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lunedì 26 novembre 2012

conquiste da difendere e nuovi referendum sul lavoro



Comunità dell’Isolotto - Firenze, domenica 25 novembre 2012
Percorsi di memoria: conquiste da difendere e nuovi referendum sul lavoro
riflessioni di Carlo, Claudia, Gisella, Luisella, Maurizio
con i contributi di Moreno Biagioni e Andrea Bagni

1. Letture dal Vangelo



Il giovane ricco (vangelo di Matteo 19, 16-22)
Ed ecco un tale che si avvicino a Gesù e gli disse: “Maestro che cosa devo fare per ottenere la vita eterna?”. Egli rispose: “Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti”.
Ed egli allora chiese: “Quali?”. Gesù rispose: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo come te stesso”.
Il giovane allora gli dice: “Ma io ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca?”.
Gli disse Gesù: “Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi”.
Udito questo il giovane se ne andò triste, poiché aveva molte ricchezze.


In questo racconto incontriamo prima un giovane ricco inquieto che chiede a Gesù come ottenere la vita eterna, poi un Gesù che prima dà una risposta prudente (risponde quanto è previsto dalla Legge) poi un Gesù più diretto che dà una risposta nuova: “…và vendi quello che hai, dallo ai poveri e seguimi”; una risposta che, usando un linguaggio di oggi, potrebbe essere “Se vuoi essere più profondamente appagato, in pace con te stesso e con gli uomini, cambia mentalità!!”.
Forse il giovane ricco capisce la risposta e se ne và triste; sceglie di non cambiare mentalità.
Chi non la capisce la risposta sono Pietro e gli altri discepoli, che dicono quasi seccati: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che cosa dunque ne otterremo?”.
Al tempo di Gesù la mentalità dominante era fortemente incentrata sul concetto di MERITO:
·        si riteneva che Dio premiasse i giusti e i meritevoli e punisse gli ingiusti e gli immeritevoli;
·        che ci si dovesse meritare l’amore e la benevolenza di Dio.
Pietro e gli altri ragionano così, ritengono di aver fatto uno sforzo e un sacrificio particolare nel seguire Gesù e dunque ritengono di meritare, di avere diritto (e più diritto degli altri!!) ad una ricompensa. Rivendicano un trattamento di riguardo.
A questo ragionamento Gesù risponde con la parabola dei lavoratori (o parabola della vigna)


La parabola dei laboratori (Matteo, 20, 1-16). Sul merito e sul bisogno
Il Regno di Dio è simile ad un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata dei lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno lo mandò al lavoro.
Uscito poi verso le nove del mattino tornò in piazza ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro “Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò”. E quelli andarono.
Uscì di nuovo verso mezzogiorno e poi verso le tre del pomeriggio e fece la stessa cosa.
Uscito ancora verso le cinque di sera, né vide altri che stavano là e disse loro: “Perché state qui tutto il giorno senza far niente?”. E quelli risposero: “Perché nessuno ci ha preso a giornata”.
Allora disse: “Andate anche voi nella mia vigna”.
Quando fu sera, il Signore della vigna disse al suo fattore: “Chiama gli uomini e dà loro la paga, cominciando da quelli che son venuti per ultimi”.
Venuti quelli che delle cinque di sera ricevettero ciascuno un denaro ciascuno.
Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo mormoravano contro il padrone, dicendo “Questi sono venuti per ultimi, hanno lavorato soltanto un'ora e tu li hai pagati come noi che abbiamo faticato tutto il giorno sotto il sole”.
Rispondendo a uno di loro, il padrone disse: “Amico, io non ti faccio torto: non hai forse convenuto con me per una paga di un denaro? Prendi la tua paga e vai. Io voglio dare a questo, che è venuto per ultimo, quel che ho dato a te. Non posso fare quel che voglio con i miei soldi? O forse sei invidioso perché io sono generoso?”.
E Gesù concluse: “Così, quelli che sono gli ultimi saranno i primi, e quelli che sono i primi saranno gli ultimi”.
E’ indubbio che i lavoratori arrivati all’ultimo abbiano lavorato poco o nulla rispetto ai primi.
E’ vero che non meritano la stessa paga dei primi.
Ma è anche vero che questi lavoratori erano braccianti che non erano riusciti a trovare alcun lavoro, non avevano nemmeno un misero denaro per sbarcare la giornata. Avevano bisogno di lavorare.
Il Signore della vigna dà loro la paga, non per i loro meriti ma per i loro bisogni.
Nel Regno di Dio, in questo altro “mondo possibile”, si agisce non in base alle virtù e ai meriti ma prima di tutto in base ai bisogni degli uomini. Meriti e virtù non tutti li hanno ma i bisogni sì.
Questo concetto sarà ribadito altre volte da Gesù; ai sommi sacerdoti e agli anziani Gesù dirà “i pubblicani e le prostitute vi passeranno avanti nel Regno di Dio”.
Questa è una lezione per Pietro e i suoi che credono di poter accampare grandi meriti. Ma anche per tutti coloro che oggi si riempiono troppo la bocca con il concetto di “merito”.

