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giovedì 15 aprile 2010

Perché non possiamo non dirci laici

La prefazione e il capitolo conclusivo di
"Italy, Vatican State",
il nuovo saggio di Michele Martelli, firma di MicroMega, che l'editore Fazi pubblica in questi giorni.

Un atto d’amore di fronte al degrado
di Ferruccio Pinotti


Un atto d’amore. Italy, Vatican State, il nuovo libro di Michele Martelli, autore dell’eccellente Quando Dio entra in politica (2008) e di Senza dogmi. L’antifilosofia di Papa Ratzinger (2007), oltre che di altri brillanti saggi, è innanzitutto un atto d’amore per un’Italia repubblicana sempre più pesantemente privata dei suoi fondamenti democratici, cioè laici; asservita a lobby occulte e palesi, guidata da leader sempre più proni al volere delle gerarchie vaticane. Un atto d’amore di altissimo valore civile, condotto con lo spessore dello studioso e con la passione dell’intellettuale impegnato.
Nell’affascinante percorso disegnato in Italy, Vatican State, il filosofo ci conduce alle radici del problema dei problemi della nazione italiana: l’essere da sempre «cortile di casa» del potere forte per eccellenza, il Vaticano; strumento e base di partenza di una strategia non solo interna ma internazionale, raffinata e adattiva rispetto alle sfide dei tempi.
Un quadro a tinte fosche? Niente affatto. Martelli, nella sua prosa fluida e ironica, colta e piacevole, descrive con grande efficacia i passaggi che hanno condotto alla preoccupante situazione attuale.
«Che cosa è stata la Chiesa/Stato pontificio per l’Italia? Lasciamo rispondere per noi Machiavelli e Guicciardini: un flagello, la principale causa della nostra tradizionale frammentazione e divisione politica e della corruzione dei nostri costumi. E che cosa è stata invece per dissidenti, critici, liberi pensatori, razionalisti ed eretici d’Italia e d’Europa? Una terribile macchina repressiva, nera dispensatrice di infelicità e di morte. Ne sapevano qualcosa ebrei, catari, dolciniani, hussiti, valdesi, ugonotti, libertini, giansenisti e via angosciosamente enumerando. Quasi tutti sottoposti a scomuniche, espropri, torture, carceri, roghi, oppure sterminati con pogrom, stragi e massacri indiscriminati. Per opera di tribunali ecclesiastici e (in)civili, o di “eserciti crociati” e di sante “armate di Cristo”», scrive Martelli.
Grazie al Vaticano e alla complicità di leader politici pronti a svendere pezzi di democrazia faticosamente conquistati, l’Italia è infatti divenuta laboratorio politico per aggregazioni altamente discutibili, quanto a metodi e obiettivi. L’opera, tuttora in atto, di demolizione del tessuto civile del paese prospetta così anche nell’oggi un’Italia neo-medievale, arretrata, che perde colpi non solo in termini di libertà di stampa e di espressione, ma di diritti considerati normali in tutti i paesi avanzati.
La distruzione della laicità ben descritta e analizzata in queste pagine si accompagna a una trasformazione inquietante, che non esita a usare metodi e figure di dubbia moralità. E tutto questo avviene perché il sistema dei controlli e dei contrappesi, tipici delle democrazie liberali pienamente realizzate, in Italia rischia di essere a poco a poco annullato, sminuzzato, fatto a pezzi, distrutto.
Ne deriva un micidiale mix, un gorgo terribile per uscire dal quale – come suggerisce l’autore del volume – non resta altro che un ritorno forte alla laicità, un’educazione alla laicità permanente che coinvolga soprattutto le giovani generazioni, alle quali questo libro idealmente si rivolge e a cui va proposto come testo formativo.
Perché è vero che, come scrive Martelli in una bellissima sintesi intellettuale, «Senza laicità, la democrazia è una scatola vuota».


