancellano la domanda di eutanasia, rendendo inutile il dibattito sulla disponibilità della propria vita”). L’esperienza nei paesi con più risorse palliative, quali l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo, dimostra che voler disporre della propria vita è un diritto che va al di là della medicina, palliativa o non.
7. Diritto al trattamento del dolore (art.13). La Spagna è uno dei paesi d’Europa con il più basso consumo di analgesici oppiacei. Il dolore non si tratta adeguatamente.    
8. I pazienti terminali o agonizzanti hanno il diritto alla sedazione palliativa (art.14). Per la maggior parte dei cittadini, una morte di qualità è una morte tranquilla, senza dolore, accompagnata; una morte dolce, un transito mentre il paziente dorme, cioè è sedato. La sedazione del paziente in agonia è un imperativo morale per il professionista della medicina. Nel caso del malato terminale in grave sofferenza alla quale non è possibile dare sollievo, si deve rispettare la sua volontà di essere sedato. Negare al malato tale trattamento può essere accanimento terapeutico, un atto inammissibile di fronte ad una sofferenza evitabile. Il professionista della sanità in questo caso è responsabile delle conseguenze di non aver rispettato, come è suo dovere, i valori, le credenze e le volontà del paziente (art.18).
9. Diritto all’intimità personale e familiare nonché alla confidenzialità (Art.15). Diritto all’accompagnamento dei familiari. Si dovrà garantire al malato terminale una stanza singola con il livello di conforto e di intimità che richiede il suo stato di salute (Art.26). Molti pazienti terminali muoiono in condizioni deplorevoli, in un luogo inadeguato, dividendo la stanza con sconosciuti, senza intimità né compagnia. L’AFDMD augura che questo impegno non sia un “brindisi al sole” e che si provveda alle risorse necessarie perché diventi realtà.
Le leggi non cambiano la società, ma aiutano la società. Con questa legge non sarà più possibile, senza incorrere in reato, denunciare un professionista per la sedazione palliativa consentita dal paziente e dalla sua famiglia, come è avvenuto nel 2005. L’obiettivo della legge non è tutelare i professionisti ma il diritto dei cittadini (anche i medici sono cittadini) a morire con dignità. Applaudiamo l’iniziativa del Parlamento dell’Andalusia di realizzare uno studio sul modo in cui muoiono gli andalusi, che permetterà di valutare l’impatto della nuova legge sulla qualità della morte in quella regione.
Diffondere la filosofia della legge sulla morte dignitosa promulgata nell’Andalusia è una sfida e l’AFDMD esigerà dall’amministrazione autonoma l’impegno nella sua applicazione, e vigilando affinché i diritti dei cittadini diventino reali.
Speriamo che il governo della Spagna prenda nota ed impari ad affrontare questioni fondamentali come la morte dignitosa, abbandonando pretesti quali “questo non si tocca” o “non esiste domanda sociale”. L’eutanasia e il suicidio assistito sono oramai parte di un dibattito che è nella gente. Secondo il CIS (studio 2440 del 2002) il 59,9% dei medici è favorevole all’eutanasia e al suicidio assistito e il 97% crede che i palliativi non riducano sostanzialmente la domanda di eutanasia. Al posto di dichiarazioni vuote chiediamo al Governo di assumere un atteggiamento serio: dovrebbe cominciare con uno studio sociologico per capire cosa pensano e sentono i cittadini (dal 1995, il CIS ignora questo tipo di indagine) e conoscere come si muore in Spagna. Esiste un’esigenza popolare perche si considerino i problemi che preoccupano la gente, perché con o senza crisi, la vita continua e oltre mille persone muoiono tutti i giorni in Spagna (5-6 per eutanasia clandestina), senza sufficienti garanzie di una morte dignitosa.







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Associazione nazionale laica e apartitica
per il diritto di morire con dignità 
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ANDALUSIA:Derecho a Morir Dignamente


ANDALUSIA: APPROVATA LA LEGGE PER IL DIRITTO DI MORIRE CON DIGNITA’



L'Andalusia ha avuto da sempre un peso rilevante in tutta la Spagna. Oggi è la più popolosa e la seconda più estesa delle diciassette comunità autonome (regioni) del Paese. É composta da 8 provincie con un totale di circa 8.200.000 abitanti.



A seguito della approvazione della legge sul diritto di morire con dignità,  l’Asociación Federal Derecho a Morir Dignamente (AFDMD) ha diramato un comunicato-resoconto. Se ne riporta qui sotto il testo, tradotto da Alberto Bonfiglioli per LiberaUscita.
Cordiali saluti
Giampietro Sestini






Madrid - 17 marzo 2010
Congratulazioni agli andalusi per essersi dotati di uno Statuto Autonomo che riconosce il diritto di ogni persona alla piena dignità nel processo della sua morte (art. 20); all’Assessorato alla sanità della Giunta dell’Andalusia per la sua iniziativa tendente a concretizzare in legge questo diritto e al Parlamento andaluso, in particolare alla Commissione sanità, per aver rispettato il pluralismo invitando al dibattito le organizzazioni sociali quali l’Asociación Federal Derecho a Morir Dignamente, i cui contributi sono stati accettati dalla maggioranza.