2. Percorsi di memoria


Dal libro “Mondo operaio e cristianesimo di base “ di Christian  G. De Vito
Dalla prefazione di Enzo Mazzi

L’abbraccio dei secoli (pag.12)
“L’incontro fra la cultura operaia e quella cristiana di base, che si è sviluppato nel secolo scorso, non è affatto ideologico né spurio né casuale. Ha infatti una matrice che viene dall’ abbraccio dei secoli ed è radicato nella coscienza delle persone in carne ed ossa, nella loro vita reale nel profondo dei loro rapporti, nella loro fatica, nel lavoro nelle mani, nelle lotte e nei sogni. La stagione storica, anni ‘60-70, nella quale si svilupparono le Comunità di base, che insieme ai preti operai sono il fulcro di quell’incontro, è stata caratterizzata, com’è noto, da una straordinaria accelerazione dei processi di trasformazione sociale.”

La salvaguardia della memoria storica sociale è un compito irrinunciabile (pag 27 )
“…..ritengo che fare memoria storica, spogliarla dalla ritualità,  attualizzarla, sia uno dei compiti di chi vede un futuro per l’umanesimo sociale, per la solidarietà planetaria, per la società dei diritti di tutti/e a partire dai diritti sociali per l’etica comunitaria oltre i confini. Una memoria unitaria tiene insieme la nostra identità sociale. Disarticolare la memoria che cementa il processo di socialità dal basso significa annullare tale identità.  (…… )  Il liberismo si nutre di tale disarticolazione della memoria. Perché è creatore di società necropoli. Ha bisogno di produttori/consumatori senza identità sociale.

Dal capitolo primo (pag 59)                    
(…..) Soprattutto, tra il novembre del 1958 e  l’inizio dell’anno successivo, fu la mobilitazione  in solidarietà con i 980 operai delle Officine Galileo a segnare un punto di non ritorno in quel percorso di progressiva condivisione del destino del mondo popolare e particolarmente di quello operaio. L’evento decisivo si ebbe 11 gennaio 1959, all’indomani dell’arrivo delle prime 527 lettere di licenziamento, della rottura delle trattative sindacali  e dell’occupazione della fabbrica da parte degli operai. L’assemblea generale degli operai della Galileo si tenne infatti nella chiesa dell’Isolotto, con i rappresentanti sindacali seduti ad un tavolo coperto da un drappo rosso, davanti all’altare, un operaio licenziato a presiedere l’assemblea, e una folla di operai, molti dei quali comunisti, ad ascoltare ed intervenire. Fu un avvenimento dirompente. Della parrocchia avrebbe segnato l’identità, divenendo un topos della memoria collettiva.

