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domenica 14 ottobre 2012

Decrescere per vivere

Assemblea domenicale 14 ottobre 2012



COMUNITA’ DELL’ISOTTO
DOMENICA 14 OTTOBRE 2012
Riflessioni di Lucia, Paola, Fiorella e Antonietta

LUCA.12,32- .
Poi disse ai suoi discepoli: “ Perciò dico a voi; non vi preoccupate per la vostra vita, che cosa mangerete, né per il vostro corpo, di che vi vestirete, perché la vita vale più del nutrimento, e il corpo più del vestito: Osservate i corvi : non seminano ne raccolgono e non hanno ne dispensa ne granaio…..Considerate come crescono i gigli: non lavorano ne filano; eppure io vi dico che nemmeno Salomone, in tutta la sua gloria fu mai vestito come uno di loro…

Karl MARX,  Miseria della filosofia
Giunse infine un tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile diventò oggetto di scambio, di traffico,  e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino ad allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, conoscenza ecc. . tutto divenne commercio. E’il tempo della corruzione generale, della venalità universale o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà morale o fisica divenuta valore venale, viene messa sul mercato per essere apprezzata al sua giusto valore.


 Necessità della decrescita

Cosa può aver spinto 700 persone (molti giovani, circa il 40% aveva meno di 30 anni; con una  lieve superiorità femminile) provenienti da 47 paesi diversi ad andare a Venezia pagandosi viaggio, alloggio e 110 euro di quota di iscrizione per assistere ad una conferenza di cinque giorni sulla decrescita?

Non sarebbe potuto accedere se alla base della nostra società non esistesse   una gran voglia di trovare vie di uscita innovative alla crisi che ci ha portato l’economica della crescita.

Come sarà possibile passare da una economia basata sulla crescita all’infinito del prodotto interno lordo, ad una economia del “ sufficiente e del bastevole”,  per usare le parole di Gandhi o dell’“abbondanza frugale”, come la chiama Serge Latouche.
Economista e filosofo francese.(Vannes 1940) professore di Scienze economiche all'Università di Parigi  
È tra gli avversari più noti dell'occidentalizzazione del pianeta e un sostenitore della decrescita. Credo il + conosciuto anche perché autore di molti libri e pubblicazioni su questo argomento.

Affrontando  la domanda sul rapporto che c’è tra decrescita e democrazia,  sappiamo che vi è un nesso strettissimo tra forme istituzionali e modelli economici. Quelle parlamentari liberali hanno fondato il loro consenso sulla possibilità di ridistribuire risorse economiche crescenti, o, quantomeno, di prometterlo.

 La crisi economica per mascherare il suo prolungarsi  mette in ginocchio anche la fiducia nella democratica.

Serve quindi reinventare non solo l’economia, ma anche la politica.

Ci sono 2 nuove   Costituzioni dell’Ecuador e della Bolivia che  indicano una strada:  il riconoscimento di diritti non negoziabili della natura insieme al riconoscimento della sua natura comune   cioè l’assunzione da parte della politica di una responsabilità planetaria.
Il progetto di decrescita non propone una semplice riduzione dei consumi, ma un nuovo modo di intendere i rapporti tra gli esseri umani e tra questi e il loro ambiente, con particolare attenzione alla gestione delle risorse naturali, esauribili o comunque alterabili.
Quando queste risorse sono indispensabili per la vita di ogni essere umano, vanno considerate “beni comuni” non privatizzabili, per garantirne l’accesso a tutti, come applicazione del diritto alla vita.
Questo comporta una forma di democrazia diretta e partecipata. Consegnare i beni comuni al mercato significa, al contrario, mettere a rischio la democrazia.

Ma affinché questo possa accadere, dobbiamo anche inventare e sperimentare forme nuove di democrazia, che privilegino la partecipazione sulla delega

La sostenibilità, insomma, non riguarda solo l’“impronta ecologica” che lasciamo sulla terra, ma l’intero mondo delle relazioni umane che sappiamo – o non sappiamo – intrecciare tra tutti gli esseri viventi.
Questa terza Conferenza internazionale sulla decrescita sarà ricordata anche per il punto di vista di genere. Molte partecipanti e partecipanti  hanno ricordato che le istituzioni non sono neutre e che la lontananza maschile dalla riproduzione segnala una storica divisione sociale e ha come conseguenza la incapacità maschile di affrontare il rapporto con la natura attorno a se, con le proprie emozioni e passioni esistenziali, con le donne, con gli altri e perciò con la stessa politica.
Sono solo “buone intenzioni” – è stato detto da alcuni – buone intenzioni che però non fanno i conti con la realtà dura del potere e delle istituzioni statali-
 per altri -  invece, queste buone intenzioni si possono già rintracciare in una miriade di esperienze concrete delle quali ci parlerà poi Lucia.