Dopo che nel 2005 la Regione di Madrid aveva citato l’ospedale Severo Ochoa de Leganés per la sedazione palliativa di malati terminali, creando un ingiustificabile allarme sociale e sfiducia dei cittadini, la legge della Regione autonoma dell’Andalusia rappresenta un cambiamento di grande importanza. La legge permette di chiarire e precisare i diritti dei cittadini alla fine della loro vita, i doveri del personale sanitario e le garanzie che devono fornire le istituzioni sanitarie. Questi diritti erano già riconosciuti in un certo modo nella legge dello Stato del 2002 sull’autonomia del paziente.
A giudizio dell’AFDMD gli aspetti più significativi della nuova legge sono i seguenti:
1. La legge chiarisce il diritto all’informazione clinica e al rifiuto del consenso ad ogni intervento (legge 41/2002) e stabilisce il dovere di rispettare la volontà del paziente. Quest’ultimo dovrà essere informato della trascendenza della sua decisione e gli verrà richiesto di nominare una persona che accetti di rappresentarlo, con capacità di ricevere informazioni e di prendere decisioni (art. 6). Attualmente, oltre la metà dei malati terminali non sono stati informati esplicitamente né sulla loro malattia né sulla relativa prognosi. Nella maggior parte dei casi, in effetti, non si è dedicato sufficiente tempo alla comunicazione con il paziente, sostituendola frequentemente con l’informazione a un familiare.
2. Le persone che si trovano nella fase terminale o che devono affrontare decisioni relative alla stessa hanno diritto a decidere sugli interventi sanitari che li riguardano. Ogni intervento richiede il consenso libero e volontario dei pazienti (art. 7). Il consenso informato non é una formalità burocratica o una firma su un pezzo di carta, ma rappresenta il diritto fondamentale di ogni individuo a decidere sulla sua integrità fisica e psichica.
3. Ogni persona ha il diritto a rifiutare un intervento (art.8), come l’alimentazione-idratazione artificiale (per sonda naso-gastrica o gastrostomia percutanea) o qualsiasi altra misura di supporto vitale (antibiotici, sieri, trasfusioni, ecc.). Permettere la morte mediante la sospensione di trattamenti o per limitazione dello sforzo terapeutico fa parte della buona prassi o lex artis, così come lo stabilisce chiaramente la legge. Tuttavia, non è la stessa cosa permettere la morte, atto non punibile, e provocare la morte su richiesta del malato terminale mediante un’iniezione letale. Anche se questo atto per l’AFDMD è eticamente ineccepibile, è punibile secondo il codice penale e, pertanto, rimane fuori dell’ambito della legislazione di una regione autonoma.
4. Il testamento biologico – in Andalusia documento di volontà di vita anticipata - è uno strumento al servizio dell’autonomia del paziente che deve far parte della storia clinica (art. 9). I professionisti sono obbligati a informare il paziente su questo diritto e a rispettare i valori e le istruzioni contenuti nel testamento (art. 19). La diffusione dei diritti dei pazienti (legge 41/2002) non è stata ancora realizzata nell’intero territorio nazionale. É fondamentale attuare un’efficace campagna informativa sul nuovo paradigma dell’autonomia del malato che ancora sono in molti ad ignorare.
5. Quando una persona non sia in grado di esprimersi, i diritti all’informazione, al consenso o al rifiuto di trattamento saranno esercitati da un suo rappresentante designato nel testamento biologico o, in mancanza di tale designazione, dal coniuge o da altri familiari (art.10). I familiari di malati di demenza, in stato vegetativo o qualsiasi altra situazione irreversibile che impedisca loro di esprimere la propria volontà, potranno decidere cosa riterranno meglio per il loro caro, senza ledere i dritti di quest’ultimo. 