I sette principi irrinunciabili del laicismo
di Michele Martelli
La Costituzione è la mia Bibbia Civile. In quei 139 articoli si trova tutto quello che è necessario -
Carlo Azeglio Ciampi
Stato laico e legislazione civile


«Della democrazia la laicità non è che il sinonimo»[1]. Lo Stato laico, come si è visto, non è che lo Stato liberaldemocratico. I pilastri su cui esso si regge sono essenzialmente quattro: la divisione dei poteri, l’alternanza maggioranza-minoranza, la libertà individuale (a condizione che non danneggi la libertà altrui), l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Il suo opposto è lo Stato teocratico, forma estrema e senile del dispotismo. Come lo Stato/Chiesa vaticano. Dove il papa (l’ultimo sovrano assoluto della storia, in coppia col re wahabita dell’Arabia Saudita) regna da autocrate, riunendo in sé i tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), e ignorando il principio del Governo della maggioranza e il rispetto della libertà e dell’eguaglianza individuale.
E si capisce che la Santa Sede non abbia mai accettato la teoria e le procedure della liberaldemocrazia, spesso caricaturalmente dipinta come un relativismo senza valori, senza solide e ferme verità. Laddove, al contrario, il relativismo, rettamente inteso come antiassolutismo, come critica e confutazione di ogni pretesa verità ultima e definitiva, è l’anima della democrazia. La quale non è affatto priva di valori (come contrabbanda la Chiesa curiale), ma si regge su precisi valori condivisi (libertà, eguaglianza, tolleranza, dignità e diritti umani) che, lungi dall’essere assoluti ed eterni, quasi caduti dal cielo, pacchi bell’e pronti di Babbo Natale o della Befana per minorenni creduloni, sono al contrario costruzioni mondane, storico-umane, aperte, discutibili, rivedibili e migliorabili. «La democrazia non può prescindere dal relativismo senza negare se stessa»[2]. E della democrazia è negazione la teocrazia, come quella pontificia.
«La dottrina morale», ha scritto papa Wojtyxa, «non può certo dipendere dal semplice rispetto di una procedura», ovvero dalle «regole e forme di una deliberazione di tipo democratico. Il dissenso […] è contrario alla comunione ecclesiale e alla retta comprensione della costituzione gerarchica del Popolo di Dio» [3]. E Joseph Ratzinger: «La Chiesa non è democratica, ma sacramentale, dunque gerarchica; l’autorità, qui, non si basa su votazioni a maggioranza; si basa sull’autorità del Cristo» [4]. Eliminate il dissenso, cioè la libertà di pensiero, critica e opinione dei cittadini, e sostituite gli organismi rappresentativi eletti a maggioranza dal basso con la gerarchia (una piramide sacrale dove tutto il potere discende dall’alto), e avrete eliminato la democrazia [5]. Come ha affermato il teologo conciliare Yves Congar, nel 1962: la Chiesa romana è ancora una Chiesa costantiniana; Pio IX, finalmente privato del potere temporale, avrebbe potuto rinnovarla, ma «ha fatto esattamente il contrario. Uomo catastrofico, che non sapeva nemmeno cosa era l’ecclesia [...]. E Pio IX regna ancora. Bonifacio VIII regna ancora: lo si è sovrapposto a Simon Pietro, l’umile pescatore di uomini» [6]. Quello di Benedetto XVI, altro papa “catastrofico”, che cos’è se non il regno di Pio IX e Bonifacio VIII adattato alle novità del tempo? Una teocrazia ovattata e melliflua, ma non meno dura e autoritaria coi preti e fedeli dissidenti, e non meno protesa a imporre il suo protettorato politico-religioso sugli Stati e le istituzioni pubbliche.
Ora, nei regimi teocratici e dispotici, esiste un solo tipo di legislazione civile, quella impositiva, costrittiva, che obbliga a fare questo o non fare quest’altro, e punisce chi disobbedisce, chi fa quello che gli si comanda di non fare (assassinare, stuprare, rapinare ecc.), o non fa quello che gli si comanda di fare (pagare le tasse, guidare con la patente, armarsi per la difesa della patria ecc.). Il resto è privilegio, immunità, prebenda, concessione ed elargizione del sovrano, al di fuori o al di sopra delle leggi.
Nelle liberaldemocrazie esistono invecedue tipi di legislazione, quella costrittiva e quella permissiva.
