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mercoledì 7 novembre 2012

Beniamino Deidda

Un caro saluto a Beniamino Deidda, neo pensionato, da parte di tutti noi, Comunità dell'Isolotto.  Sei un bel personaggio, ti consideriamo uno di noi come noi vorremmo essere tanti di te: tanti, tutti come te. Abbiamo ancora nella mente il tuo intervento della biblioteca delle Oblate quando presentammo il libro "Il processo dell'Isolotto". Lo rinfreschiamo qui dopo il bell'articolo di Franca Selvatici, pubblicato su La Repubblica. (le sottolineature sono nostre)

Il procuratore generale Deidda lascia - Ha indagato su amianto e sicurezza 

«E' giunto il momento di concludere e di salutarvi con un abbraccio collettivo». Quando il procuratore generale Beniamino Deidda ha terminato il suo discorso di addio, nell' aula della corte di assise di appello del palazzo di giustizia di Novoli molti avevano gli occhi rossi. Ieri Deidda è andato in pensione per raggiunti limiti di età, dopo quasi 50 anni trascorsi in magistratura e dopo essere stato uno dei protagonisti della storia giudiziaria italiana, con le sue inchieste sull' amianto, sulle malattie professionali e sugli incidenti sul lavoro e i suoi interventi determinanti: come nel 2009, quando era procuratore generale di Trieste e fu fermo nell' esigere il rispetto delle sentenze e della Costituzione nella vicenda di Eluana Englaro, a cui fu finalmente consentita una morte dignitosa. «Specialmente durante la mia attività di dirigente degli uffici - ha ricordato - ho avuto la fortuna di costituire gruppi così uniti da poter affrontare qualsiasi difficoltà». Un lavoro di squadra che ha voluto realizzare anche nell' intero distretto toscano, dove è stato al fianco dei colleghi impegnati nelle inchieste più complesse: come quelle sulla strage dei Georgofili, sul disastro ferroviario di Viareggio, sul naufragio della Concordia, sulla cricca dei grandi appalti. «Io non posso fare un bilancio della mia vita professionale - ha detto - posso solo dire quali sono state le ispirazioni costanti nella mia attività di giudice e di pubblico ministero»: 1) «La scoperta della Costituzione e delle sue implicazioni nel lavoro di magistrato», con l' adesione alla nascente Magistratura Democratica. 2) «Fare entrare aria fresca e trasparenza all' interno di una corporazione che somigliava molto ad una casta». 3) La convinzione che «il diritto ha senso quando costituisce un argine all' egoismo e al privilegio e quando è in grado di tutelare le minoranze dallo strapotere delle maggioranze». Ai giovani colleghi, ai quali si appresta a insegnare nella Scuola della magistratura di Castelpulci, Deidda ricorda che «ogni giorno un numero notevole di magistrati è sotto l' esame degli utenti della giustizia». «I giudici cialtroni, i pubblici ministeri superficiali, i giudici che trattano male le parti e i loro avvocati, quelli che non studiano le carte, i pavidi attentano ogni giorno all' immagine della magistratura». «I magistrati hanno in mano un potere terribile, da far tremare quelli che sono più consapevoli. Possono toglierti la libertà, possono incidere sul patrimonio, possono rovinarti la vita. Un potere terribile che in ogni stato di diritto deve essere rigorosamente esercitato secondo le regole. Ma è decisivo sapere al servizio di chi verrà esercitato questo potere». E' la Costituzione a indicarlo: «Rendere uguali quelli che le circostanze della vita hanno reso più deboli, più fragili, più indifesi e meno uguali degli altri. Ridare pari dignità a quelli che le dinamiche sociali ed economiche hanno reso insopportabilmente diseguali. Questo è il compito principale del giudice, che riassume tutti gli altri. Se non sapremo essere la garanzia dei più deboli, la nostra funzione sarà inutile. Se lo dimenticheremo, il nostro mestiere non saprà più di nulla».
FRANCA SELVATICI


Beniamino Deidda biblioteca delle Oblate Firenze 22 marzo 2012
Il processo dell’Isolotto
Intervento di Beniamino Deidda (sintesi)

Quella dell’Isolotto è stata un’esperienza che ha mostrato come ci si potesse sottrarre alla mediazione della gerarchia e dell’autorità; come ci si potesse organizzare e rivendicare gli spazi della propria libertà senza chiedere il permesso ai governi, ai cardinali, al potere e ai capi. E’ cominciata con l’esperienza dell’Isolotto – e ancora prima – una fase della vita democratica non ancora esplorata, nella quale il potere come tale non era più avvolto dal fascino che possiedono le cose indiscutibili. Per la prima volta nell’Italia repubblicana si sperimentava quanto fosse vera l’intuizione del Kelsen secondo cui l’idea di democrazia è inconciliabile con la figura del capo al quale si assegnano funzioni di rappresentanza del volere del popolo. Per la prima volta il popolo si riappropriava della sua sovranità e la esprimeva senza l’intermediazione del potere.

