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domenica 26 aprile 2009

Libera volpe in libero pollaio

In Africa gira una storiella


Comunità dell’Isolotto

Firenze, domenica 26 aprile 2009

Le tentazioni del denaro

riflessioni di Carlo, Claudia, Luisella, Maurizio

 

Letture dal Vangelo

 

“Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame.

Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: “Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane”.

Ma egli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo. Il pane va condiviso come dice ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: “Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede”.

Gesù gli rispose: “Sta scritto anche: Non chiedere al Signore Dio tuo ciò che puoi fare da te”.

Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti darò, se, ti affidi a me”. Ma Gesù gli rispose: “Vattene, satana! Sta scritto: Affidati solo al Signore Dio tuo”.

Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano.

 

Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro…: non potete servire a Dio e Mammona” (Matteo 6, 24)

 

Non accumulate tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano, dove ladri scassinano e rubano; accumulate invece tesori nel cielo, dove tignola e ruggine non consumano, dove ladri non scassinano e non rubano. Perché la dov’è il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore. (Matteo 6,19).;

 

Uno della folla gli disse: « Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità ».

Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi? ».

E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni ».

Disse poi una parabola: « La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?

Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio ».

 

C’è chi sostiene che tutto l’Antico Testamento affermi che la ricchezza sia benedizione di Dio. Nel Vangelo, ci sembra che la prospettiva cambi notevolmente: i beni vanno condivisi e apprezzati insieme, non accaparrati e goduti in forma individualistica.  

 

Attraverso questi passi del Vangelo di Luca e di Matteo ci sembra di poter fare almeno 3 sottolineature (alcune nostre e altre del teologo gesuita Silvano Fausti, che vive a Villapizzone, alla periferia di Milano in una comunità di religiosi ed autore fra l’altro del libro “per una lettura laica della Bibbia” (ed. Ancora)  :

 

1) ‘Mammona’ ha un’etimologia incerta; tradotto con Satana in realtà vuol dire “sostanza”, “beni che si posseggono”. L’affermazione sembra abbastanza chiara: non si può stare dalla parte del regno di Dio, ossia dalla parte del senso di fratellanza, di giustizia e condivisione, e di amore, e cercare l’accumulo del denaro e dei beni, il profitto.

 

2) gli altri due passi del vangelo non solo avvertono della precarietà dei beni e dei denari che possono essere rubati, svalutati, annientati dalle banche, distrutti da un terremotato o … ma avvertono (e forse anche prendono in giro) della vanità e dell’illusione del senso di onnipotenza di coloro che accumulano beni e denari.

 

3) La storia dei due fratelli che litigano per l’eredità ( che è poi la storia dell’umanità, che inizia con due fratelli che si litigano per un giocattolo e poi possono continuare …fino all’eredità etc..) mostra anche l’idea secondo cui per poter essere felici si debba prima accumulare … e che solo dopo aver ben accumulato si possa gioire.

Mi sembra invece che il Vangelo ci suggerisca che il godere e il piacere per quello che c’è debba accompagnare la nostra vita, per senso di giustizia, condivisione e fratellanza con gli altri ma anche per il senso di rispetto e di gioia che dobbiamo a noi stessi.

 

Infine il teologo gesuita Silvano Fausti ci ricorda “agli inizi degli Atti degli Apostoli troviamo la comunità cristiana che fa la cosa più strana per un ebreo: vende la terra e le case. La terra è la terra promessa, a cui è legata la promessa di Dio. Uno che vende la terra butta via la promessa di Dio?! Come mai i Cristiani allora vendono la terra Promessa? La risposta è che il ricavato lo mettono in comune. Il denaro è il mediatore universale che garantisce la vita in modo pieno. Vendono la terra e mettono a disposizione il denaro perché la vita non è più né la terra né il danaro. La vita è la comunione fraterna tra gli uomini”.

 

 

Il punto di partenza :

 

Leggiamo da Sole 24 ore del 24 gennaio 2009: “il settore [bancario internazionale], considerato la massima espressione del capitalismo occidentale, di quel capitalismo che a partire dagli anni ‘80 ha fatto della finanza il fulcro della economia mondiale, si ritrova adesso nazionalizzato di fatto, come negli USA, o di diritto, come sta avvenendo in Gran Bretagna, con i liberisti di un tempo che invocano ora l’aiuto dello stato e gli ultra liberisti che lo accettano di buon grado per non veder svanire anche quella reliquia di sistema bancario che le borse si affannano ad azzannare”.

 

Ma come è stato possibile arrivare a questo punto?

Dal punto di vista storico ed economico Roberto Bartoli ci ha spiegato molte cose in occasione dell’incontro comunitario di domenica scorsa.

Noi vogliamo cercare di capire come è stato possibile dal punto di vista culturale, etico.

Cos’è stato che ha portato la società a questo punto: l’illusione che ci possa una crescita infinita e un consumo illimitato? l’idea che anche se i ricchi si arricchiscono poi ci saranno delle briciole per altri? piccoli e grandi tornaconti personali? la bramosia del denaro e del denaro facile? ossia la cupidigia, l’idea che “furbo è meglio”….?

 

Domenica scorsa Scalfari scriveva su Repubblica (19 aprile):

“Il quadro è desolante. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Il controllo dei "media" non serve soltanto a procacciar voti ma soprattutto a trasformare l'antropologia d'una nazione. Ed è questa trasformazione che ha imbarbarito la nostra società, l'ha de-costruita, de-politicizzata, frantumata, resa sensibile soltanto a precarie emozioni e insensibile alla logica e alla razionalità…..

