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martedì 27 gennaio 2015

Le due memorie

Scontro di due memorie
Mahmud Darwish, Birwa(Alta Galilea 1942, Houston 2008)
   La memoria ebraica ha trasformato una delle sue pretese basilari in rivendicazione di diritto alla Palestina, eppure è incapace di riconoscere il diritto altrui e di apprezzarne il senso della memoria. Gli israeliani rifiutano di convivere con la memoria palestinese, rifiutano di riconoscerla, nonostante uno degli slogan nazionali ebraici sia “non dimenticheremo”.
Mantenere la coscienza collettiva in stato di perenne ricordo per polarizzare il sentimento nazionale è una delle materie fondamentali insegnate nella scuola israeliana nella prima nella scala delle priorità sioniste. Ripetono sempre: “possa io dimenticare la mia mano destra, se ti dimentico Gerusalemme!”. Dopo l’olocausto a cui gli ebrei europei sono stati sottoposti dal nazismo, il loro moto fondante è diventato “non dimenticheremo e non perdoneremo”.
Ogni anno gli israeliani commemorano le proprie vittime. Israele si ferma. Ci sono un museo specifico, un insegnamento specifico, un programma specifico per ricordare l’olocausto alle nuove generazioni. Nel libro di Amos Elon intitolato Israeliani, c’è un capitolo specifico dedicato a questo argomento che dice: “Agli occhi della giovane generazione post-sionista, l’olocausto ha perciò confermato uno dei temi fondamentali del sionismo classico del 19º secolo: senza un paese proprio si è la feccia della terra, preda inevitabile delle belve”. Nel libro viene riconosciuto il fatto che la politica israeliana strumentalizza l’olocausto come ricatto emotivo.
La cultura israeliana insiste nel saturare i cittadini con le memorie dell’Olocausto avvenuto in Europa per acuire la sensazione di esilio e isolamento dal resto del mondo. Sensazione essenziale nella psicologia e nel temperamento israeliani. Alimentare la memoria israeliana ha, dunque, un intento politico preciso: acuire la rivendicazione sionista della Palestina inculcando negli israeliani la convinzione che la minaccia dello sterminio rimane costante e che tornare e rifugiarsi in “terra d’Israele” è l’unica garanzia di sicurezza storica e politica.
   L’olocausto e sua utilizzazione a fini politici
 Non dimenticare le stragi naziste è un dovere di tutti, non soltanto degli ebrei. Qualsiasi livello di antagonismo arabo-israeliano si sia raggiunto, nessun arabo ha il diritto di simpatizzare con il nemico del proprio nemico, perché il nazismo è nemico di tutti i popoli. E questa è una cosa.
Però Israele sfoga i suoi rancori su un altro popolo chiedendo ai palestinesi e a qualsiasi altro arabo di pagare il prezzo di crimini che non hanno commesso. E questa è un’altra cosa.
Gli israeliani si vantano di fronte al mondo di essere i primi profughi ed esiliati nella storia dell’umanità, fino al punto di trasformare questo attributo in un segno distintivo. Però sono completamente incapaci di comprendere che anche altri possono possedere lo stesso senso.
Non è crudele affermare che il comportamento dei sionisti contro il popolo palestinese è paragonabile alle pratiche naziste applicate contro gli stessi ebrei.
 Non è crudele affermare che il comportamento israeliano e quello del movimento sionista nei rapporti internazionali strappano proprio di bocca il commento: commerciano con il sangue delle vittime ebree. Con i soldi e l’equipaggiamento ricevuti in risarcimento delle vittime del nazismo uccidono un altro popolo.
Dunque non è crudele nemmeno affermare che il modo in cui Israele commemora le vittime del nazismo è caratterizzato dal ricatto emotivo; in quanto saturare gli israeliani tramite il senso dell’olocausto spinto all’eccesso e contemporaneamente tramite il bisogno di vendicarsi non del proprio carnefice ma di un’altra vittima, ossia il popolo palestinese, è un obiettivo politico.
il sionista arrogante non si vergogna di vantare che la perdita di 6 milioni di ebrei, o giù di lì,  gli è valsa una patria.
(Darwish, Una trilogia palestinese, Feltrinelli, Milano 2014, pgg.45-46)
(Mahmud Darwish, Una trilogia palestinese, Feltrinelli ed., 2014, p.

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