  
Dal capitolo terzo
L’Isolotto e l’Autunno caldo (pag. 102 e seguenti)
“Io sono un operaio e mi conoscete”.  L’analisi dell’ Autunno caldo all’ Isolotto la fece nella Veglia di Natale del 1969 Amedeo Bellosi, operaio della Galileo residente nel quartiere  (nella foto col cappello)   “Sappiamo bene che il padrone non si arrende” disse Bellosi. (….)  Le vertenze operaie erano molte, ciascuna con la propria specificità e complessità umana e politica. Il popolo dell’ Isolotto provò ad essere presente il più possibile a fianco dei lavoratori, non solo attraverso quella parte di esso che lavorava in fabbrica, ma anche come gruppo, come Comunità. Diede il proprio appoggio agli operai della Piaggio di Pontedera in sciopero, espresse solidarietà ai 10 lavoratori licenziati alla Maleci, e continuò ad interessarsi a quella vertenza fino al rientro di tutti i licenziamenti; denunciò anche le intollerabili ingiustizie che stavano accadendo alla Carapelli di Firenze con Enzo Mazzi che partecipò la mattina dell11 gennaio 1970 al picchetto operaio contro il licenziamento di un candidato della Commissione interna. La Comunità seguì a lungo e con particolare attenzione la vicenda della Fiaba, l’unica fabbrica del quartiere ospitata nei locali della parrocchia stessa, concessi a suo tempo da don Mazzi in cambio dell'assunzione di alcuni invalidi. (……)  Gli operai avevano messo una tenda davanti al sagrato della chiesa e,  soprattutto, avevano occupato la fabbrica. Un’ altra vicenda particolarmente sentita fu quella dei minatori dell’Amiata…….una delegazione di minatori arrivò in piazza dell’Isolotto…… una settimana dopo la visita fu ricambiata. Gli isolottiani andarono a Piancastagnaio nel giorno dello sciopero generale (marzo 1969)

 3. Informazioni sui Referendum sul Lavoro

QUESITO ABROGATIVO DELL’ART.8 DELLA LEGGE n.138/2011
«Volete voi che sia abrogato l'articolo 8  - Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, titolato "Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo", convertito, con modificazioni, in legge 14 settembre 2011, n. 148, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive?».

Testo dell’Articolo 8 della Legge finanziaria del Governo Berlusconi (Legge 138 bis/2011)
Art. 8 - Sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità 
1.  I  contratti  collettivi  di  lavoro  sottoscritti  a   livello aziendale   o   territoriale   da   associazioni    dei    lavoratori comparativamente più  rappresentative  sul  piano  nazionale  ovvero
dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda possono realizzare specifiche  intese  finalizzate  alla  maggiore   occupazione,   alla qualità  dei  contratti  di  lavoro,  alla  emersione   del   lavoro
irregolare, agli incrementi di  competitività  e  di  salario,  alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli  investimenti  e all’avvio di nuove attività.

2. Le specifiche intese di cui al comma  1  possono  riguardare  la regolazione delle materie  inerenti  l’organizzazione  del  lavoro  e della  produzione  incluse  quelle   relative:  
·     a)   agli   impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
·     b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento  del  personale;
·     c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato  o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai  casi  di ricorso  alla  somministrazione  di  lavoro;  
·     d)   alla   disciplina dell’orario di lavoro;
·     e) alle modalità di assunzione  e  disciplina del rapporto di  lavoro,  comprese  le  collaborazioni  coordinate  e continuative a progetto e  le  partite  IVA,  alla  trasformazione  e conversione dei contratti di lavoro e alle  conseguenze  del  recesso dal  rapporto  di  lavoro,  fatta  eccezione  per  il   licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in  concomitanza del matrimonio.

3. Le disposizioni  contenute  in  contratti  collettivi  aziendali vigenti, approvati e sottoscritti prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 tra le parti sociali, sono efficaci nei  confronti
di tutto il personale delle unità produttive cui il contratto stesso si riferisce a condizione che sia stato  approvato  con  votazione  a maggioranza dei lavoratori.

In sintesi cosa ha fatto il governo Berlusconi?
Nell'agosto 2011, con un colpo di mano all'interno della manovra economica, il governo ha operato per limitare drasticamente la centralità del contratto nazionale di lavoro, rimandando agli accordi aziendali materie importantissime quali la classificazione e l'inquadramento del personale, le mansioni, la disciplina dell'orario di lavoro, i contratti a termine, i contratti a orario ridotto, il regime della solidarietà negli appalti, il ricorso alla somministrazione di lavoro e la modalità di assunzione e la disciplina del rapporto di lavoro. L'articolo 8 di quella manovra finanziaria è carico di livore antisindacale e contrasta duramente le spinte alla solidarietà tra i lavoratori contro i drammatici effetti della crisi economica. Con questo articolo si vuole annullare l'accordo del 28 giugno 2011, che ha riconfermato il contratto nazionale al centro delle relazioni sindacali del Paese.