Il tema di oggi è il rapporto tra i grandi ideali della modernità: libertà eguaglianza fraternità.

L'ho già scritto altre volte: l'età moderna è nata da questo trittico di principi e ha dato segnali di decadenza tutte le volte che quel trittico si è indebolito nelle coscienze e nella politica.

Il tema di oggi è quello di ridurre le disuguaglianze senza mettere a rischio la libertà. Questo distingue la sinistra dalla destra.

Bisogna tradurlo in atti politici. Bisogna cambiare l'antropologia del Paese. Bisogna superare l'indifferenza e l'apatia. Bisogna resistere per costruire il futuro.

 

La nostra società, dice Scalfari, si è imbarbarita perché è messo in crisi il rapporto tra i grandi ideali della modernità: libertà, eguaglianza. fraternità.

Sulla difficoltà di coniugare questi ideali si sofferma anche Ralf Dahrendorf in un articolo apparso recentemente anche sulla rivista “Internazionale” il cui titolo è significativo “Se torna l’uomo forte". L’autore, partendo dalla considerazione che la ricchezza non produce più benessere, si domanda: “si può parlare ancora di una civiltà solidale e civilizzata?”…. “.questa situazione può mettere a rischio la libertà “ afferma e prosegue sostenendo che la società ricca, la società buona e la società libera non sono la stessa cosa, e che “è un’illusione credere che il benessere possa garantire da solo la libertà e la solidarietà. La libertà è una conquista continua” E qui sta il rischio della nostra società: essere disposti a sacrificare le libertà politiche per raggiungere obiettivi di benessere economico, il pericolo sta in un nuovo autoritarismo. Poiché i provvedimenti per tornare ad essere economicamente competitivi saranno impopolari, occorrerà sospendere in qualche modo il processo democratico. “La reazione inorridita dei progressisti non basta –dice Dahrendorf- chi vuole una società buona oltre che libera deve farsi venire in mente qualche idea…Stare in guardia contro il nuovo autoritarismo è importante perchè non si presenta apertamente come una dittatura. Può consistere nello svuotamento strisciante dei diritti e delle libertà civili…E probabilmente con il consenso dei cittadini” l’articolo si conclude affermando la necessità di porci l’obiettivo di risolvere la crisi , competere sul mercato globale senza distruggere la solidarietà sociale”

Durante una crisi possono esserci atteggiamenti differenti: si amplifica l’egoismo e si esasperano le differenze, ma ci potrebbe anche essere un’interpretazione più positiva: cogliere l’occasione per un cambiamento, costringendoci a rivedere i nostri stili di vita. Forse solo in queste situazioni riusciamo a mettere in discussione, riesaminare, relativizzare principi e abitudini fino a quel momento indiscutibili. In questo senso si esprime Romano Prodi

 

La ripresa verrà, ma nulla sarà come prima - Romano Prodi (Roma, 19 aprile 2009)

Un segnale puramente politico viene dall’incontro dei G20. Pur non avendo preso nessuna decisione straordinaria, la riunione di Londra all’inizio di Aprile, ha dimostrato che nel mondo si è ricostituito un possibile nucleo di comando. Il fatto che attorno allo stesso tavolo fossero seduti gli Stati Uniti, la Cina e, seppure in modo più defilato, l’Unione Europea, ha mandato a tutti il messaggio che si sta ricostituendo la struttura di comando di cui vi era assolutamente bisogno. Da una crisi anarchica stiamo cioè passando ad un mondo in qualche modo governato.

Per questi e altri motivi, e non solo per l’iniezione di capitale pubblico nelle banche, è diventato ormai un luogo comune ripetere che l’uscita dall’emergenza economica passa più dalla Casa Bianca che non da Wall Street. Tale uscita, infatti, deve essere forzatamente accompagnata dalla messa in atto di quella grande innovazione sociale che stava alla base del programmaelettorale di Obama.

La ripresa verrà probabilmente dopo l’estate. Ma verrà con una radicale redistribuzione del potere fra i diversi Paesi e le diverse classi sociali. Credo perciò che dovremmo impiegare i prossimi mesi non tanto a fare previsioni, quanto invece a preparare le nostre imprese e la nostra società a svolgere un ruolo da protagonista in questo nuovo mondo.”

 

In questo intervento, in cui si richiamano principalmente questioni e riferimenti di tipo economico e politico, emerge a nostro parere un aspetto importante per il tema sul quale stiamo riflettendo, ma non sufficientemente sviluppato: il “nulla sarà come prima” vuol dire (dovrebbe voler dire a nostro parere) che non sarà più possibile considerare il mercato come capace di autoregolarsi, che il liberismo economico è una dottrina sbagliata e tesa unicamente all’accaparramento, che la politica e la società devono dettare le regole del gioco.

Per spiegare perché raccontiamo una storiella…

 

Una storiella…

In Africa gira una storiella per spiegare alla gente, a digiuno di economia, la frana finanziaria e il crollo delle Borse che hanno travolto il globo. «Un giorno, uno sconosciuto arriva in un villaggio e annuncia agli abitanti che è pronto a comperare scimmie a 10 dollari l’una. Subito, quei paesani vanno in foresta e catturano scimmie a centinaia, a migliaia addirittura. Poco a poco, la popolazione dei primati si assottiglia e i cacciatori devono ridurre il ritmo.