La decrescita non è semplicemente crescita negativa. È evidente, infatti, che una politica economica incentrata su una drastica riduzione dei consumi creerebbe, data l’attuale struttura del sistema produttivo, una drammatica riduzione della domanda globale e un aumento significativo della disoccupazione e del disagio sociale. Non è questa, certo, la prospettiva per il futuro.

 Quali che siano le forme che la decrescita assumerà avrà sicuramente un carattere multidimensionale, ed è certo che ogni cultura, ogni territorio, la esprimerà in forme proprie e diverse.

 I livelli ai quali agisce il processo di decrescita vanno da quello economico a quello sociale e a quello politico.

Ma la necessità della decrescita deriva dalla banale constatazione che una crescita infinita in una realtà finita è impossibile, una constatazione che sfugge alla logica dell’economia che oggi condiziona il mondo.
In una società sostenibile le attività umane non possono ridurre a merce ogni bene materiale ed immateriale; al contrario devono inserirsi nei complessi e delicati equilibri dinamici, presenti nell’ambiente naturale, senza distruggerli, senza trasformare le risorse in rifiuti, senza ridurre la biodiversità degli organismi viventi
Finisco con una  citazione di Alexander Langer:
la scelta volontaria di una società che decresce è una scommessa che vale la pena di essere tentata per evitare contraccolpi brutali e drammatici
Ci troviamo al bivio tra due scelte alternative: tentare di perfezionare e prolungare la via della sviluppo, cercando di fronteggiare con più raffinate tecniche di dominio della natura e degli uomini le contraddizioni sempre più gravi che emergono (basti pensare alle guerre per il  petrolio) o invece tentare di congedarci dalla corsa verso il ‘più grande, più alto, più forte, più veloce’ chiamata sviluppo per rielaborare gli elementi di una civiltà più ‘moderata’ (più frugale, forse, più semplice, meno avida) e più tollerante nel suo impatto verso la natura, verso i settori poveri dell’umanità, verso le future generazioni e verso la stessa ‘biodiversità’ (anche culturale) degli esseri viventi.”

FAQ n. 4

Intendete negare agli abitanti dei paesi poveri ciò di cui hanno bisogno o comunque desiderano?

Decrescita significa rifiutare le logiche economiche predatorie delle risorse naturali e i meccanismi giuridico-istituzionali distruttivi delle stesse relazioni umane, il prendersi cura dei beni comuni significa allora rovesciare il modo di pensare al mondo e a noi stessi, dare un senso profondo e un obiettivo etico al fare umano: la preservazione del creato .d
La metà della popolazione del pianeta  cerca di sopravvivere  malgrado la sostanziale indifferenza dei paesi ricchi verso le loro condizioni, Cosa potremmo “ridurre” al miliardo di persone che corre ogni giorno il rischio di morire di fame e ai due miliardi e mezzo di persone prive di accesso all’acqua potabile e mancanti dei servizi igienici più semplici? Stesso discorso vale per coloro che nei paesi industrializzati vivono al di sotto della soglia di povertà ,  privi dell’assistenza sanitaria gratuita ecc..
La decrescita non è sinonimo di diminuzione dei beni e dei servizi necessari allo star-bene delle persone. La decrescita al contrario si propone di aumentare l’accesso all’uso di ciò che ci serve liberandolo dal giogo del denaro e dalla  logica dei meccanismi di mercato: Infatti, è solo fuoriuscendo dal dominio della produzione mercificata e del consumo mercatizzato che è possibile “lasciare in loco”, a disposizione delle popolazioni locali, le immense risorse del Sud del mondo.
 É evidente che la decrescita non riguarda lo scarso cibo disponibile in gran parte dei paesi poveri, ma prevede in primo luogo una rapida diminuzione delle coltivazioni orientate a soddisfare le esigenze dei paesi ricchi (le piantagioni di caffè, cacao, zucchero, soia, biocarburanti, ecc.) e l’aumento delle produzioni di alimenti destinati al consumo locale; la riduzione dell’uso di pesticidi e di altri prodotti chimici per l’agricoltura a tutto vantaggio della salute delle popolazioni locali; la diminuzione dell’uso di semi ibridi e geneticamente modificati e il ritorno alle sementi originarie  e agli alimenti scartati per favorire l’imitazione dei modelli di consumo  occidentali; il blocco degli acquisti di terre fertili da parte di paesi industrializzati che cercano di premunirsi da scarsità future; la revisione totale delle logiche di cooperazione internazionale che finora hanno favorito i prodotti interessanti le popolazioni ad alto reddito o hanno invaso i paesi del cosiddetto Terzo mondo con eccedenze di produzione che riducevano i redditi dei contadini dei paesi ricchi.
 Modifiche di questa portata delle logiche dei rapporti  Nord-Sud ridurrebbero subito i rischi maggiori e le diseguaglianze più umanamente insostenibili, ma soprattutto permetterebbero alle popolazioni del Sud del mondo di tutelare al massimo le loro risorse naturali.
Se si comprende questa prospettiva, si può intuire che molti dei paesi che oggi consideriamo in situazioni disperate o che, come il Brasile, stanno distruggendo le proprie ricchezze naturali nel tentativo di imitare il modello proposto o imposto dai paesi più industrialmente avanzati, si troverebbero nel giro di pochi anni in una condizione ideale se riuscissero a rifiutare lo sviluppo  senza limiti e gli investimenti delle multinazionali e si collocassero in una prospettiva di evoluzione rispettosa dell’ambiente.
Ben più difficile sarà invece il percorso dei paesi oggi considerati leader mondiali (Cina inclusa), trovandosi nella necessità di dover “smontare” molta parte delle loro industrie e delle loro urbanizzazioni eccessive e di dover ricostituire un ambiente rurale adeguato alle minori ma essenziali esigenze delle rispettive popolazioni.
 Naturalmente, un cambio di modello così radicale e profondo, imposto dai mutamenti climatici e dalla minore disponibilità di materie prime, specie energetiche,  non dovrà essere effettuato con la violenza da inimmaginabili governi mondiali, ma può soltanto essere il risultato di un lavoro di coscientizzazione diffusa e di maturazioni culturali diverse in ciascuna area, in modo che siano le popolazioni stesse a desiderare di creare e costruire un proprio modello sociale rispettoso del pianeta 