6. Diritto alle cure palliative (art.12). Una volta garantito questo diritto, diventa evidente la fallacia dell’”alibi palliativo” (“le cure palliative universali cancellano la domanda di eutanasia, rendendo inutile il dibattito sulla disponibilità della propria vita”). L’esperienza nei paesi con più risorse palliative, quali l’Olanda, il Belgio e il Lussemburgo, dimostra che voler disporre della propria vita è un diritto che va al di là della medicina, palliativa o non.
7. Diritto al trattamento del dolore (art.13). La Spagna è uno dei paesi d’Europa con il più basso consumo di analgesici oppiacei. Il dolore non si tratta adeguatamente.    
8. I pazienti terminali o agonizzanti hanno il diritto alla sedazione palliativa (art.14). Per la maggior parte dei cittadini, una morte di qualità è una morte tranquilla, senza dolore, accompagnata; una morte dolce, un transito mentre il paziente dorme, cioè è sedato. La sedazione del paziente in agonia è un imperativo morale per il professionista della medicina. Nel caso del malato terminale in grave sofferenza alla quale non è possibile dare sollievo, si deve rispettare la sua volontà di essere sedato. Negare al malato tale trattamento può essere accanimento terapeutico, un atto inammissibile di fronte ad una sofferenza evitabile. Il professionista della sanità in questo caso è responsabile delle conseguenze di non aver rispettato, come è suo dovere, i valori, le credenze e le volontà del paziente (art.18).
9. Diritto all’intimità personale e familiare nonché alla confidenzialità (Art.15). Diritto all’accompagnamento dei familiari. Si dovrà garantire al malato terminale una stanza singola con il livello di conforto e di intimità che richiede il suo stato di salute (Art.26). Molti pazienti terminali muoiono in condizioni deplorevoli, in un luogo inadeguato, dividendo la stanza con sconosciuti, senza intimità né compagnia. L’AFDMD augura che questo impegno non sia un “brindisi al sole” e che si provveda alle risorse necessarie perché diventi realtà.
Le leggi non cambiano la società, ma aiutano la società. Con questa legge non sarà più possibile, senza incorrere in reato, denunciare un professionista per la sedazione palliativa consentita dal paziente e dalla sua famiglia, come è avvenuto nel 2005. L’obiettivo della legge non è tutelare i professionisti ma il diritto dei cittadini (anche i medici sono cittadini) a morire con dignità. Applaudiamo l’iniziativa del Parlamento dell’Andalusia di realizzare uno studio sul modo in cui muoiono gli andalusi, che permetterà di valutare l’impatto della nuova legge sulla qualità della morte in quella regione.
Diffondere la filosofia della legge sulla morte dignitosa promulgata nell’Andalusia è una sfida e l’AFDMD esigerà dall’amministrazione autonoma l’impegno nella sua applicazione, e vigilando affinché i diritti dei cittadini diventino reali.
Speriamo che il governo della Spagna prenda nota ed impari ad affrontare questioni fondamentali come la morte dignitosa, abbandonando pretesti quali “questo non si tocca” o “non esiste domanda sociale”. L’eutanasia e il suicidio assistito sono oramai parte di un dibattito che è nella gente. Secondo il CIS (studio 2440 del 2002) il 59,9% dei medici è favorevole all’eutanasia e al suicidio assistito e il 97% crede che i palliativi non riducano sostanzialmente la domanda di eutanasia. Al posto di dichiarazioni vuote chiediamo al Governo di assumere un atteggiamento serio: dovrebbe cominciare con uno studio sociologico per capire cosa pensano e sentono i cittadini (dal 1995, il CIS ignora questo tipo di indagine) e conoscere come si muore in Spagna. Esiste un’esigenza popolare perche si considerino i problemi che preoccupano la gente, perché con o senza crisi, la vita continua e oltre mille persone muoiono tutti i giorni in Spagna (5-6 per eutanasia clandestina), senza sufficienti garanzie di una morte dignitosa.