Lo sconosciuto annuncia che, d’ora in poi, pagherà 15 dollari la scimmia. I paesani raddoppiano lo zelo, e così, ben presto, non si trova più una sola scimmia nella foresta. Allora, lo sconosciuto offre prima 20 e poi 50 dollari per animale, avvertendo, però, che deve assentarsi. Sarà il suo aiutante a comperare le loro prede. Questi riunisce la gente e indica le gabbie con le migliaia di scimmie che il padrone ha comperato. “Se le volete – dice – ve le cedo a 35 dollari l’una. Così, quando il mio padrone tornerà, potrete rivendergliele a 50”. Accecati dalla prospettiva dell’arricchimento facile, i paesani vendono i loro beni per riscattare le scimmie. Incassato il malloppo, l’assistente sparisce nella notte. Né lui né il padrone si vedranno più. Nel villaggio, solo scimmie che corrono all’impazzata».

Benvenuti nel mondo della Borsa!

 

Altrettanto amaro è il risveglio per tutti noi, abitanti del villaggio globale, in attesa della resa dei conti. Con la cintura stretta. E con lo sguardo rivolto al crollo rapido dell’unico fondamentalismo accettato come legge divina anche dal laico più sfrenato: il fondamentalismo mercatista. Anche la società della competitività fondata sul consumo e sull’egoismo economico ha esaurito il proprio serbatoio. La finzione è stata smascherata: il libero mercato non è (stato) sinonimo di concorrenza leale. Ha semplicemente consentito – rubando un’espressione a Joyce – alla libera volpe di muoversi in un libero pollaio. E le piume abbondano, come le scimmie della storiella.

Ci ritroviamo, così, tutti più poveri. Ma c’è sempre qualcuno più povero degli altri. Perché a pagare le conseguenze della rincorsa statale al salvataggio del sistema finanziario e speculativo globale sono soprattutto i paesi del sud del mondo e gli strati sociali più deboli del mondo occidentale. Con contraddizioni inaggirabili.

Per anni gli Stati Uniti e le grandi agenzie economiche internazionali (Fondo monetario internazionale e Banca mondiale) hanno imposto il loro modello liberista alle economie africane. Hanno preso il megafono e urlato che il libero mercato era l’unico sistema in grado di migliorare le condizioni di vita nei paesi più poveri. Hanno condizionato gli aiuti ai cosiddetti “aggiustamenti strutturali”: meno stato e più liberalizzazioni; altrimenti, niente fondi.

Poi, cos’è accaduto? Che la dottrina è fallita anche in Occidente. E Washington & Co. non si sono fatti scrupoli a nazionalizzare le loro banche, la loro economia, facendo ricadere le perdite sui cittadini inconsapevoli. E il rigore liberista praticato in Africa, spesso con conseguenze disastrose? Capitolo chiuso.

Ma non può essere chiuso il capitolo relativo agli aiuti alla povertà. Perché i miliardi di dollari o di euro che vengono oggi impiegati per tamponare la crisi finanziaria sono sempre stati negati alla lotta alla povertà. Le Monde cita le stime delle ong, secondo cui per sfamare i 923 milioni di esseri umani denutriti oggi nel mondo basterebbero 30 miliardi di dollari l’anno. Meno del 5% della cifra prevista dal primo piano del ministro delle finanze americano, Henry Paulson, per salvare le sue banche (700 miliardi di dollari).

Così, oggi, sono a rischio gli stessi Obiettivi del Millennio. Lo 0,70% del Pil di ciascuna nazione da destinare, entro il 2015, agli aiuti ai paesi in via di sviluppo si profila come mera utopia.

A questa ipotesi se ne affianca un’altra, altrettanto pericolosa: il disimpegno “pubblico” nella lotta alla povertà. Governi e comunità internazionale si ripiegano su sé stessi, relegando solo al privato l’impegno in questa direzione. Come ci ricorda il documento finale degli Stati generali della solidarietà e della cooperazione internazionale, riuniti a Roma a metà ottobre, «ciò vorrebbe dire sancire definitivamente l’inesistenza di una responsabilità pubblica dei paesi ricchi verso quelli impoveriti».

È evidente che pompare risorse pubbliche per lanciare il salvagente al sistema finanziario vuol dire anche togliere risorse al welfare e alle politiche sociali di ogni paese, con l’emersione inevitabile di nuove forme di povertà e di emarginazione.

Gli economisti ci hanno detto che allargare la sfera d’intervento dello stato è l’unico mezzo per scongiurare la catastrofe. Ma il sistema è già entrato nel tunnel dell’assurdo: chi ha speculato e si è arricchito, viene garantito; chi ha subito il sistema, ritorna a essere bastonato.

[Editoriale di Nigrizia, novembre 2008]






 

Dall’editoriale di VALORI, mensile di Banca Etica (marzo 2009, numero 67)

La discussione non riguarda solo le cifre in gioco (le perdite delle banche ammonterebbero a 2200 miliardi di dollari) ma anche la tipologia degli interventi da mettere in atto. Se la solidità delle banche è un problema di patrimonializzazione si tratta di sostenere il capitale delle banche stesse magari acquisendo azioni senza però entrare nella gestione. Se invece il problema èla mancanza di liquidità e il deprezzamento dei beni (i cosiddetti assets) serve una ripulitura dei bilanci attraverso l’acquisto dei cosiddetti “titoli tossici” da parte de Tesoro di ciascuna nazione.