La prima, nei suoi aspetti positivo e negativo, è obbligatoria e sanzionatoria per tutti i cittadini, compresi i governanti. Poiché tutti sono sottoposti alle leggi, nessuno, nemmeno il premier, può sottrarsi all’autorità giudiziaria, per esempio con leggi ad personam, che depenalizzino il falso in bilancio, o elargiscano condoni fiscali, o proclamino l’impunità delle quattro più alte cariche dello Stato. Saremmo in tal caso all’orwelliana «fattoria degli animali», dove tutti sono uguali, ma alcuni (i «maiali» dominanti) sono più uguali degli altri. Non una democrazia, ma un’oligarchia.
Il secondo tipo di legislazione, permissiva e non costrittiva, offre la possibilità a tutti, o a una parte dei cittadini, o anche a uno solo, di fare ciò che la legge gli consente, ma non obbliga nessuno a farlo (come su divorzio, aborto, testamento biologico ed eutanasia, fecondazione eterologa, unioni civili eteroe omosessuali). Nelle democrazie liberali la legislazione costrittiva serve alla garanzia dell’ordine sociale e dell’integrità dello Stato, non a preservare un illegittimo potere autocratico, dittatoriale, di uno o di pochi; mentre quella permissiva, sconosciuta alle teocrazie e ai dispotismi, è posta a difesa della libertà, dell’autonomia e dell’autodeterminazione individuale di ciascuno, nonché dei diritti delle minoranze, dei diversi, dei dissidenti (purché, ovviamente, la legge permissiva non sia in contrasto con la legge costrittiva).
Questo è il punto. Ratzinger e la Chiesa curiale non riconoscono legittimità alla legislazione permissiva, perché immorale, contraria ai sacri dogmi cattolici; e vorrebbero che fosse cancellata laddove già c’è, e proibita laddove ancora non c’è. L’unica «sana» legislazione sarebbe quella costrittiva, che imporrebbe a credenti, diversamente credenti e non credenti di obbedire ai precetti politico-religiosi della Chiesa. Il che trasformerebbe, evidentemente, lo Stato laico in uno Stato clericale, confessionale. La legge sul divorzio, per esempio, non obbliga nessuno, tantomeno un cattolico, a divorziare, ma, a determinate condizioni, consente a chi lo voglia di farlo. Imporre il matrimonio indissolubile equivarrebbe invece a fare violenza ai non o altrimenti credenti, a conculcare la loro libertà di opinione e di scelta. Il presunto universalismo dei precetti ecclesiastici sarebbe salvo, ma il Catechismo cattolico si sostituirebbe alla Costituzione democratica, la giurisdizione religiosa a quella civile, e il peccato tornerebbe a essere reato, come ai bei tempi della Santa Romana Inquisizione.
Ed evviva lo Stato clericale, rinato sulle ceneri del moderno Stato laico e democratico! È questo il sogno degli integralisti filoclericali e degli atei devoti? Un incubo per i laici, o laicisti che dir si voglia. Lo stesso vale per l’aborto, o la possibilità di rifiutare le terapie mediche, o gli interventi chirurgici invasivi, o i sondini e le macchine artificiali in condizioni di coma vegetativo, come nel caso di Eluana Englaro. Caso che evidenzia, sia detto tra parentesi, una contraddizione del bioeticismo vaticano non solo con la Costituzione italiana (art. 32), ma con lo stesso Catechismo, che condanna «l’accanimento terapeutico» [7] . Ora, il ricorso a macchine, tubi e sondini per tenere forzatamente Eluana in vita, in una disumana vita-non vita, prolungando artificialmente il suo pluriennale coma vegetativo, non era forse un caso evidente di «accanimento terapeutico»? È chiaro: non c’è logica che tenga, se il fine è il potere. Altro che «diritto alla vita» e carità cristiana!
Resta che, secondo le leggi democratiche di tipo permissivo, nessuno è obbligato ad abortire, o a divorziare, o a rifiutare il matrimonio tradizionale per il patto di unione civile, o a respingere trattamenti e interventi medici indesiderati. Ma, ancora una volta, è consentito di farlo a chi lo voglia. Nessuno può essere espropriato della propria vita e della propria morte. Nessuno può decidere per me, al mio posto. Nessuno. Fosse anche Ruini, Bagnasco o Benedetto XVI. O Berlusconi III travestito da cardinale. Con quale presunta autorità, se non con quella illegittima e totalitaria di un potere dispotico, chicchessia, autorità politica o religiosa, governante o governato, potrebbe invadere la mia sfera intima, privata, e comandarmi, impormi questa o quella scelta contro le mie convinzioni e la mia libera volontà? Tra il Dio di Ratzinger e la democrazia laica, è evidente l’incompatibilità.


