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mercoledì 13 febbraio 2013

La chiesa vaticana romana, tridentina e papista(inizio di una fine?)

Dedicato alle dimissioni di Papa Ratzinger.
Inizio della fine della chiesa tridentina, romana e papista. Risorge dalle ceneri l'anima di Giordano Bruno?
Pagine conclusive:

pp.201-205­­­
CONCLUSIONE
Dal groviglio delle vicende della storia religiosa italiana dagli ultimi decenni del' 400 al' 600, col XVI secolo in posizione centrale data la rottura consumata in quegli anni dell 'unità cristiana occidentale e la conseguente reazione della Chiesa cattolica, quali conclusioni possiamo trarre? A parte I 'indubbia novità rivoluzionaria della Riforma di marca protestante, per quel che riguarda il mondo cattolico è possibile, a mio parere, registrare cambiamenti anche rilevanti pur in un quadro di continuità, nova et vetera. In altre parole, da un lato la vita religiosa italiana a tutti i livelli, nel popolo come nei ceti intellettuali e colti, nella sua dimensione spirituale e morale, subisce trasformazioni radicali. Dall'altro, riguardo all'assetto istituzionale della Chiesa cattolica, viene esasperata la sua struttura gerarchica e verticistica proveniente da una lunga tradizione, i cui inizi possono essere rintracciati nel secondo secolo, quando comincia a prendere corpo prima la separazione fra clero e popolo e, negli ultimi decenni, a trovare progressiva affermazione nelle singole chiese la monarchia vescovile. Il Concilio di Trento, infatti, reagisce alla sfida protestante sviluppando al massimo grado questa eredità, facendo della Chiesa un corpo unico e compatto, militarizzato potremmo dire, sottoposto ad una disciplina ferrea che impone a tutti fedeli sottomissione ed obbedienza incondizionata all'autorità ecclesiastica, senza sbavature e dubbi. Al vertice di questa si impone poi la figura del papa, non solo come simbolo dell'unità senza incrinature del corpo ecclesiale, ma anche come effettiva forza impositiva di coesione. In tal modo, l'iconografia che ne esce trova la sua espressione nella sacralizzazione del pontefice romano, ormai collocato su un piano superiore rispetto alla massa dei fedeli ed allo stesso clero. In fin dei conti i dogmi del primato di giurisdizione su tutta la Chiesa e dell 'infallibilità attribuiti al papa dal Concilio Vaticano I nel 1870 (Sessione IV del 18 luglio 1870), non fanno altro che condurre a conclusione la realizzazione dell'idea di Chiesa enunciata a Trento. Certamente, come si accennava prima, questo esito non introduce elementi assolutamente nuovi. In fondo, esso non fa altro che esplicitare ciò che già è presente implicitamente nell'assetto che la Chiesa cristiana occidentale è venuta assumendo nella sua lunga storia, anche in relazione alle complesse vicende seguite alla crisi ed alla caduta dell'Impero romano d'occidente. Dovendo affrontare la sfida protestante, il cattolicesimo sceglie perciò la via che gli appare in quel momento meno rischiosa, più facilmente praticabile, e cioè estrarre da questa tradizione il nucleo autoritario e gerarchico conservato e fatto crescere nel corso dei secoli, per condurlo alla logica conclusione di una ecclesiologia autoreferenziale tutta incentrata sul vertice papale. La Chiesa finisce quindi fatalmente per coincidere con questa massima autorità e col corpo ecclesiastico che le fa da corona, anch' esso però su un gradino inferiore e quindi sottomesso al capo supremo. Non è questo certamente l'unico apporto estraibile dal passato dell ' esperienza storica cristiana. In fin dei conti l' evangelismo tenta il recupero di motivi evangelici andati smarriti o quasi, ma comunque ben presenti anch'essi in quel grande corpo in cui consiste la tradizione, talvolta manifestatisi anche in maniera esplosiva. Basti pensare alla sconvolgente esperienza spirituale e cristiana di Francesco di Assisi. Tuttavia, quando la rottura protestante esplode infrangendo l'unità della Chiesa, l'iniziativa per affrontare questa situazione non viene ricercata nel rilancio dello spirito evangelico, che avrebbe comportato la riforma interna del cattolicesimo nel senso del rinnovamento della coscienza dei fedeli e della riattivazione della vita spirituale e