Che cosa vogliamo ottenere attraverso i referendum?
Intendiamo abolire le manomissioni e ristabilire la certezza dei diritti previsti e conquistati dal contratto nazionale. A parità di condizioni, vanno pretese regole generali che valgano per tutti i lavoratori di un settore e ovunque sul territorio nazionale. Alla contrattazione aziendale va restituito il giusto valore: ossia deve 'accompagnare' l'andamento dell'impresa - garantendo eventualmente tutele aggiuntive ai suoi dipendenti -, contrattare l'organizzazione del lavoro, l'articolazione degli orari e dei turni nell'ambito e nei limiti previsti dal contratto nazionale.

QUESITO ABROGATIVO DELLE MODIFICHE ALL’ART.18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI INTRODOTTE CON LA RIFORMA FORNERO (Legge n. 92 del 28 giugno 2012)
«Volete voi l'abrogazione dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, titolata "Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento", nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, limitatamente alle seguenti parti:
·     quarto comma, primo periodo, limitatamente alla parola: "soggettivo";
·     quarto comma, primo periodo, limitatamente alle parole: ", per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili,";
·     quarto comma, primo periodo, limitatamente alle parole: ", dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione.";
·     quarto comma, l'intero secondo periodo che recita: "In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.";
·     quarto comma, terzo periodo, limitatamente alle parole: ", per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative";
·     V comma che recita: "Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo.";
·     VI comma che recita: "Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo.";
·     VII comma che recita: "Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell'inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo.";
·     ottavo comma, limitatamente alle parole: "dei commi dal quarto al settimo";
·     nono comma, primo periodo, limitatamente alle parole: "di cui all'ottavo comma";
·     nono comma, terzo periodo, limitatamente alle parole: "di cui all'ottavo comma";

nonché della legge 15 luglio 1966, n. 604, titolata "Norme sui licenziamenti individuali", nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, limitatamente alle seguenti parti:
·     articolo 7, comma 1, limitatamente alla parola "soggettivo";
·     articolo 7, comma 1, limitatamente alla parola "oggettivo";
·     articolo 7, comma 2, limitatamente alle parole "per motivo oggettivo";
·     articolo 7, comma 8, che recita: "8. Il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di commissione provinciale di conciliazione e dalla proposta conciliativa avanzata dalla stessa, è valutato dal giudice per la determinazione dell'indennità risarcitoria di cui all'articolo 18, settimo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, e per l'applicazione degli articoli 91 e 92 del codice di procedura civile.";

nonché della legge 23 luglio 1991, n. 223, titolata "Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro", nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, limitatamente alle seguenti parti:
·     articolo 5, comma 3, secondo periodo, limitatamente alle parole: "terzo periodo del settimo comma del";

nonché della legge 24 dicembre 2007, n. 244, titolata "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)", nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, limitatamente alle seguenti parti:
·     articolo 2, comma 479, lettera a), limitatamente alla parola "soggettivo";

nonché della legge 29 dicembre 1990, n. 407, titolata "Disposizioni diverse per l'attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993", nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, limitatamente alle seguenti parti:
·     articolo 8, comma 9, primo periodo, limitatamente alla parola "oggettivo"?».


Testo dell’articolo 18 – Legge n.300/1970 (Statuto dei Lavoratori)
Titolo II Della libertà sindacale: Reintegrazione nel posto di lavoro

Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi dell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.

Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene conto anche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.

Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.
Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.
La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.
Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.

L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.

Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore.