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domenica 21 marzo 2010

E' da porre in discussione il sacerdozio in sé

L’analisi
L’amore, il sesso, sono doni di Dio
I sacerdoti non siano casta sacrale
 
Enzo Mazzi
 


Tolleranza zero, pentimento, guarigione e rinnovamento: queste sono le parole chiave della lettera pastorale di Benedetto XVI ai fedeli d’Irlanda e di tutto il mondo, resa nota oggi.
La pedofilia è un crimine e quella dei preti, religiosi, suore, lo è a un livello di gravità e pericolosità smisurato. E’ quindi irresponsabile chi fino a poco tempo fa l’ha coperta col silenzio. Ed è un fatto positivo che papa Ratzinger sia stato indotto dal dilagante coraggio delle vittime a togliere la blindatura del “secretum pontificium” (segreto papale) con cui quando era Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede vincolò al centro vaticano la competenza di tutti i reati sessuali ad opera dei religiosi di ogni parte del il mondo, vincolo la cui violazione comportava una punizione. Pose tale blindatura con una “Epistola de delictis gravioribus” (Lettera sui delitti più gravi) inviata il 18 maggio 2001 a tutti i vescovi della terra. Ora il papa indica un cambiamento di linea e impegna la Chiesa a fare finalmente luce e a collaborare con la magistratura.
Colpisce negativamente però che il papa eviti di interrogarsi sulle cause strutturali legate al dominio del sacro che favoriscono la pedofilia del clero.
I preti pedofili sono per lo più il frutto di una educazione e di una condizione di vita repressiva e autoritaria che ha impedito lo sviluppo equilibrato della loro personalità e li mantiene in condizione di nevrosi di vario tipo. La psicoanalisi ha consentito di studiare sistematicamente un tale fenomeno che fino a qualche decina di anni fa era affidato al fiuto della saggezza popolare, consegnato a motti, fiabe, racconti, o alla riflessione di filosofi e romanzieri. Oggi esistono studi di rilievo come quello ponderoso del teologo e psicanalista tedesco Eugen Drewermann Funzionari di Dio (Raetia, Bolzano, 1995).
In molti preti l’educazione repressiva, la condizione di vita, la identificazione totale col ruolo, i sensi di colpa producono sofferenze, squilibri, ossessioni, che normalmente vengono superate, se così si può dire, in chiave ascetico-sacrificale. Quanti eroismi di dedizione totale sono il frutto di tali macerazioni psichiche! E questo è il bene, a volte il bene ammirevole, che viene dal male; è il positivo che scaturisce dalle mutilazioni dell’anima e del corpo. In alcuni preti invece tutto ciò induce a comportamenti distruttivi al limite del suicidio e alla pedofilia.
Ma il problema di fondo è che gli esseri umani, le loro pulsioni, amori, sessualità, corpi sono sottratti alla responsabilità personale e alla rete delle relazioni e sono posti sotto il dominio del sacro. Senza sacramento, senza benedizione, senza permesso ecclesiastico niente amore, niente piacere, niente sesso. E il prete celibe è il segno perfetto di una natura radicalmente liberata da quegli aspetti che sarebbero in sé bisognosi di purificazione.
C’è in questo momento la tendenza a puntare sulla concessione del matrimonio ai preti rendendo il celibato una scelta facoltativa e non definitiva. Ma è da porre in discussione il sacerdozio in sé come casta sacrale libera dalle impurità della natura dominata dal peccato, detentrice di un potere derivante direttamente da Dio.
Per fortuna ci sono tanti pastori e teologi che ormai negano questa visione negativa dell’amore umano, del piacere e del sesso, negano la necessità di porre questi valori sotto il dominio del sacro, negano il peccato originale e la teologia sacrificale. Essi affermano che il sesso è in sé sacro, l’amore è in sé sacro, il matrimonio è in sé sacro. Per loro il sacramento è il gioioso riconoscimento nel cerchio comunitario del dono divino della sacralità insito nella creazione e l’assunzione responsabile di tale sacralità. Il sacramento, ogni sacramento compreso il matrimonio, è fondato sulla eucaristia che vuol dire proprio “rendimento di grazie”. E Gesù è il testimone di tale sacralità e non invece il suo ricatto. Ma coloro che sostengono questa visione della fede sono considerati eretici. Per la maggior parte vengono ignorati, anche se sono tanti, finché non fanno clamore. Qualcuno più in vista viene scomunicato o in altri modi condannato esemplarmente in nome dello splendore della verità.
La gerarchia ecclesiastica dovrebbe rivolgere la “tolleranza zero” contro il dominio del sacro, contro la sacralizzazione del potere, contro la teologia e la pastorale del disprezzo del corpo e della sessualità, per liberare gli uomini e le donne dai pesi insopportabili caricati da secoli sulle loro spalle, già tanto gravate dalla fatica del vivere, pesi che nemmeno essi, preti vescovi cardinali e papi riescono a portare. Come dimostrano gli attuali scandali. Forse non sparirà la pedofilia ma certo verrà colpita a fondo e non solo quella dei preti.
 