morale. La scelta disciplinare fatta a Trento, patrocinata dal papato, rompe ogni collegamento con questa eredità e riprende al contrario i motivi autoritari dell'ordine imposto dall'alto, della appartenenza obbediente al corpo ecclesiale, della passiva sottomissione del fedele all'autorità ecclesiastica. Gli effetti che ne conseguono sono devastanti. Come abbiamo visto, la simulazione, la doppia morale, l'ipocrisia, il conformismo, lo svuotamento della vita interiore e della spiritualità, da cui vengono espulsi il dubbio e la ricerca di novità che ne costituiscono spesso alimento indispensabile, la delazione e la cortigianeria, finiscono per disegnare il panorama che da allora in poi viene a contrassegnare in profondità il carattere italiano sotto tutti gli aspetti e non solo sotto il profilo strettamente religioso. Perché è l'intero impasto della persona che viene forgiato dal dominio totalitario di questa religione dell ' autorità, che non chiede al fedele di cambiare, di praticare un rivolgimento profondo, rivoluzionario e permanente della coscienza, ma esige solo di obbedire e di sottomettersi. E sul fedele rispettoso e remissivo l'autorità ecclesiastica stende poi la sua mano amorevole, liberandolo dalle sue colpe e restituendolo puro col perdono della confessione. Con la reiterazione ininterrotta di questo sacramento non è quindi rimesso in questione il comportamento peccaminoso in modo da dare alla vita una svolta decisiva. Il messaggio che vi è racchiuso è chiaro e dice al fedele: tu sei un peccatore, non puoi cambiare; io Chiesa ti capisco, ma ti tranquillizzo con la mia autorità di rimetterti i peccati, purché tu mi sia rispettoso e rimanga obbediente ai miei precetti. Viene in tal modo scavato un abisso incolmabile con qualsiasi istanza di rinnovamento morale e spirituale della coscienza personale, anche quella espressa e promossa dall'evangelismo interno nonostante che, come si ricorderà, esso continui pure a riservare un ruolo centrale al clero ed alla gerarchia. Sotto questo riguardo, allora, si può dire che la Controriforma cattolica uscita dall'assise tridentina o, se vogliamo, il progetto riformistico di quel concilio, non è solo rivolta all'esterno, contro il mondo protestante, ma colpisce anche tutti i conati, compresi i più moderati, di un riformismo interno che intenda far leva sulla coscienza personale quale premessa irrinunciabile per la maturazione della fede. Ne conseguono inevitabilmente effetti nefasti che investono in profondità il tessuto morale e civile del nostro paese, che esce sfibrato moralmente, privo di forza creativa e di iniziativa, sprofondato nella rassegnazione e nella passività, irriconoscibile rispetto alla vitalità che lo ha reso grande fino dal' 200 e dal '300, con l'umanesimo quattrocentesco e la sua esaltazione della dignità dell 'uomo teso a progettare e creare la sua città di vita terrena, ed anche esaltato dal genio del Rinascimento. Si può dire, allora, che col rogo di Giordano Bruno e con i processi di Galilei si mette davvero fine a questa grande tradizione civile e morale del nostro paese ed inizia una fase nuova, di profonda decadenza. Per rendersene conto ci si può limitare a considerare la sola dimensione della religiosità vissuta, dove è riscontrabile in modo particolarmente pregnante quello che si accennava sopra e cioè la rottura profonda che con la Controriforma cattolica si è verificata nella storia cristiana del nostro paese. Perche davvero qui gli aspetti appena segnalati segnano con nettezza lo spartiacque fra la religiosità del credente nel Basso Medio Evo e quella nuova che va modellandosi sulle prescrizioni tridentine. Ai cristiani di quel tempo è estranea infatti la sacralizzazione della figura papale, che copre con la sua imponenza come una cupola la Chiesa post-tridentina. Un uomo di fede come Dante, ad esempio, non esita a scaraventare all'Inferno ben cinque papi, cosa sconvolgente ed inconcepibile per il cattolico medio moderno, compreso quello contemporaneo inchiodato ad una ferrea idolatria papale172. Forse perche tutti i papi moderni, da Pio IX in poi sono tutti santi e degni del Paradiso, mentre la perversione si concentra interamente in quelli del passato? Forse che la Chiesa moderna