La Chiesa concordataria e la politica
«Si vorrebbe impedire alla Chiesa di parlare!»: ecco la litania, recitata ripetutamente come un rosario, ovunque e in ogni occasione, da esponenti del clero, teocon e atei devoti contro gli spregevoli laici, anzi laicisti, prepotenti, intolleranti e animati dal pregiudizio anticlericale e da cieca ostilità alle gerarchie cattoliche [8]. Ma quando mai! La Chiesa, nell’Italia repubblicana, ha sempre, fino ad oggi, parlato e sparlato, predicato, suggerito e ammonito, all’interno e all’esterno delle proprie sedi, con una presenza massiccia e sproporzionata su stampa, TV e mass-media privati e statali. Nessun laico, o laicista, si sarebbe mai sognato di tapparle la bocca.
Ma può la Chiesa come istituzione invadere il campo della politica? No.
In Italia lo vieta già il Concordato del 1929, che, nonostante le sue irricevibili concessioni alla Chiesa, tuttavia all’articolo 2 riconosce sì la validità del magistero ecclesiastico, ma solo nell’ambito religioso, non in quello politico: legittima prerogativa di vescovi e Santa Sede è infatti soltanto l’esercizio del «governo spirituale dei fedeli» [9]. E lo vieta la Costituzione della Repubblica Italiana, che all’articolo 7, pur riconoscendo i Patti Lateranensi, stabilisce la netta separazione tra Stato e Chiesa. La Chiesa concordataria insomma può sì parlare, ma non può far politica. E quando parla, non nell’area legislativa del Parlamento, ma in quella dell’agorà, dell’agone civile, del confronto-scontro delle idee, non può avanzare la pretesa alla Verità assoluta, né gridare allo scandalo e all’irriverenza se viene criticata, contestata, confutata da chi la pensa diversamente, o anche se viene ridicolizzata e sbeffeggiata dalla vignettistica e dalla satira (Crozza docet, imitatore televisivo, presto censurato, del buffo accento tedesco di papa Ratzinger). La libertà di pensiero, critica e satira è garantita dalla Costituzione laica. Nessuno può godere il privilegio di essere esente da contestazioni e critiche.
«Ma ai cittadini cattolici è permesso di far politica?». Ecco un’altra falsa questione, ipocrita e strumentale, spesso proposta da ambienti integralisti e clericali. Chi può fingere di non sapere che i cattolici hanno governato l’Italia da padroni per quarant’anni, con la DC; e che hanno continuato a farlo indisturbati dopo Tangentopoli, nei partiti di centrodestra e di centrosinistra?
Ai politici cattolici va posto semmai un altro e decisivo interrogativo: obbedite alla Costituzione italiana o al Vaticano?
Nel primo caso, si tratta di cattolici laici e democratici, cittadini esemplari. Nel secondo, di “papisti” antilaici e antidemocratici, la longa manus del papato nelle istituzioni repubblicane. Per esempio, un governo di integralisti cattolici e atei devoti, come quello di Berlusconi, che, nel febbraio 2009, in ossequio ai diktat della CEI e del Vaticano, cerca di approvare in pochi giorni un decreto legge ad personam sul caso Englaro, per impedire alla giovane donna in coma di morire in pace, su scelta libera e incondizionata sua e dei suoi genitori, scelta prevista dalla Costituzione e legittimata dai pronunciamenti dei più alti organi della magistratura (Corte di Appello milanese, Corte Costituzionale, Corte di Cassazione), che cosa fa se non contravvenire platealmente a un principio e regola elementare di democrazia laica?