                                                 Enzo Mazzi  L’Unità 21 marzo 2010 pag. 31
 


E' da porre in discussione il sacerdozio in sé

L’analisi
L’amore, il sesso, sono doni di Dio
I sacerdoti non siano casta sacrale
 
Enzo Mazzi
 


Tolleranza zero, pentimento, guarigione e rinnovamento: queste sono le parole chiave della lettera pastorale di Benedetto XVI ai fedeli d’Irlanda e di tutto il mondo, resa nota oggi.
La pedofilia è un crimine e quella dei preti, religiosi, suore, lo è a un livello di gravità e pericolosità smisurato. E’ quindi irresponsabile chi fino a poco tempo fa l’ha coperta col silenzio. Ed è un fatto positivo che papa Ratzinger sia stato indotto dal dilagante coraggio delle vittime a togliere la blindatura del “secretum pontificium” (segreto papale) con cui quando era Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede vincolò al centro vaticano la competenza di tutti i reati sessuali ad opera dei religiosi di ogni parte del il mondo, vincolo la cui violazione comportava una punizione. Pose tale blindatura con una “Epistola de delictis gravioribus” (Lettera sui delitti più gravi) inviata il 18 maggio 2001 a tutti i vescovi della terra. Ora il papa indica un cambiamento di linea e impegna la Chiesa a fare finalmente luce e a collaborare con la magistratura.
Colpisce negativamente però che il papa eviti di interrogarsi sulle cause strutturali legate al dominio del sacro che favoriscono la pedofilia del clero.
I preti pedofili sono per lo più il frutto di una educazione e di una condizione di vita repressiva e autoritaria che ha impedito lo sviluppo equilibrato della loro personalità e li mantiene in condizione di nevrosi di vario tipo. La psicoanalisi ha consentito di studiare sistematicamente un tale fenomeno che fino a qualche decina di anni fa era affidato al fiuto della saggezza popolare, consegnato a motti, fiabe, racconti, o alla riflessione di filosofi e romanzieri. Oggi esistono studi di rilievo come quello ponderoso del teologo e psicanalista tedesco Eugen Drewermann Funzionari di Dio (Raetia, Bolzano, 1995).
In molti preti l’educazione repressiva, la condizione di vita, la identificazione totale col ruolo, i sensi di colpa producono sofferenze, squilibri, ossessioni, che normalmente vengono superate, se così si può dire, in chiave ascetico-sacrificale. Quanti eroismi di dedizione totale sono il frutto di tali macerazioni psichiche! E questo è il bene, a volte il bene ammirevole, che viene dal male; è il positivo che scaturisce dalle mutilazioni dell’anima e del corpo. In alcuni preti invece tutto ciò induce a comportamenti distruttivi al limite del suicidio e alla pedofilia.
Ma il problema di fondo è che gli esseri umani, le loro pulsioni, amori, sessualità, corpi sono sottratti alla responsabilità personale e alla rete delle relazioni e sono posti sotto il dominio del sacro. Senza sacramento, senza benedizione, senza permesso ecclesiastico niente amore, niente piacere, niente sesso. E il prete celibe è il segno perfetto di una natura radicalmente liberata da quegli aspetti che sarebbero in sé bisognosi di purificazione.
C’è in questo momento la tendenza a puntare sulla concessione del matrimonio ai preti rendendo il celibato una scelta facoltativa e non definitiva. Ma è da porre in discussione il sacerdozio in sé come casta sacrale libera dalle impurità della natura dominata dal peccato, detentrice di un potere derivante direttamente da Dio.
Per fortuna ci sono tanti pastori e teologi che ormai negano questa visione negativa dell’amore umano, del piacere e del sesso, negano la necessità di porre questi valori sotto il dominio del sacro, negano il peccato originale e la teologia sacrificale. Essi affermano che il sesso è in sé sacro, l’amore è in sé sacro, il matrimonio è in sé sacro. Per loro il sacramento è il gioioso riconoscimento nel cerchio comunitario del dono divino della sacralità insito nella creazione e l’assunzione responsabile di tale sacralità. Il sacramento, ogni sacramento compreso il matrimonio, è fondato sulla eucaristia che vuol dire proprio “rendimento di grazie”. E Gesù è il testimone di tale sacralità e non invece il suo ricatto. Ma coloro che sostengono questa visione della fede sono considerati eretici. Per la maggior parte vengono ignorati, anche se sono tanti, finché non fanno clamore. Qualcuno più in vista viene scomunicato o in altri modi condannato esemplarmente in nome dello splendore della verità.
La gerarchia ecclesiastica dovrebbe rivolgere la “tolleranza zero” contro il dominio del sacro, contro la sacralizzazione del potere, contro la teologia e la pastorale del disprezzo del corpo e della sessualità, per liberare gli uomini e le donne dai pesi insopportabili caricati da secoli sulle loro spalle, già tanto gravate dalla fatica del vivere, pesi che nemmeno essi, preti vescovi cardinali e papi riescono a portare. Come dimostrano gli attuali scandali. Forse non sparirà la pedofilia ma certo verrà colpita a fondo e non solo quella dei preti.
 