e contemporanea rimane del tutto estranea agli appetiti terreni di potere anche politico e della ricchezza? Solo un fanatismo cieco e di attaccamento idolatrico all'istituzione ecclesiastica ed ai suoi vertici può sostenere una cosa del genere. Ma torniamo al Medio Evo. Per capire quale sia lo spirito che anima gli uomini dell ' età comunale esemplari mi paiono queste pagine di Luigi Salvatorelli che riporto per intero, dove si descrive la politica dei Comuni ostile alla Chiesa per la sua pretesa di immunità e di privilegi economici. " Si discutevano questioni di principio: i limiti fra potere civile e potere religioso, la distinzione, nella Chiesa, dello spirituale e del temporale, dei doni celesti e degli interessi terreni. I beni del clero e i diritti ecclesiastici, materia di conflitti, erano sentiti come un ostacolo ed una pietra d 'inciampo. Parole mordaci correvano sugli attaccamenti terreni ed i costumi mondani del clero; fiorivano motti satirici contro I' avarizia e la cupidità della Curia, rasentando talora la bestemmia. Si giocava sul nome di papa Lucio III paragonandolo al pesce omonimo: «questo insidia i pesci, quegli divora gli uomini». Si diceva che a Roma il dio non era Trino, ma Quattrino". Ed ancora: "L'isolamento della casta e della gerarchia, il contrasto di interessi, l'urto dei poteri, acquistavano profondità e gravità, perché al di là di essi era sorta una certa incomprensione morale. Non si trattava del Credo, di dommi: il popolo seguitava a credere quello che la Chiesa insegnava. ..Tanto meno si trattava di rito e di culto: nessuna società come quella dei Comuni aveva tanto amato le grandi cattedrali e le processioni solenni. Come prima, il popolo trovava nel sacerdote il ministro del rito, il dispensiere dei sacramenti. Vi trovava invece assai meno di prima l'interprete dei propri sentimenti, il confidente delle proprie incertezze, il consigliere intimo e la guida morale". Il fatto è che " Lo stato degli spiriti, dal secolo X al XIIL era cambiato profondamente nel mondo laico. Non si chinava più il capo, con rassegnazione inerte, sotto le difficoltà, i dolori e le oppressioni; e si cercava di provvedere alla proprie sorti secondo il motto: aiutati che Dio ti aiuta. La fede religiosa si faceva morale e vita pratica: accanto alle virtù monacali della umiltà e della penitenza venivano in onore quelle laiche della prudenza, della fortezza, della giustizia, generatrici di bene, rettrici e maestre della città e della vita sociale "(173). Da queste pagine, come si può ben vedere, esce l'immagine di un popolo vivo, non passivo e supinamente sottomesso alla gerarchia ecclesiastica, come invece accadrà quando il peso schiacciante della disciplina imposta dal Concilio di Trento soffocherà, anche con inaudita violenza fisica oltre che morale, ogni barlume di autonomia nella spiritualità e nella coscienza religiosa del popolo italiano. sicché, si può davvero argomentare storicamente che con la Controriforma cattolica non solo vengono davvero sradicati dalla vita spirituale del nostro paese, qualsiasi accenno e conato ad una pur minima autonomia, ma muoiono anche quelle riserve di energia morale e di forza creatrice che nel passato avevano fatto dell'Italia un faro di civiltà. Insomma, dopo avere narcotizzato la coscienza religiosa e, proprio per quel motivo, la Controriforma cattolica opera una vera e propria espulsione di ogni forma di indipendenza personale ed è quindi alla radice della corruzione della coscienza morale del nostro paese, che tanti effetti nefasti riverserà sulla successiva storia nazionale italiana fino ai nostri giorni.

172. I nomi dei papi condannati nell 'Inferno dantesco sono: Celestino V nel vestibolo, fra gli ignavi (Canto III); Anastasio Il, nel cerchio VII fra i violenti (Canto XI); Niccolò III Orsini nel cerchio VIII, terza bolgia, fra i simoniaci; Bonifacio VIII, non ancora defunto nell'anno in cui Dante immagina il suo viaggio nell’oltretomba, sempre fra i simoniaci; Clemente V; non solo non ancora defunto, ma addirittura neppure ancora papa, anche lui fra i simoniaci.
173. Luigi SaIvatoreIIi -Vita di San Francesco di Assisi -Einaudi 1973, pag. 15 e 18/19

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