Purtroppo a questo punto l’ipotesi più probabile è che servano entrambi gli interventi.

A questa incredibile quanto drammatica situazione si è giunti celebrando il mito del ROE (Return On Equity) ovvero il rendimento del patrimonio netto, cioè quell’indicatore che misura la redditività dei capitali messi a disposizione dall’azionista.

L’idea è (era) che tutta l’attività di impresa debba tradursi in valore per gli azionisti per cui c’è una rincorsa ad un ROE sempre più alto che i mercati finanziari impongono ai manager anche attraverso lauti incentivi (stock options); ma un rendimento molto elevato presuppone un modello di business molto rischioso che per le banche ha voluto dire anche un uso distorto del proprio capitale.

In breve, quello che è successo è che il capitale è cresciuto meno del credito, con una enorme leva finanziaria: con una unità di patrimonio si investiva per 30 o per 50, evidentemente con risultati straordinari se tutto va bene, ma con il disastro se qualcosa va storto.

Servono dunque nuove regole non solo per i mercati finanziari ma anche per la “governance di impresa” (soprattutto nel settore del credito) a partire dagli incentivi economici per coloro che stanno ai vertici.”

 





Tra le tante cose che si dicono, commenti che sono stati fatti in relazione alla crisi finanziaria che si è abbattuta sul mondo intero e che ci porta anche a considerazioni relative a come è stata strutturata l’economia (cioè essenzialmente la metodologia che regola le prestazioni di ognuno nei confronti di tutti gli altri) e al cattivo comportamento di chi può pilotare i comportamenti, io vorrei riportare al fatto di come ognuno di noi, nell’ambito del proprio intimo (io lo chiamo il buco nero), cerca sempre di massimizzare il proprio interesse e se ci viene offerto un tasso più alto per i nostri risparmi ce ne ingegniamo, anche se si può correre qualche rischio.

Se facciamo riferimento a quelli che hanno un lavoro dipendente o sono pensionati e che pagano le tasse in quanto trattenute dal datore di lavoro e che pertanto sono ottimi cittadini, anche loro se ne hanno l’occasione cercano, nell’ambito delle spese che effettuano, di pagare meno e, spesso e volentieri, invece di pagare la prestazione dell’idraulico o del muratore con l’IVA la pagano senza, preferendo avere un vantaggio per sé pur sapendo che il prestatore pagherà meno tasse.

Con questo voglio dire che tanti se sono posti in determinate condizioni, cioè si trovano in condizione di prendere decisioni, privilegiano il proprio interesse rispetto al bene della collettività.

Cosa dire degli amministratori delle banche che avevano i patrimoni immobiliari valutati 1 lira e pertanto avevano all’interno un valore sostanziale del capitale e che in tempi di crisi e comunque per fare crescere l’utile hanno venduto gli immobili per realizzare sopravvenienze notevoli con le quali hanno potuto, avendo rispettato i budget economici, ottenere i bonus e le stock options? Anche per questo motivo oggi le banche valgono meno.

Cosa dire degli amministratori che ottengono bonus, non perché operano al fine di creare ricchezza e, pertanto, sarebbe giusto che una parte di questa venisse loro assegnata, ma semplicemente perché raggiungono obiettivi che loro stessi possono determinare?

Cosa dire di quegli amministratori che sapendo che un bene potrà dare la sua utilità tra 5 o 10 anni e che scelgono l’ammortamento per 10 anni al fine di attribuire al conto economico solo il 10% del valore in modo da avere un utile più grande ed ottenere il bonus; e tutto questo nell’ambito della legge.

Coloro che hanno sempre avuto i soldi, sono nati ricchi, cercano di mantenere il loro status e pertanto cercano di fare sempre più denari; oggi l’economia come è strutturata mette nelle condizioni anche le persone semplici ma intelligenti di utilizzare i meccanismi finanziari al fine di ottenere guadagni notevoli per raggiungere uno status elevato per sé e per le loro future generazioni. Se lo fanno a danno della collettività è sicuramente un comportamento condannabile, ma se lo fanno anche facendo l’interesse della collettività Cosa ne pensiamo?

 

 

Le considerazioni di Carlo Cecchi

Ancora un contributo alla idea che il “nulla sarà come prima” evocato da Prodi debba voler dire che è necessario identificare le responsabilità e non nasconderle, capire chi debba e possa ridefinire le regole viene da questa riflessione di Carlo Cecchi, nostro amico e impiegato di banca:

Dov'erano in questi anni la Banca d'Italia, la Consob, l'ABI, i ministri del Tesoro?

Le banche e gli enti di controllo sono i primi responsabili della catastrofe finanziaria.

Dov'erano in questi anni la Banca d'Italia, la Consob, l'ABI, i ministri del Tesoro?

I Tremorti e i Padoa Schioppa? I Fazio e i Draghi? I Geronzi, i Passera, i Profumo?

I sindaci che hanno investito in derivati le tasse dei cittadini? Gli analisti finanziari?

I giornalisti economici? I Cardia e i Capuano? I titoli spazzatura, i futures senza futuro, i subprime, i Cdo, i buchi di bilancio, le esposizioni bancarie senza garanzie.

Questi signori o sapevano tutto, e allora sono dei criminali e vanno perseguiti, oppure sono degli incompetenti da licenziare al più presto.