                                                 Enzo Mazzi  L’Unità 21 marzo 2010 pag. 31
 


La pedofilia strutturale della chiesa


La pedofilia strutturale della chiesa
 
Enzo Mazzi
 
La pedofilia del clero è un fenomeno antico, come del resto la pedofilia intra-familiare. Se oggi emerge e fa scandalo non è necessariamente perché tale fenomeno si sia aggravato ma perché le vittime e i loro genitori hanno il coraggio di denunciare gli abusi. Si conferma ancora una volta il paradigma storico che da sempre anima i movimenti dal basso, le comunità di base e questo stesso giornale: la salvezza del mondo viene dalla forza delle vittime.
E’ grazie a loro, alle vittime coraggiose, che finalmente si è rivelata la fallibilità, reale umana, dell’ "infallibile" supremo pontefice, il quale ha dovuto scusarsi, in qualche modo e mai abbastanza, firmando una lettera che riconosce la necessità di cambiare strada. E’ grazie a loro che molti vescovi, maestri, padri e dottori, hanno dovuto chinare il capo, perfino dimettersi e imparare a tornare uomini fragili scendendo dal piedistallo della sacralità. E’ grazie a loro che la Chiesa cattolica tutta, la quale si autodefinisce "indefettibile", ha mostrato il suo volto intimo più vero, di realtà defettibile, precaria, umana, ispirata dal messaggio e dalla testimonianza di un uomo che ha detto "se il seme non muore non porta frutto".
La pedofilia è un crimine e quella dei preti lo è a un livello di gravità e pericolosità particolarmente pesante. Il "sacro", cose sacre, persone sacre, luoghi e tempi sacri, proprio in quanto realtà separata tende ad annullare la sacralità dell’esistenza normale, esclude la sacralità del tutto e quindi è implicitamente e intrinsecamente fonte di violenza. Ma se il sacro si rende responsabile di esplicite forme di violenza, come nella pedofilia dei preti, allora la violenza esplicita e quella implicita, strutturale, si potenziano reciprocamente.
Gli episodi di pedofilia che stanno emergendo in tutto il mondo evidenziano contraddizioni e deficienze strutturali dell’istituzione Chiesa. E’ fuorviante scaricare tutto e solo sul colpevole di turno. Ognuno è responsabile delle proprie azioni e ne deve rispondere verso le vittime e verso la giustizia; ma la responsabilità individuale non assolve affatto le responsabilità dell’istituzione.
Vari analisti del fenomeno della pedofilia nella Chiesa e lo stesso Benedetto XVI arrivano a parlare di tolleranza zero, utilizzando acriticamente il linguaggio della destra estrema, ma si guadano bene dal cercarne le radici nella struttura istituzionale ecclesiastica. Sarebbe invece proprio lì, nella struttura del sacro che andrebbe applicata la tolleranza zero.
E’ nota ormai la relazione che c’è fra il sesso e il potere. Già per i Greci ed i Romani il fallo era simbolo di potere. Nell'antica Roma, non di rado le dimensioni e la forma del pene agevolavano la carriera politica e militare. Tutto ciò che si erige sembra essere un riferimento fallico. Gli obelischi, i campanili, le torri, il bastone del comando, lo scettro regale, il pastorale, la stessa mitria vescovile che cosa sono se non simboli fallici? Non a caso nella Chiesa il potere è riservato rigidamente a chi possiede il sesso maschile e negato in assoluto alla donna.
La pedofilia è interna a questo rapporto fra sesso e potere. Chi cerca il bambino o la bambina per soddisfare l’appetito sessuale lo fa per esprimere la propria sete di dominio verso una creatura fragile. E’ la sete di dominio la radice più profonda della pedofilia. Per cui combattere la pedofilia senza porre la scure alla radice non dico che è inutile ma certo è insufficiente. Ed è la sete di dominio che andrebbe sradicata dalla struttura del sacro.
Fa ancora parte di una pastorale "normale", che avrebbe dovuto essere superata nel dopoconcilio ma non lo è affatto, il condizionamento di coscienze infantili attraverso l’imposizione di sensi di colpa che s’insinuano nel profondo e si trascinano inconsapevolmente per tutta la vita. Per non parlare degli indottrinamenti di un certo modo di fare catechesi e di insegnare religione nelle scuole, che è ancora purtroppo largamente maggioritario. Il Compendio del Catechismo pubblicato di recente dal Vaticano, a domande e risposte preconfezionate, da cui non emerge nemmeno un minimo di senso di ricerca, di autonomia, di coscienza critica, non è esso stesso un invito all’indottrinamento? Come una madre possessiva, sembra che Madre Chiesa voglia mantenere in una perenne condizione infantile i suoi figli, tanto li ama. Se non rischiasse di essere male interpretato, verrebbe voglia di chiamare tutto questo "pedofilia strutturale" della Chiesa, nel senso appunto di amore verso gli uomini e donne perennemente bambini. E la sacralizzazione del potere ecclesiastico, la teologia e la pastorale del disprezzo verso il corpo, il sesso e il piacere, la condanna di ogni forma di rapporto fra sessi che non sia consacrato dal matrimonio, non è tutto questo dominio violento?
C’è in questo momento la tendenza a puntare sulla concessione del matrimonio ai preti rendendo il celibato una scelta facoltativa e non definitiva. Ma è il sacerdozio in sé come casta sacrale detentrice di un potere derivante direttamente da Dio da porre in discussione.
E’ tempo che si crei un grande movimento per restituire al cristianesimo il senso della liberazione dal sacro, in quanto realtà separata, liberazione non solo dalle oppressioni economiche e politiche, ma anche psicologiche, etiche-morali, simboliche. Forse non sparirà la pedofilia ma certo verrà colpita a fondo e non solo quella dei preti.
 