Che cos'ha fatto la Riforma Fornero (governo Monti)?
Ha cancellato la norma che imponeva il reintegro del lavoratore licenziato senza giusta causa o giustificato motivo a fronte di una sentenza del giudice del lavoro favorevole al lavoratore stesso. L'articolo 18 è stato manomesso nella sua essenza e nella sua funzione. Il governo ha agito con forte iniquità sul tema cruciale del mercato del lavoro, scegliendo - per combattere gli effetti della crisi - di aggredire i diritti, le conquiste storiche del movimento operaio e il sistema di protezione sociale pubblica. Le modifiche all'articolo 18 riscrivono con motivazioni inaccettabili un tratto saliente della giurisprudenza del lavoro, prefigurando rapporti sociali e sindacali autoritari che avranno ripercussioni nella vita di tutti i cittadini onesti, cui è stato scippato un diritto fondamentale.

Che cosa si vuole ottenere attraverso i referendum? Restituire allo Statuto dei Lavoratori l'articolo 18 nella versione originaria, per rispettare i principi della Costituzione e rendere esigibili le decisioni della magistratura. La nozione giuridica secondo la quale nessuno può essere licenziato senza giusta causa e giustificato motivo deve essere ripristinata. Perché un'ingiustizia praticata ad uno è un'ingiustizia verso tutti. Non si tratta dunque di un problema di quantità numeriche, bensì di giustizia sociale.

 Per informazioni: www.referendumlavoro.it

Saggezza di ieri, nodo di oggi  - 4 novembre 2012

Titolo Articolo
Lavoro, pietra angolare – di Luigino Bruni
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I dati della crisi, che continuano ad alimenta­re i nostri dibattiti e le nostre preoccupazioni, sono come spie che dicono, tutti assieme e con­cordemente, che la 'macchina del capitalismo' ha dei problemi, alcuni molto seri. Una spia di colore rosso fuoco si è accesa ormai da tempo, e sarebbe ora di fermarsi per fare qualche inter­vento serio al motore: è la spia del lavoro. Eppu­re in un momento alto della nostra storia politi­ca e civile, lo abbiamo posto come pietra ango­lare della legge fondamentale degli italiani.
Sono molti i significati del primo articolo della nostra Costituzione: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro». In ogni patto, le prime parole che si pronunciano sono quelle più dense di contenuti simbolici e ideali. Si sa­rebbero potute scrivere in quel posto speciale al­tre parole alte, come libertà, giustizia, ugua­glianza o persino fraternità; invece in quell’inci­pit del patto fondativo della nuova società ita­liana fu inserita la parola lavoro. Una parola u­mile ma forte, associata da sempre alla fatica e al sudore, e persino considerata nell’antichità come attività confacente allo schiavo, perché troppo infima: «Ignobili e abietti, poi, sono i gua­dagni di tutti quei mercenari che vendono, non l’opera della mente, ma il lavoro del braccio... Tutti gli artigiani, inoltre, esercitano un mestie­re volgare: non c’è ombra di nobiltà in una bot­tega » (Cicerone, De Officiis).

Parole pesanti, che certamente erano parte della formazione classi­ca di molti di quei padri costituenti, che però fu­rono capaci di guardare soprattutto alla loro gen­te e così, pace per Cicerone o Aristotele, videro la tanta nobiltà che c’era «nelle botteghe». E co­sì scrissero la parola lavoro come il primo so­stantivo dell’Italia post-fascista – una scelta dop­piamente coraggiosa, se si pensa alla retorica del lavoro che aveva caratterizzato il Ventennio. Nella semantica di quel lavoro c’era la vicenda storica dell’Italia contemporanea, dove la de­mocrazia stava avanzando proprio grazie al gran­de movimento di lavoratori, uomini e (poche) donne, che divennero veramente cittadini quan­do, abbandonando lo status di servi in una cam­pagna ancora per tanti versi sostanzialmente feu­dale, divennero lavoratori nelle fabbriche, nelle officine, nelle scuole, negli uffici e nelle coope­rative.