IMMAGINAZIONE E SPIRITUALITA’

In un evento culturale parallelo alla Conferenza, è stato affrontato il tema  Immaginazione e spiritualità: per una conversione ecologica della società”. A questo evento, che si è svolto nella bella Basilica dei Frari con più di mille persone, erano presenti Serge Latouche, uno tra i massimi esponenti della teoria della decrescita come economista nell’Università d’Orsay a Parigi, padre Alex Zanotelli, missionario comboniano noto per il suo impegno sociale e nei movimenti e Marcelo Barros, brasiliano, teologo della liberazione.
Secondo Latouche  dobbiamo prendere coscienza che le nostre menti sono colonizzate dall’idolatria dell’economia, frutto della modernità. Ora è tempo di liberare da questo la nostra mente. Questa conversione secondo Barros, può cominciare dai movimenti come quello della decrescita e dei bilanci di giustizia, tornando a parlare la lingua del vangelo. In Brasile gli indios sono stati schiavizzati perciò bisogna intenderci su quale cristianesimo può decolonizzare le nostre menti. Zanotelli ha parlato della sua esperienza a Korogocho, baraccopoli di Nairobi e ci sono voluti 12 anni di lavoro per capire che il futuro del Cristianesimo dipende dalla capacità dei cristiani di prendersi le proprie responsabilità nei confronti della Terra, perché salvare la Terra è parte essenziale per salvare l’uomo e la presenza divina nel mondo. E’ necessario che la tribù bianca si converta. Zanotelli ha sostenuto che la speranza nasce dal basso, segni di speranza in tante piccole esperienze che, se diventano mobilitazione, possono produrre risultati, come il referendum sull’acqua.
La sacralità della natura accomuna il pensiero della decrescita a quello cristiano (Latouche).  Latouche ha capito durante la sua esperienza professionale di lavoro e di vita in Congo e nel Laos che il suo lavoro di “sviluppista” era quello di distruggere l’equilibrio di una società tradizionale e creare bisogni in funzione del mercato, così tornato in Francia ha cominciato il percorso di critica allo sviluppo ad ogni costo. Si può vivere bene anche al di fuori dalla società dei consumi che genera solo frustrazione.
Barros ha sottolineato l’importanza della rinascita dei movimenti delle popolazioni indigene in America latina, che ha dato loro nuova dignità.  
Tante sono state le indicazioni sulle azioni da non rimandare: per Barros, non perdere la gioia, la convivialità, l’affetto, la fratellanza. Per Zanotelli chiedere perdono ai giovani per lo scempio ambientale degli ultimi decenni e ridurre gli imballaggi e le bottiglie di plastica. Latouche invita a buttare la televisione (“il vero strumento della colonizzazione dell’immaginario”) e a fare un po’ di tecnodigiuno: vivere senza cellulare, senza automobile, senza computer è un atto politico.
Altro percorso potrebbe essere quello di immaginare comunità che danno vita ad economie sostanziali basate su bisogni reali delle persone e sulle disponibilità produttive dei territori. Qualcuno lo sta cominciando a fare; un intreccio di GAS, banche del tempo, cohousing, microcredito, orti urbani collettivi, condivisione delle automobili e degli attrezzi, scambio di oggetti usati e altro: possiamo iniziare a ridisegnare le nostre città e costruire delle mappe dei bisogni quali nuovi piani urbanistici strategici.
Il lavoro da fare è tantissimo, ma i sostenitori del progetto, a differenza dei mercati, hanno dalla loro la creatività, l’energia vitale e la forza dei sogni.