Il manifesto 20 marzo 2010 pag. 10

La pedofilia strutturale della chiesa


La pedofilia strutturale della chiesa
 
Enzo Mazzi
 
La pedofilia del clero è un fenomeno antico, come del resto la pedofilia intra-familiare. Se oggi emerge e fa scandalo non è necessariamente perché tale fenomeno si sia aggravato ma perché le vittime e i loro genitori hanno il coraggio di denunciare gli abusi. Si conferma ancora una volta il paradigma storico che da sempre anima i movimenti dal basso, le comunità di base e questo stesso giornale: la salvezza del mondo viene dalla forza delle vittime.
E’ grazie a loro, alle vittime coraggiose, che finalmente si è rivelata la fallibilità, reale umana, dell’ "infallibile" supremo pontefice, il quale ha dovuto scusarsi, in qualche modo e mai abbastanza, firmando una lettera che riconosce la necessità di cambiare strada. E’ grazie a loro che molti vescovi, maestri, padri e dottori, hanno dovuto chinare il capo, perfino dimettersi e imparare a tornare uomini fragili scendendo dal piedistallo della sacralità. E’ grazie a loro che la Chiesa cattolica tutta, la quale si autodefinisce "indefettibile", ha mostrato il suo volto intimo più vero, di realtà defettibile, precaria, umana, ispirata dal messaggio e dalla testimonianza di un uomo che ha detto "se il seme non muore non porta frutto".
La pedofilia è un crimine e quella dei preti lo è a un livello di gravità e pericolosità particolarmente pesante. Il "sacro", cose sacre, persone sacre, luoghi e tempi sacri, proprio in quanto realtà separata tende ad annullare la sacralità dell’esistenza normale, esclude la sacralità del tutto e quindi è implicitamente e intrinsecamente fonte di violenza. Ma se il sacro si rende responsabile di esplicite forme di violenza, come nella pedofilia dei preti, allora la violenza esplicita e quella implicita, strutturale, si potenziano reciprocamente.
Gli episodi di pedofilia che stanno emergendo in tutto il mondo evidenziano contraddizioni e deficienze strutturali dell’istituzione Chiesa. E’ fuorviante scaricare tutto e solo sul colpevole di turno. Ognuno è responsabile delle proprie azioni e ne deve rispondere verso le vittime e verso la giustizia; ma la responsabilità individuale non assolve affatto le responsabilità dell’istituzione.
Vari analisti del fenomeno della pedofilia nella Chiesa e lo stesso Benedetto XVI arrivano a parlare di tolleranza zero, utilizzando acriticamente il linguaggio della destra estrema, ma si guadano bene dal cercarne le radici nella struttura istituzionale ecclesiastica. Sarebbe invece proprio lì, nella struttura del sacro che andrebbe applicata la tolleranza zero.
E’ nota ormai la relazione che c’è fra il sesso e il potere. Già per i Greci ed i Romani il fallo era simbolo di potere. Nell'antica Roma, non di rado le dimensioni e la forma del pene agevolavano la carriera politica e militare. Tutto ciò che si erige sembra essere un riferimento fallico. Gli obelischi, i campanili, le torri, il bastone del comando, lo scettro regale, il pastorale, la stessa mitria vescovile che cosa sono se non simboli fallici? Non a caso nella Chiesa il potere è riservato rigidamente a chi possiede il sesso maschile e negato in assoluto alla donna.
La pedofilia è interna a questo rapporto fra sesso e potere. Chi cerca il bambino o la bambina per soddisfare l’appetito sessuale lo fa per esprimere la propria sete di dominio verso una creatura fragile. E’ la sete di dominio la radice più profonda della pedofilia. Per cui combattere la pedofilia senza porre la scure alla radice non dico che è inutile ma certo è insufficiente. Ed è la sete di dominio che andrebbe sradicata dalla struttura del sacro.
Fa ancora parte di una pastorale "normale", che avrebbe dovuto essere superata nel dopoconcilio ma non lo è affatto, il condizionamento di coscienze infantili attraverso l’imposizione di sensi di colpa che s’insinuano nel profondo e si trascinano inconsapevolmente per tutta la vita. Per non parlare degli indottrinamenti di un certo modo di fare catechesi e di insegnare religione nelle scuole, che è ancora purtroppo largamente maggioritario. Il Compendio del Catechismo pubblicato di recente dal Vaticano, a domande e risposte preconfezionate, da cui non emerge nemmeno un minimo di senso di ricerca, di autonomia, di coscienza critica, non è esso stesso un invito all’indottrinamento? Come una madre possessiva, sembra che Madre Chiesa voglia mantenere in una perenne condizione infantile i suoi figli, tanto li ama. Se non rischiasse di essere male interpretato, verrebbe voglia di chiamare tutto questo "pedofilia strutturale" della Chiesa, nel senso appunto di amore verso gli uomini e donne perennemente bambini. E la sacralizzazione del potere ecclesiastico, la teologia e la pastorale del disprezzo verso il corpo, il sesso e il piacere, la condanna di ogni forma di rapporto fra sessi che non sia consacrato dal matrimonio, non è tutto questo dominio violento?
C’è in questo momento la tendenza a puntare sulla concessione del matrimonio ai preti rendendo il celibato una scelta facoltativa e non definitiva. Ma è il sacerdozio in sé come casta sacrale detentrice di un potere derivante direttamente da Dio da porre in discussione.
E’ tempo che si crei un grande movimento per restituire al cristianesimo il senso della liberazione dal sacro, in quanto realtà separata, liberazione non solo dalle oppressioni economiche e politiche, ma anche psicologiche, etiche-morali, simboliche. Forse non sparirà la pedofilia ma certo verrà colpita a fondo e non solo quella dei preti.
 


Il manifesto 20 marzo 2010 pag. 10

sabato 20 marzo 2010

Rotem Dan Mor

Pacifista israeliano



Prima parte dell'incontro avvenuto il 19 febbraio al Circolo ARCI di via Maccari, Isolotto.

Rotem Dan Mor

Pacifista israeliano



Prima parte dell'incontro avvenuto il 19 febbraio al Circolo ARCI di via Maccari, Isolotto.

venerdì 19 marzo 2010

L'accoglienza

L'incontro della Comunità dell'Isolotto domenica prossima 21 marzo alle ore 10,30 alle "baracche" via degli Aceri 1 -  Firenze  sarà dedicato al tema dell'accoglienza: per una primavera antirazzista, per non aver paura, per aprirsi agli altri, per fondare la convivenza sui diritti.


Il 21 marzo è stato dichiarato dall'ONU "Giornata mondiale contro qualsiasi forma di razzismo e di discriminazione", per conservare e diffondere la memoria del 21 marzo 1960, quando a Sharpeville in Sudafrica la polizia aprì il fuoco uccidendo 70 manifestanti che protestavano pacificamente contro le leggi razziste emanate dal regime dell'apartheid".

La Comunità dell'Isolotto partecipa alle iniziative di questa giornata dedicando appunto l'incontro di domenica alla Primavera Antirazzista che in tanti stanno costruendo.

Parleremo dell'immagine dello straniero nell'Antico e Nuovo Testamento, dei tanti pregiudizi che circolano oggi, di cosa è successo a Rosarno, del primo "sciopero" degli immigrati del 1 marzo, delle iniziative del nostro territorio, di questa giornata 21 marzo, di cosa accade nella scuola, della Legge regionale toscana sull'immigrazione, dei Centri di Identificazione ed Espulsione, e di come e cosa fare.

Animeranno l'incontro:  Carlo, Luisella, Moreno, Maurizio, Gisella.


