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venerdì 11 luglio 2008

Eluana Englaro

Roma, 10 lug. (Apcom) - La Commissione bioetica delle chiese valdesi e metodiste, esprime la propria solidarietà nei confronti della famiglia Englaro e ribadisce la propria posizione a favore della libertà di cura, che è sempre e contestualmente libertà di rifiutare la cura.


"Come cristiani - afferma una nota della Commissione bioetica valdese e metodista - riteniamo sia necessario guardare alle persone viventi e alla loro sofferenza, che non può essere dimenticata in nome di principi universali e astratti, né può essere subordinata a una norma oggettiva e precostituita che venga ritenuta valida in quanto presunta 'legge naturale'. Crediamo infatti che il cuore dell'etica cristiana debba essere la sollecitudine verso le persone nella loro irrinunciabile singolarità, spesso sofferente, talvolta, come nel caso di Eluana, addirittura tragica: di qui discende, secondo noi, un'idea della medicina come terapia rivolta a soggetti in grado di autodeterminarsi e in grado di decidere il proprio destino".


"La libertà individuale non va guardata con sospetto e identificata con l'arbitrio: per questo motivo, e in conformità con le posizioni espresse dall'ultimo Sinodo dell'Unione delle chiese metodiste e valdesi, come Commissione bioetica sollecitiamo da parte del Parlamento l'approvazione di una legge sulle direttive anticipate di fine vita".


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 L'associazione Scienza e Vita, ai microfoni di Radio Vaticana, parla di «grave sentenza». «La notizia ovviamente è estremamente triste - ha dichiarato all'emittente il professor Gianluigi Gigli del Consiglio esecutivo di Scienza e Vita -. Eluana Englaro sarà la Terry Schiavo d'Italia». «Grande amarezza - denuncia l’associazione in una nota - perché si legittima l’uccisione di un essere umano privandolo delle cose più elementari: l’alimentazione e l’idratazione. Stupore perché la società dei sani ha deciso di non prendersi cura di un essere umano in condizioni di grandissima fragilità e dipendenza, condannandolo ad una morte atroce per fame e per sete». Di «caso terribile di legalizzazione dell'abbandono di un malato, il cui quadro clinico è stabile da anni» parla Roberto Colombo, direttore di biologia molecolare e genetica umana all'Università Cattolica di Milano. La sentenza, per Colombo, «se sarà eseguita, è di condanna a morte certa della ragazza. Senza nutrizione e idratazione clinica, essa cesserà di vivere non a causa della malattia che l'ha colpita, ma per fame e disidratazione».


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