La comunità dell’Isolotto inoltre presentava un’altra caratteristica che la rendeva assai temibile per il potere costituito. Mentre altre esperienze più ideologizzate si ritagliavano per definizione uno spazio contrapposto ad altre forze ideologiche, quella dell’Isolotto non presentava un’evidente piattaforma ideologica: raccoglieva indifferentemente religiosi e laici, cattolici e atei, comunisti e democristiani di sinistra, radicali progressisti ed extraparlamentari. Si proponeva insomma di riunire tutti senza discriminazioni ideologiche in una comunità solidale intorno ad un progetto di rinnovamento religioso e sociale insieme.

Per intendere bene il senso dell’azione repressiva della Magistratura bisogna pensare che ci si trovava di fronte ad una società di credenti e non credenti che in modo autonomo si sostituiva alla società dei poteri costituiti, creando dal basso una comunione libera e non autoritaria.

...il “reato” vero che la magistratura intendeva perseguire era la voglia e la maturità di partecipare alla vita religiosa politica e sociale. Vorrebbe dire in sostanza non cogliere il nesso strettissimo che correva tra quel tentativo di rinnovare la Chiesa e il suo rapporto con i fedeli e i movimenti di lotta e di liberazione che infiammavano tutto il mondo civile. Questa è stata la ragione vera per la quale la Magistratura si è intromessa in una questione che apparentemente non la riguardava: la contestazione dell’Isolotto non metteva in pericolo l’ordine pubblico, non dava luogo a manifestazioni di violenza, non attentava alla pace o alla tranquillità delle persone. Eppure il potere si sentiva in pericolo. Lo mostravano segni tradizionali ed inequivocabili: si muovono i fascisti; i giornali dei padroni sparano colonne di fuoco, i benpensanti scuotono il capo e dicono che così non si può andare avanti. Ecco perché la magistratura si intromette formulando imputazioni, a pensarci bene, grottesche: “istigazione a delinquere”. E chi veniva istigato? In quella comunità erano tutti istigatori. “Turbamento di funzione religiosa”. I teologi al tempo non fecero fatica a dire che l’unica funzione religiosa in atto era quella dei fedeli riuniti in preghiera in piazza. Imputazioni grottesche, dunque, che rispondevano ad una logica molto diversa da quella che sosteneva i due articoli del codice penale. Il senso vero lo colse padre Balducci quando scrisse: “tutti i regimi oppressivi, quale che sia la loro ideologia, sono sempre portati a prendere accordi con il clero...”. Da un lato l’autoritarismo della Curia aveva bisogno dell’aiuto dello Stato; dall’altro lo Stato con il suo braccio secolare correva in aiuto della Curia perché sentiva e sapeva che era in discussione anche l’autoritarismo dello Stato.
...
La magistratura ha reagito all’esperienza dell’Isolotto come, immediatamente prima e immediatamente dopo, ha reagito ad altri fenomeni, magari meno clamorosi, che essa ha considerato “eversivi” dell’ordine costituito. Si pensava che il pericolo venisse dalle iniziative dal basso, dalle organizzazioni spontanee, dalle esperienze che incidevano sulle gerarchie del potere.

C’è stato un piccolo strascico della vicenda dell’Isolotto che riguarda chi vi parla.
L’episodio è noto dentro la magistratura ma sconosciuto all’opinione pubblica. Nei giorni in cui venivano rese note le imputazioni si era tenuta all’Isolotto un’assemblea alla quale avevo partecipato prendendo la parola. Pochi giorni dopo il Consiglio Giudiziario di Firenze aveva all’ordine del giorno la mia promozione a magistrato di Tribunale. Il Consiglio Giudiziario a maggioranza formulò parere negativo con una motivazione, come risulta dal verbale della seduta, che suonava sostanzialmente così: “non può continuare ad appartenere all’ordine giudiziario un magistrato che in una pubblica manifestazione prenda la parola per esprimere la propria solidarietà agli imputati”. Per fortuna il Consiglio Superiore della Magistratura, che doveva decidere sulla mia permanenza in carriera, fu di parere contrario, ritenendo che quell’episodio fosse né più né meno che la legittima manifestazione del pensiero, garantita dalla Costituzione. A sua volta il Procuratore Generale fiorentino, che a quell’epoca era Mario Calamari, rischiò il trasferimento da parte del Consiglio Superiore . E’ passato molto tempo, Magistratura Democratica esiste ancora ed è in buona salute, ma le contraddizioni non si sono ancora sopite. Il fatto che il giovane magistrato, che si voleva cacciare allora, sia poi diventato Procuratore Generale di Firenze è forse solo uno scherzo del destino oppure il frutto dell’astuzia della storia. Ma le contraddizioni rimangono tutte, sia pure in termini diversi.
Ed è questa in fondo la ragione per la quale della vicenda dell’Isolotto e del suo processo è necessario continuare a parlare per “contrastare la strategia dell’oblio” - come ha scritto nel suo bellissimo saggio Enzo Mazzi. Non per esumare un cadavere, continuava Enzo, ma per dar vita al presente e al futuro attraverso la creatività della memoria”.
Beniamino Deidda biblioteca delle Oblate Firenze 22 marzo 2012

Video dell'intervento

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