                                            La Comunità dell'Isolotto

L'accoglienza

L'incontro della Comunità dell'Isolotto domenica prossima 21 marzo alle ore 10,30 alle "baracche" via degli Aceri 1 -  Firenze  sarà dedicato al tema dell'accoglienza: per una primavera antirazzista, per non aver paura, per aprirsi agli altri, per fondare la convivenza sui diritti.


Il 21 marzo è stato dichiarato dall'ONU "Giornata mondiale contro qualsiasi forma di razzismo e di discriminazione", per conservare e diffondere la memoria del 21 marzo 1960, quando a Sharpeville in Sudafrica la polizia aprì il fuoco uccidendo 70 manifestanti che protestavano pacificamente contro le leggi razziste emanate dal regime dell'apartheid".

La Comunità dell'Isolotto partecipa alle iniziative di questa giornata dedicando appunto l'incontro di domenica alla Primavera Antirazzista che in tanti stanno costruendo.

Parleremo dell'immagine dello straniero nell'Antico e Nuovo Testamento, dei tanti pregiudizi che circolano oggi, di cosa è successo a Rosarno, del primo "sciopero" degli immigrati del 1 marzo, delle iniziative del nostro territorio, di questa giornata 21 marzo, di cosa accade nella scuola, della Legge regionale toscana sull'immigrazione, dei Centri di Identificazione ed Espulsione, e di come e cosa fare.

Animeranno l'incontro:  Carlo, Luisella, Moreno, Maurizio, Gisella.


                                            La Comunità dell'Isolotto

giovedì 11 marzo 2010

E' il futuro che si delinea

Lo scandalo del sacro


Questo montante dilagare dello scandalo della pedofilia nel cuore della istituzione ecclesiastica cattolica a tutte le latitudini pone gravissimi problemi al senso di appartenenza ecclesiale in settori sempre più ampi del cattolicesimo mondiale. Il potere ecclesiastico, che per lunghi anni ha cercato colpevolmente di nascondere il fenomeno dietro una cortina di silenzio, sembra aver capito che il tempo dell'onnipotenza del mondo del sacro è ormai finito. L'abito talare, lo zuccotto rosso o la tiara papale non garantiscono più la immunità di fronte alla giustizia terrena. E il potere della informazione ha stracciato definitivamente il "velo del tempio" penetrando impudicamente nelle oscurità delle sacrestie, dei collegi cattolici, dei conventi, e perfino dei palazzi apostolici.

Di fronte a un quadro così complesso, che richiederebbe tanta saggezza, capacità di rinnovamento e lungimiranza, è sconcertante che i massimi vertici della gerarchia cattolica si attardino ancora nel riproporre i vecchi schemi della unicità-perennità della Chiesa e del centralismo-assolutismo del papato. E che continuino a guardare con sospetto a ciò che si muove alla base della Chiesa e a tentare ancora la via ormai anacronistica della repressione verso lo sviluppo del conciliarismo.

"Ogni volta che nella Chiesa si affronta un periodo di declino - ha detto il Papa ieri - si affaccia anche un utopismo spiritualistico", che porta alcuni a sognare la nascita di una "altra Chiesa". Una sorta di "utopismo anarchico", come quello ispirato nel Medioevo da Gioacchino da Fiore, si insinuò nel Concilio Vaticano II, ma "grazie a Dio i timonieri saggi della barca di Pietro hanno saputo difendere, con le novità del concilio, anche l'unicità della Chiesa".

Quello che il papa vede come un pericolo è da molti ormai considerato come l'unica possibilità di futuro per una fede cristiana liberata da dominio medioevale del sacro.

Gioacchino da Fiore, vissuto nella seconda metà del XII secolo, monaco del monastero cistercense di S.Giovanni in Fiore, nella Sila, si rese interprete delle attese delle classi umili di quel tempo. A cominciare già dagli inizi del secondo millennio era avvenuta una grande trasformazione della società feudale: il declino del sistema di dipendenza della servitù della gleba e la nascita di comunità di villaggio dotate di una certa autonomia e formate da contadini non più servi della gleba. Questo porta una nuova cultura, la cultura della cooperazione e della solidarietà. E' in questo clima che il monaco cistercense Gioacchino da Fiore lancia l'annuncio della liberazione da tutti i poteri che in diversi modi dominano dall'alto e l'avvento di una società dello Spirito e dell'amore universale. Un annuncio che in diverso modo nutrirà tutte le rivoluzioni moderne, come ci dicono molti storici autorevoli. Tracce della profezia di Gioacchino da Fiore si possono ritrovare nel modernismo a cui guardava con simpatia papa Giovanni e nei movimenti della liberazione post-moderna come ad esempio nella riflessione di un Teillard De Chardin, nelle comunità di base e nella Teologia della liberazione.

Altro che utopismo anarchico. E' il futuro che si delinea.

Utopismo lontano dalla realtà appare piuttosto questa insistenza nel blindare la Chiesa nel bunker del sacro illudendosi che in tal modo essa possa sfuggire alle sfide della secolarizzazione. Gli orrori della pedofilia così come tutto il marcio che emerge dal buio degli spazi sacri non si può più affrontare con quell'assolutismo gerarchico che è la radice stessa dei mali della Chiesa. Occorre aprire porte e finestre allo Spirito che alimenta i "segni dei tempi".

(Enzo Mazzi, Manifesto 10 marzo 2010)