FAQ n. 10 Quale ruolo per la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico nella società della Decrescita?

La ricerca va liberata dai condizionamenti del potere economico e le tecnologie vanno poste al servizio della preservazione della vita.
É necessario, a questo scopo, un nuovo paradigma scientifico, coerente con la prospettiva della decrescita, che sviluppi tecnologie appropriate e condivise dalla collettività. Il vecchio paradigma, nato circa due secoli fa, e divenuto punto di riferimento anche per l’economia, è un paradigma basato  sul meccanicismo. Cioè : su una concezione del mondo corporea non  preordinata  ad una finalità superiore. ( quindi meccanica)
I meccanicisti sostenevano il principio che gli organismi altro non sono che macchine, anche se molto particolari, il cui funzionamento può pertanto essere compreso interamente per mezzo delle leggi della meccanica fisica.
Wikipedia: meccanicismo è un termine filosofico utilizzato per indicare una concezione del mondo che evidenzia la natura esclusivamente corporea, e quindi meccanica, di tutti gli enti, unita al loro comportamento motorio esclusivamente di tipo meccanico.
Enciclopedia Trecani_ meccanicismo =Ogni concezione che consideri l’accadere, sia fisico sia spirituale, come il prodotto di una pura causalità meccanica e non preordinato a una superiore finalità.
 La visione meccanicista  della realtà, che pure ha garantito notevoli progressi tecnologici, era funzionale ad una società nata dalla rivoluzione industriale, che considerava come scopo principale della scienza e della tecnologia quello di fornire all’uomo strumenti per dominare e sottomettere la natura.
 Questa  porta a credere che la tecnica sia in grado di risolvere ogni problema, sociale, ambientale o sanitario, in un ambiente dove energia e materie prime sono ritenute sempre disponibili, praticamente infinite.
 Nell’impostazione meccanicista non c’è spazio per la prevenzione ma solo per interventi mirati a curare i danni avvenuti (inquinamenti, malattie, ecc.), interventi che richiedono nuove produzioni e nuovi consumi e che fanno crescere il prodotto interno lordo, unico vero parametro preso in considerazione dall’economia liberista
Questa ideologia riduce a merce ogni risorsa naturale, comprese quelle ritenute beni comuni, come l’acqua che beviamo, fino agli stessi organismi viventi, essere umano compreso (si pensi alla brevettabilità dei viventi e delle loro parti, geni, cellule, tessuti ecc.).
A questa visione mercantile della scienza e della natura occorre contrapporne un’altra visione L’uomo non è né padrone né schiavo della natura: come essere vivente deve interagire con il suo ambiente, anche modificandolo, ma, come essere pensante e quindi responsabile delle proprie azioni, deve rispettarne le regole e i criteri, come ad esempio, i cicli biogeochimici, che permettono un uso razionale delle risorse.
Attualmente la ricerca scientifica non è libera, perché dipende dai committenti, cioè da chi la richiede e da chi la finanzia, per lo più centri di potere economico e finanziario, che non coinvolgono i cittadini, ma spesso neppure le comunità scientifiche, che non hanno il controllo delle ricerche finanziate da privati.
 Analogamente le applicazioni tecnologiche di tali ricerche, coperte da brevetti o da segreti industriali, hanno impatti sociali, ambientali e sanitari che ricadono su tutta la popolazione, che viene esclusa dalle decisioni e tenuta spesso all’oscuro delle possibili ricadute. La necessaria realizzazione di oggetti e di tecnologie sostenibili e realmente utili, che non hanno come scopo il profitto, ma un giusto reddito per chi partecipa alla loro produzione, richiede un processo democratico partecipativo, che coinvolga tutta la collettività: i recenti referendum sul nucleare e sull’acqua hanno messo in evidenza una maggiore saggezza della popolazione nel suo insieme, rispetto ad economisti, ricercatori e tecnocrati.
 Una società  della decrescita non potrà fare a meno di ricerche scientifiche e di applicazioni tecnologiche, ma non potrà delegare a ricercatori, tecnocrati o centri di potere economico quali ricerche svolgere e soprattutto non potrà affidare a valutazioni solo scientifiche il proprio presente e il proprio futuro, con la consapevolezza che scienza e tecnologia non possono risolvere limiti naturali, come l’esaurimento delle risorse, ma rispondere a domande sociali.(in modo probabilistico e non deterministico, come invece ritiene l’attuale paradigma meccanicista.)


Per chi vuole approfondire sul sito www.venezia 2012.it, alla voce FAQ sulla decrescita, vi sono alla voce INdice FAQ,  24  domande e relative  risposte.







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