Il rinnovamento deve partire dai vertici finanziari. Liquidare i politici e lasciare al loro posto i banchieri non serve a nulla. Al prossimo giro chi ha il controllo del sistema finanziario eleggerà altri prestanome, servi o soci in affari.

Per salvare il Paese distrutto dalle banche si prestano soldi alle banche senza rimuovere i responsabili. E' un mondo alla rovescia. Si premiano con soldi pubblici, frutto delle tasse delle famiglie, gli stupratori del risparmio dei cittadini. Senza neppure chiedere un ricambio, con Passera e Geronzi al loro posto con stipendi da milioni di euro. Invece di fare un passo indietro, hanno fatto due passi avanti.

I responsabili sono premiati, i cittadini, spesso, hanno perso tutto. Se rubi per fame del prosciutto al supermercato ti arrestano, se mandi sul lastrico migliaia di famiglie diventi presidente di Mediobanca. E' in atto una rimozione collettiva.

Le banche controllano i giornali, sono presenti nei consigli di amministrazione dei gruppi editoriali. Lo tsunami finanziario è descritto come un evento soprannaturale, qualcosa di inevitabile, di cosmico. I vertici delle banche sono vittime della situazione, non responsabili.

Quanto hanno guadagnato di stock option negli ultimi anni i banchieri grazie ai titoli tossici?

Di quanto si sono ridotti lo stipendio dopo la crisi?

Credo che sia necessario una pubblica discussione con dati, nomi, responsabilità, guadagni illeciti di chi è stato al vertice delle istituzioni finanziarie e dei loro complici dell'informazione.

Nel frattempo, non un solo euro dello Stato alle banche.

 

 




Le nuove regole per il futuro 

 

Abbiamo visto nei documenti precedenti che da più parti si parla di nuove regole, di nuovi comportamenti, di nuovi rapporti sociali e internazionali; ma quanti di questi auspici sono o saranno effettivamente possibili, ovvero, in termini evangelici, quanto il Regno di Dio sarà realizzabile in questo mondo o rimarrà soltanto una aspirazione post mortem ?

Proviamo a proporre alcune visioni.

 

Che l’attuale crisi economica sia stata innescata da una finanza spregiudicata e priva di valori è ormai chiaro a tutti. – spiega Simona Geraci, referente Banca Etica per la provincia di Rieti - Quello che serve ora è pensare a come uscire da questa situazione: i governi e le istituzioni stanno cercando di tamponare le falle con iniezioni di liquidità per salvare le banche e manovre sui tassi per rilanciare gli scambi. Ma occorre individuare soluzioni strutturali per il medio-lungo periodo. Il nostro auspicio è che i governi e le istituzioni possano prendere esempio dalle buone praticheadottate dalla Finanza Etica che in tutti questi anni ha dimostrato che una finanza trasparente e orientata al bene comune può anche essere efficace ed efficiente e certamente tutela i risparmiatori”.

“Banca Etica – aggiunge - vuole offrire a un numero sempre maggiore di persone la possibilità di orientare eticamente i propri risparmi e per sostenere sempre più le tante iniziative di valore sociale, culturale e ambientale di chi vuole un mondo più giusto. Per affrontare queste nuove sfide Banca Etica deve incrementare il proprio capitale sociale e la base di soci, siano essi singoli o associazioni, che rappresentano la vera linfa vitale del nostro progetto e che proprio per questo godono di condizioni agevolate sia sui prodotti di deposito che sui finanziamenti”.

 

I valori di Banca Popolare Etica (ossia gli orientamenti valoriali e i principi deontologici che guidano le scelte strategiche, le linee politiche e i comportamenti operativi di tutti coloro che, a vario titolo e a livelli diversi, contribuiscono alla sua gestione) derivano dai principi fondanti della Finanza Etica, che Banca Etica adotta come criteri di orientamento della propria attività.

Per dare risposta all'esigenza di coniugare etica ed operatività bancaria, Banca Etica ha creato strumenti e comportamenti che mirano a creare organismi indipendenti di verifica sulla coerenza delle attività bancarie, a coinvolgere quella parte della società che crede negli obiettivi della finanza etica (la rete dei soci, il terzo settore e i movimenti) e a contaminare la gli operatori economici, gli enti locali e il mondo accademico.

 

L'Articolo 5 dello Statuto

Banca Popolare Etica, all'Art. 5 del proprio Statuto, così esplicita i propri valori di riferimento:

- la finanza eticamente orientata è sensibile alle conseguenze non economiche delle azioni economiche;

- il credito, in tutte le sue forme, è un diritto umano;

- l'efficienza e la sobrietà sono componenti della responsabilità etica;

- il profitto ottenuto dal possesso e scambio di denaro deve essere conseguenza di attività orientate al bene comune e deve essere equamente distribuito tra tutti i soggetti che concorrono alla sua realizzazione;

- la massima trasparenza di tutte le operazioni è un requisito fondante di qualunque attività di finanza etica;

- va favorita la partecipazione alle scelte dell'impresa, non solo da parte dei soci, ma anche dei risparmiatori;

- l'istituzione che accetta i princìpi della finanza etica orienta con tali criteri l'intera sua attività.


Nell'ambito di questi valori di riferimento, Banca Etica opera con la seguente missione:

- essere i pionieri di una nuova idea di banca, intesa come luogo di incontro, dove le persone e la banca manifestano trasparenza, solidarietà e partecipazione facendo della banca uno strumento anche culturale per la promozione di un'economia che ritiene fondamentale la valutazione sociale ed ambientale del proprio agire.