I «non possumus» dei laici
In occasione della proposta di legge Bindi-Pollastrini sui DICO, i cosiddetti PACS all’italiana, nell’editoriale di «Avvenire» del 6 febbraio 2007 firmato «Av», attribuibile quindi all’allora direttore Dino Boffo, veniva riesumata la vecchia formula ottocentesca del «non possumus», «non possiamo», adottata dal papato di Pio IX nel 1871 per esprimere il suo rifiuto di riconoscere il neonato Stato unitario d’Italia. Boffo in realtà così anticipava il succo della Nota della CEI di Bagnasco, che nel marzo 2007 avrebbe chiamato i politici cattolici all’«impegno» di dissociarsi dai DICO, negando loro la facoltà di appellarsi al principio conciliare della «libertà di coscienza» e dell’«autonomia dei laici in politica» [10]. A commento della vicenda, proviamo noi a fare un rapido elenco dei non possumus dei laici [11].

PRIMO. I laici non possono rinunciare alla separazione tra Stato e Chiesa. La Chiesa resti nel suo dominio, che è quello religioso e spirituale, e non invada il campo della politica. Che il cardinal Ruini coinvolga la CEI, fuori e dentro le chiese, nella campagna astensionistica nel referendum del 2005 sulla fecondazione assistita; che Ruini e CEI pongano il veto sui DICO, dando una spallata al Governo in carica con l’adunata di massa del Family Day; che il cardinal Bagnasco emani linee e direttive legislative contro il testamento biologico, proponendo al Parlamento un apposito disegno di legge che pregiudizialmente eviti l’eutanasia e altri casi Englaro; che l’episcopato, di cui l’«Avvenire» è il portavoce, solleciti un decreto-lampo del Governo per condannare (contro il dettato costituzionale e il parere dell’alta magistratura) il corpo incosciente di Eluana Englaro a restare indefinitamente attaccato alle macchine – tutto questo e altre cose del genere sono inaccettabili per i laici.

SECONDO. I laici non possono acconsentire a che lo Stato privilegi una qualche religione, seppure maggioritaria, perché si violerebbe il principio della tolleranza, della libertà e dell’eguaglianza giuridica dei cittadini, religiosi e non. Che la Chiesa goda di esenzioni fiscali per le sue attività di lucro e non di culto; che benefici del privilegio dell’otto per mille12 ; che i suoi simboli appaiano nei luoghi pubblici, quali segni distintivi della presunta identità culturale della nazione; che i suoi prelati presenzino le manifestazioni e le cerimonie pubbliche; che il cattolicesimo sia insegnato nelle scuole statali – anche questo è contrario al principio della laicità dello Stato.

TERZO. I laici non possono accettare la trasformazione del peccato in reato. Si farebbe un “salto mortale” all’indietro di cinquecento o mille anni, ripristinando in forme nuove e surrettizie la teocrazia medioevale e l’Inquisizione tridentina. Che divorzio, aborto, adulterio, pratiche sessuali preo extra-matrimoniali, contraccettivi, rifiuto di terapie mediche invasive, fecondazione eterologa, omofilia e unioni civili – che tutto ciò sia punibile come reato, o sia oggetto di legislazione e regolamentazione restrittiva da parte dello Stato, solo perché è peccato per la Chiesa, è incomprensibile e terribilmente retrogrado per i difensori dello Stato laico e dei diritti umani, nonché dell’indipendenza e del primato della giurisdizione civile su quella ecclesiastica.