Non tutto il lavoro fonda la Repubblica, ma solo quello degli uomini e delle donne libere, non quello degli schiavi e dei servi. Ma nelle parole dell’articolo 1, c’era e c’è anche l’espe­rienza di tanti che per amore della democrazia e dei suoi valori, il lavoro l’avevano perso, per­ché combattuti ed emarginati dal fascismo. Il primo strumento che ogni potere anti-demo­cratico ha per togliere la dignità e la libertà è cancellare il lavoro. Furono tanti, troppi, gli italiani e gli europei che dovettero chiudere fabbriche, tipografie, uffici, cattedre, per non piegarsi alle richieste anti-de­mocratiche e illiberali del regime. Molti di que­gli uomini furono poi tra i padri costituenti, e in quella originale e felice formulazione del primo articolo, cercarono di raccontare anche queste storie di amore civile. E nel far questo hanno crea­to la più bella equazione della nostra storia re­pubblicana, quella che pone l’eguaglianza tra democrazia e lavoro: la Repubblica è democra­tica perché fondata sul lavoro, altrimenti la Re­pubblica si fonda su rendite e privilegi, e quindi non è democratica. Non è facile, oggi, leggere seriamente quell’arti­colo, e al contempo restare passivi in una Italia e in una Europa che, da una parte, lasciano trop­pi milioni di persone fuori dalla "città del lavo­ro", e dall’altra fanno troppo poco di fronte a nuove forme di schiavitù e servitù. Quell’artico­lo quindi, ci può offrire una chiave di lettura po­tente per comprendere meglio che cosa sta ef­fettivamente accadendo.

Ci dovrebbe far capire che la lotta alla disoccupazione deve avere lo stesso posto che occupa il lavoro nella nostra Costituzione: il primo. Non si può barattare il lavoro con i profitti né, tantomeno, con le rendite, perché quando il lavoro della persona umana è negato è in profonda crisi prima di tutto la democrazia. C’è poi un secondo messaggio molto attuale che ci arriva dall’articolo 1 e dalle sue semantiche (oggi, forse, troppo lontane): lavorare non è l’esperienza del servo e dello schiavo. Una tesi che ci chiama a una profonda riflessione quando constatiamo che il capitalismo senza regole e senza misura sta creando nuove forme di schiavitù e di servitù nei livelli più alti e più bassi del mondo del lavoro.

Delle dilaganti e anche inedite forme di schiavitù-servitù di operai e precari nel mondo si parla abbastanza; si parla invece troppo poco delle nuove forme di schiavitù di coloro che vengono considerati privilegiati: dirigenti e impiegati di medio e alto livello nelle grandi imprese multinazionali, che vengono pagati assai bene nei "nuovi mercati", ma che di fatto rinunciano più o meno consapevolmente, a crescenti fette di libertà, di tempo, di festa, di famiglia... La rossa spia del lavoro continua allora a lampeggiare: prendiamola tutti più sul serio, fermiamoci, per poi ripartire nella giusta direzione.
                                                                                                          


                                           
               

[1968]
Scritta dal grande cabarettista milanese Walter Valdi, per intenderci, quello de «Il palo della banda dell'Ortica», per Jannacci.

“Lavoravo in quel di Baggio, e mi han licenziato a maggio...”

Lavoravo in quel di Baggio                                          Per potere stare a galla
in catena di montaggio                                               mi toccò muover la spalla.
E giravo una ramella                                                  Ed in più, come si vede,
sempre una, sempre quella.                                        m’è venuto un tic al piede.
Ed un giorno fu così                                                   Per frenare quel pedale
che mi venne fuori un tic                                           ero proprio messo male!

Lavoravo in quel di Baggio                                          Lavoravo in quel di Baggio
ad un nastro di montaggio                                          e mi han licenziato a maggio-
La mia testa si girava                                                M’ha chiamato il Direttore
e il motore accompagnava                                          e mi fa :”Caro Signore
Per seguirlo fu così                                                   con quel tic non rende niente!
che mi venne un altro tic                                            Eh, non vede?
                                                                                  Sembra quasi un deficiente!”
Non si sta poi tanto male
con un tic orizzontale
Ma per colpa di un rialzo
lo seguivo in un sobbalzo
Per quel nastro fu perciò
che il mio tic si complicò

Mi han cambiato di reparto
m’è venuto un mezzo infarto
C’era un nastro sempre in piano
ma arrivava contromano
Mi trovai un po’ peggiorato
col mio tic modificato


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