- stimolare chi riceve il credito a sviluppare le competenze, le capacità e l'autonomia necessarie ad acquisire la responsabilità economica, sociale ed ambientale.

- garantire il risparmiatore in ordine alla precisione, all'efficienza della gestione e all'uso degli affidamenti, all'attenzione all'uso delle risorse (sobrietà) ed alla ripartizione dei profitti, in modo coerente con le proprie attese.

- agire nel rispetto dell'uomo e dell'ambiente e delle specificità culturali dei contesti territoriali in cui opera Banca Etica, per una migliore qualità della vita, orientando coerentemente le attività della banca stessa.

- permettere l'accesso al credito ai soggetti dell'Economia Sociale: imprese, persone e progetti valutati principalmente per la loro capacità di produrre "valore sociale".

 

 

Le RETI DI ECONOMIA SOLIDALE

 

Il progetto "RES" (Rete di Economia Solidale) è un esperimento in corso per la costruzione di una economia "altra", a partire dalle mille esperienze di economia solidale. Questa progetto in costruzione, come sta avvenendo in diversi altri luoghi in giro per il mondo, segue la "strategia delle reti" come pista di lavoro. Intende cioè rafforzare e sviluppare le realtà di economia solidale attraverso la creazione di circuiti economici, in cui le diverse realtà si sostengono a vicenda creando insieme spazi di mercato finalizzato al benessere di tutti.

L' idea nasce dall' intreccio delle problematiche teoriche della teoria delle liberazione con le dinamiche pratiche dei movimenti di lotta sociale e di economia solidale presenti in Brasile. Da questo apprendimento reciproco si è elaborato una teoria di organizzazione di reti, integrandole e dandole un carattere strategico. Da lì iniziano ad organizzarsi le reti di economica solidale, la prima in Curitiba, rivendicando una concezione di produzione articolata con la domanda di consumo locale, in forma autogestita e un processo di auto alimentazione produzione e consumo, di sviluppo sostenibile. Nel 1999 si è realizzato un portale internet (www.redesolidaria.com.br), ricca di informazioni, esperienze, spazi di approfondimento e discussione.

Una rete è costituita dalle cellule, sue unità costitutive, dalle loro interconnessioni relazionali e dai i flussi che le alimentano. Questi flussi possono essere di tre tipi: flussi d' informazione e tecnologia, flussi di beni e prodotti e flussi di valori, sia economici che etici, di gran lunga i più importanti. Ogni volta che due gruppi, due organizzazioni si integrano in un processo di scambio con altri gruppi, in cui uno alimenta l' altro in un intercambio di diversità ed arricchimento reciproco allora abbiamo una rete. Tutti i tipi di organizzazioni (movimenti delle donne, reti di diritti umani, reti di produttori agricoli) che si organizzano e che s'integrano in un flusso di informazioni e consumo fanno poi parte di questa rete. Le dinamiche relazionali fra cellule avvengono senza gerarchie verticali prestabilite. La nozione di rete permette di lavorare con la diversità, e fare della diversità la forza del cambiamento. Le reti si autoalimentano tramite la diversità: tanto maggiore è la diversità, tanto più forte è la rete. La sua forza è nella tessitura, nell' inclusività e nella qualità dei legami tra i suoi componenti. È la stessa idea dell'ecologia, ma qui si tratta di una diversità con principi etici; non tutte le diversità sono buone, alcune annullano le libertà dell' individuo, ma quelle «buone» ne garantiscono le libertà. Le reti sono importanti, e rivoluzionarie, perché per la prima volta esiste una forma di organizzazione politica che integra i vari gruppi di produzione, cultura, educazione. Ognuno lavorando in sua autonomia, e cercando di garantire alla comunità le condizioni basilari all' esercizio della libertà prima ricordate.  Il concetto cruciale è quello del “bem-vivir”, del ben-vivere, contrapposto a quel ben-avere che, nella mentalità oggi dominante, coincide con il benessere. 

In Italia questo percorso è stato avviato il 19 ottobre 2002 a Verona nel corso di un seminario sulle "Strategie di rete per l'economia solidale", in cui le numerose realtà convenute hanno deciso di affrontare questo viaggio collettivo. Un primo passo è stata la definizione della "Carta per la Rete Italiana di Economia Solidale", presentata al salone Civitas di Padova il 4 maggio 2003. Ora il percorso prevede la attivazione di reti locali di economia solidale, denominati "distretti", come passaggio fondamentale per la costruzione di una futura rete italiana di economia solidale. Questo progetto è sostenuto da un gruppo di lavoro su base volontaria a cui partecipano diversi soggetti dell'economia solidale italiana. Gli incontri del gruppo di lavoro sono aperti alle persone interessate. E' attivo il portale internet www.retecosol.org 

In vari paesi del mondo (Brasile, Argentina, Spagna, Francia) esistono già reti di economia solidale, nate negli ultimi anni. In Italia la Rete di Lilliput e diversi soggetti di economia alternativa (Botteghe del Mondo-commercio equo solidale, Gruppi di Aquisto Solidali, organizzazioni della Finanza Etica e del Turismo Responsabile, cooperative sociali) stanno promuovendo un processo analogo, per collegare e rafforzare queste pratiche di economia basate su principi opposti a quelli del neoliberismo; punto di partenza di questo processo è la costituzione di Distretti locali di Economia Solidale.