QUARTO. I laici non possono subordinare la ragione alla fede. Se la fede non è «fede dubbiosa», fragile, incerta e senza dogmi, ma sistema compiuto e articolato di verità indefettibili e imperfettibili, e la ragione è invece scienza e conoscenza fallibile e perfettibile, ricerca critica senza fine e senza verità definitive, allora tra fede e ragione c’è totale inconciliabilità. Che la Chiesa pretenda condannare Galilei per le sue osservazioni astronomiche; imporre che sia poco o non scientifica la teoria di Darwin per la sua scoperta dell’evoluzione delle specie e della discendenza dell’uomo dalla scimmia, solo perché contrasta col racconto veteroe neo-testamentario del primo e del secondo Adamo; dettare limiti esterni, religiosi, eteronomi alla libera ricerca e sperimentazione biomedica e biotecnologica; rifare della filosofia l’ancilla theologiae, ergendosi a giudice del pensiero libero – a tutto questo i laici sono indisponibili.

QUINTO. I laici non possono far propria l’Etica della Verità, perché sono per un’etica senza Dio, empirica, storica, relativistica13 . Anche per i laici, come sappiamo, ci sono valori e verità non negoziabili; ma non discendendo da Dio e dai Sacri Testi, bensì dalla storia e dall’evoluzione della specie umana, sono perciò aperti, migliorabili, disponibili a correzioni, ampliamenti e integrazioni. Che la Chiesa possa imporre il suo assolutismo etico, i suoi dogmi di fede, le sue ricette catechistiche di ciò che è Bene e di ciò che è Male: non divorziare, non fornicare, non usare contraccettivi, nemmeno se sei uno delle migliaia di africani malati di AIDS,non abortire, condannare l’omosessualità e le unioni civili – ecco ciò che è irriducibilmente estraneo ed opposto alla mentalità, ai costumi e all’etica laica.

SESTO. I laici non possono plaudire alla privatizzazione o alla lenta distruzione della scuola e dell’università pubblica, perché sono queste le sedi privilegiate della formazione critica, culturale, pluralista, umanista, scientifica, civile del cittadino democratico. Che la Chiesa pretenda, o ottenga di fatto, il privilegio esclusivo dell’insegnamento della religione nelle scuole statali; che le scuole cattoliche ottengano in meno di due ore il finanziamento pubblico negato dal Governo alla scuola statale, mandandola in malora; che le università cattoliche, come il Campus biomedico opusdeista di Roma, possano beneficiare dei soldi pubblici, pur subordinando ricerca e didattica al dogma bellarminiano che la scienza non può mai contraddire la fede, pena il suo precipitare nell’errore – ecco un altro gruppo di pretese teocratiche e clericali che i sostenitori della laicità non potranno mai accettare.

SETTIMO. I laici non possono rinunciare a difendere la democrazia liberale, il pilastro dei pilastri della laicità, la somma delle conquiste politiche della modernità. Che la Chiesa, gerarchica e sacramentale, non riconosca le regole antidispotiche della divisione dei poteri e del Governo della maggioranza; che trami, come nel caso Englaro, contro i pronunciamenti e l’indipendenza della magistratura dall’esecutivo; che non si sottometta alla supremazia della giurisdizione civile, condannando sommessamente intra moenia i preti pedofili come don Cantini, e tentando così di sottrarli ai tribunali dello Stato; che non cessi di intromettersi pesantemente nella vita politica, con diktat, consigli, suggerimenti non richiesti, veti e ultimatum – tutto questo è davvero intollerabile per i laici, credenti o non credenti, che hanno a cuore la Costituzione democratica.

Sette non possumus, sette principi irrinunciabili del laicismo. Sette essenziali motivi per cui «non possiamo non dirci laici». Per cui non possiamo non sentirci che liberi cittadini dell’Italia laica e repubblicana. Di un’Italia non vaticano-dipendente, ma autonoma e sovrana. Il cui inconfondibile indirizzo e denominazione per un visitatore e osservatore straniero possa essere Italy. Non Italy, Vatican State.
 

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