I principi su cui si basano le reti di economia solidale :

* Nuove relazioni tra i soggetti economici, fondate su principi di cooperazione e reciprocità.

* Giustizia e rispetto delle persone (condizioni di lavoro, salute, formazione, inclusione sociale, garanzia di beni e servizi essenziali).

* Partecipazione democratica

* Disponibilità a entrare in rapporto con il territorio (partecipazione a progetti locali).

* Disponibilità a entrare in relazione con le altre realtà dell’economia solidale condividendo un percorso comune.

* Investimento degli utili per scopi di utilità sociale

 

 

 

Com'è piccola la torta del mondo

Su "Nigrizia" la provocazione di padre Zanotelli: basta parlare di crescita, dobbiamo dividere le risorse in maniera più equa.

Zamagni: ma lo sviluppo sostenibile non è un'utopia

E' uno dei grandi temi del nostro tempo: su di esso si confrontano, almeno da un decennio, esperti, ecologisti ed economisti di tutto il mondo. Gli stessi che il mese prossimo si incontreranno a Johannesburg per discutere - ancora una volta - di come sia possibile perseguire uno "sviluppo sostenibile". Le riflessioni toccano punti quali lo sfruttamento delle risorse del Pianeta, l'inquinamento, le scandalose diseguaglianze tra Nord e Sud del globo. Ma c'è anche chi, alla domanda su dove abiti lo sviluppo sostenibile, risponde deciso: da nessuna parte. E' il caso di padre Alex Zanotelli, missionario comboniano autore di un editoriale sull'ultimo numero di Nigrizia, nel quale sostiene che "non c'è nessuno sviluppo oggi che sia sostenibile". "La torta economica del mondo non si può più aumentare", scrive Zanotelli. "Possiamo solo cominciare ad imparare a dividercela un po' più equamente". Parte da premesse del tutto diverse da Zanotelli ma si sovrappone parzialmente alla sua analisi l'economista Carlo Pelanda, vicedirettore del Center for the study of Global issues dell'Università della Georgia. "E' vero, lo sviluppo sostenibile non esiste, perché il concetto stesso di sviluppo legato a un uso costruttivo del capitale, tipico della cultura occidentale, è caratterizzato dall'idea della creazione attraverso la distruzione". "Il processo di crescita - spiega Pelanda - si esplica con la distruzione di un equilibrio, salvo poi, a posteriori, creare le condizioni per il raggiungimento di una nuova stabilità: il capitalismo è portato a creare e innovare senza calcolare le conseguenza di un evento, e solo dopo si preoccupa di risolvere i problemi sorti dalla nuova situazione". Quindi la sostenibilità non è contemplata nel processo, ma tutt'al più "si raggiunge per fasi". E se un giorno gli equilibri spezzati non fossero più ricomponibili? "Il rischio esiste, per questo è importante che ci siano forze sociali che per impostazione ideologica o tradizione culturale fungano da "coscienza esterna" del capitalismo. Ma credo ingannevole pensare che esso possa incarnare in sé una quota rilevante di autoregolamentazione etica". Argomentazioni che, secondo l'economista Stefano Zamagni, sono viziate da un errore di fondo: "Questi discorsi confondono lo sviluppo con la crescita economica. E' vero che il pil di uno Stato non può aumentare costantemente in eterno, ma lo sviluppo è un concetto umano più ampio, di cui la crescita è solo un indicatore e nemmeno quello più importante. Ci sono poi indici qualitativi essenziali quali la diminuzione delle diseguaglianze, l'aumento del grado di democraticità di un sistema, l'attenzione all'ambiente". Ponendo la questione in questi termini, è dunque possibile immettersi su una via di sviluppo sostenibile? "Sì, perché non esiste problema di natura sociale che non ammetta soluzione, purché ce ne sia la volontà". E quale sia la soluzione, per Zamagni, oggi è piuttosto chiaro: "Il primo segnale che occorrerebbe dare consiste nella costituzione di un organismo mondiale - analogo al Wto, al Fmi, al Tribunale penale internazionale - che si occupi della tutela dell'ambiente e sia in grado di sanzionare gli Stati che non rispettano i parametri concordati. Contestualmente, è necessario affrontare con serietà il problema dell'aumento vertiginoso della povertà relativa, e cioè delle diseguaglianze. Il Nord del mondo deve smetterla di strangolare i Paesi in via di sviluppo". Ma Zamagni fa un passo oltre e arriva a riflettere sul nostro stile di vita: "Dobbiamo cambiarlo, modificare il modello di consumo imperante. Questo non vuol dire crescita zero, bensì crescita diversa: il progresso non significa consumare più auto, telefonini o vestiti ma più beni culturali e relazionali: non bisogna fermare la macchina, bisogna ri-direzionarla". Il punto non è quindi lo sviluppo in generale ma "il modello di sviluppo dominante": ne è convinto Alfredo Somoza, antropologo dello sviluppo e direttore dell'ICEI (Istituto per la cooperazione economica internazionale). "Il consumo "usa e getta", che è stato propagandato come un passo avanti, è in realtà una follia che ci porta a grandi passi verso il degrado ambientale, e su ciò stanno riflettendo oggi gli stessi gestori di questo modello imperante. C'è urgenza di nuove proposte, di modelli alternativi che siano razionali e confido che a Johannesburg emergano spunti concreti positivi". Somoza non crede alla tesi secondo cui lo sviluppo sostenibile non esiste. "Credo invece che si tratti di una battaglia culturale. Ciò che invece oggi non è davvero più sostenibile è il sottosviluppo: la povertà avanza a livello globale, l'immigrazione ne è un volto ma non certo il peggiore. Ci sono Paesi che non reggono più, abbiamo visto cosa è successo in Argentina e in Perù: non si tratta solo di un dramma africano. Di fronte a tali emergenze il problema ambientale passa addirittura in secondo piano". Ma come si sente oggi chi da decenni lavora per la cooperazione allo sviluppo? "E' chiaro che la cooperazione classica non basta più: di fronte all'infezione della povertà essa rappresenta un'aspirina, ma ciò di cui non si può più fare a meno è l'antibiotico". Fuor di metafora? "La crescita non è sufficiente, ciò che conta è come vengono distribuiti i frutti di tale crescita. Serve una politica seria, che agisca sulle leve della povertà. Il primo passo? Che i Paesi ricchi la smettano con il protezionismo".

 

 

 

 

 

 

 






 

Per finire

 

Un aiuto alla riflessione sull’etica del rapporto con il denaro può venire dal testo seguente, scritto dal teologo gesuita Silvano Fausti, che vive a Villapizzone, alla periferia di Milano in una comunità di religiosi ed autore fra l’altro del libro “per una lettura laica della Bibbia” (ed. Ancora) :

 

“Il denaro e il tempio” di Padre Silvano Fausti, 09.12.2002

“[...] Il bene e il male non stanno nelle cose, visto che le cose sono buone, ma stanno nell’uso che ne facciamo. Prendiamo l’affermazione fondamentale di Gesù “non si può servire a due padroni, a Dio e amammona. ‘Mammona ha un’etimologia incerta, vuol dire la sostanza, i beni, tutto ciò che hai. L’etimologia più probabile la fa risalire ad “Amun”, ovvero qualcosa in cui puoi porre la tua fiducia, sulla quale fondi la tua vita. Altre etimologie fanno risalire il termine all’idea dell’accumulo. Ma cosa vuol dire che non si può servire Dio e il denaro? L’affermazione per sé chiara può portare a qualcosa di sbagliato, come demonizzare il denaro. Siccome ‘mammona’ è cattiva, ma anche necessaria, allora non si può che utilizzare il denaro in modo cattivo. Questo è il risultato della demonizzazione del denaro.

Dire che non si può servire due padroni significa che il denaro non deve essere il Signore della mia vita. Si contestano i beni come idoli. Se faccio dell’accumulo dei beni il senso della mia vita succede che per accumularli li sottraggo agli altri. Il problema è di vivere i beni come doni del Padre che nella creazione ha dato ai suoi figli. Se i beni vengono usati non per accumulare, quindi non vengono sottratti agli altri, ma per comunicare tra gli uomini, essi diventano il luogo nel quale si realizza il nostro essere fratelli, il nostro essere figli del Padre.

Prendiamo ad esempio il passo del Vangelo in cui un giovane ricco chiede a Battista durante una sua predicazione “che devo fare per avere la vita eterna?”. Battista gli risponde “Vai e dai quello che hai ai poveri”. Tutti gli episodi del rapporto con i beni in Luca sono sempre preposti dalla domanda “che devo fare?”. Ci si interroga quando si è davanti a un bivio. Per Luca è proprio nell’uso dei beni che realizziamo il Regno di Dio o distruggiamo l’umanità.

In un passo del Vangelo di Luca ci sono due fratelli che stanno litigando per l’eredità e uno di loro chiede a Gesù di dire al fratello, che ha preso tutti i beni, di condividere con lui l’eredità. Questi due fratelli rappresentano l’umanità, quello che noi facciamo tra noi uomini, litighiamo tra di noi per dividerci l’eredità del Padre. E Gesù da una risposta strana e dice: “Io non sono venuto per dividere l’eredità, non ci sto a questo gioco. Guardatevi dalle pleunexia”. Pleunexia significa avere di più, cupidigia, alterigia. Questo testo di Luca mette come motore della storia dell’uomo questo ‘avere di più’. L’uomo è fatto per questo, allora pensa che accumulando sempre di più sazia quel desiderio profondo di essere di più. Gesù dice guardatevi da questo perché è una falsa pista, perché la vita dell’uomo non dipende da quello che ha ma da quello che è. Se la fai dipendere dalle cose esse diventano il principio e la fine, così sacrifichi la vita per le cose, le cose diventano gli idoli e ci si distrugge. E allora Gesù racconta una parabola di un uomo ricco che un anno ha una grande fortuna, la terra frutta molto, e allora si interroga sul da farsi. Non ha depositi dove mettere tutti i frutti e in fine trova un programma. Come tutti decide di fare granai più grandi. “Raccoglierò il tutto lì, il grano e i miei beni, e dirò alla mia vita: vita mia hai molti beni in deposito per molti anni, riposa, mangia, bevi e godi”. È un programma di vita fondamentale secondo il quale la nostra felicità dipende dalla quantità di beni accumulati. La storia continua. Dio gli disse “Stolto in questa notte a te chiederanno la tua vita, quanto hai accumulato di chi sarà?”. La storia torna così al problema dei due fratelli e dell’eredità. Con l’aver accumulato ipotechi il futuro in modo negativo. Questo è il primo modello, quello del possidente stolto. La stoltezza sta nel fatto stesso di possedere.”

 

 

 

 


Le considerazioni di Carlo Consigli

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