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mercoledì 22 novembre 2006

LAICITA’ DELL’ETICA

 Attualmente è in atto nella nostra società un tentativo di ricorrere in modo acritico al mondo della religione per rassicurarsi circa i principi che devono guidare il nostro comportamento. Tanto più che le odierne autorità politiche ed ecclesiastiche, da Bush a papa Ratzinger, fanno a gara per inculcare l’idea che solo chi crede in Dio realizza pienamente la propria natura, sia umana che razionale.

Questo è senza dubbio un indice preoccupante del disorientamento che pervade ogni ambito sociale ed anche della sfiducia nelle proprie capacità di trovare punti di riferimento validi, che diano senso alla nostra vita.

 Eugenio Lecaldano, docente di filosofia morale all’Università di Roma, dimostra nel suo saggio “Un’etica senza Dio” che non solo non è vero che senza Dio non ci sia possibilità di un comportamento morale, ma anzi che solo mettendo da parte Dio l’uomo può raggiungere una vita morale.

 Egli parte anzitutto dal contestare punto per punto i presupposti dell’etica religiosa. Questa ha come suo fondamento Dio come Autore della Natura, anche se considerata non in modo statico, ma come progetto in fase di realizzazione: noi però non conosciamo né questo progetto nella sua compiutezza, né il suo architetto, perché è al di fuori della nostra esperienza (altrimenti non sarebbe Dio).

Ammesso pure che l’etica si possa fondare su Dio, qual è il concetto valido di Dio? Perché noi storicamente sperimentiamo vari concetti di Dio, in base ai periodi storici e in base alle diverse culture. Perciò l’etica concretamente non potrà mai avere un unico fondamento.

Supponiamo comunque che si arrivi a riconoscere un unico Dio; come si fa a capire quali sono i comandamenti divini? Chi se ne fa interprete? La realtà storica ci insegna che le interpretazioni sono molto diverse, anche nell’ambito della stessa religione.

 Inoltre fondare l’etica in Dio significa accettare supinamente ordini esterni a noi, senza la possibilità di capire profondamente il senso del proprio agire. L’etica si riduce a un rispetto esteriore di norme accettate per fede, ma di cui non si è razionalmente convinti.

C’è poi chi sostiene che Dio si riconosce nelle leggi di natura, che sono anche le leggi della ragione, per cui solo i credenti capiscono le leggi naturali, in una sorta di monopolizzazione della sapienza. Di fatto però i modi di capire le leggi naturali sono diversi, non solo tra popoli differenti, ma anche tra individui di uno stesso gruppo sociale e religioso.

D’altra parte un’etica fondata su un Dio che premia o punisce impedisce lo sviluppo di una coscienza morale: si segue un comportamento per ottenere un vantaggio egoistico, e quindi ci si allontana da una condotta morale, che è tale quando significa consapevolezza e autonomia di scelta per realizzare il bene proprio e della società in cui si vive. Inoltre chi aggancia l’etica a Dio, a questo principio assoluto, tende a ritenere giustificata l’imposizione della moralità con la forza della legge, proprio perché i principi devono essere validi per tutti. E allora si sviluppa l’intolleranza e l’integralismo: le istituzioni dello Stato diventano strumenti per far rispettare la legge divina. Ma la conseguenza più devastante è che sul piano psicologico si forma una personalità eterodiretta, incapace di una vera vita morale, cioè incapace di autonomia e di responsabilità nelle sue scelte.


 La capacità di essere moralmente responsabili richiede l’autonomia nella scelta e quindi per essere autonomi bisogna liberarci da tutti i condizionamenti, religiosi, familiari ecc.; perché l’autonomia individuale non è altro che la consapevolezza della propria libertà.

Un’etica responsabile è apertura verso gli altri, in quanto implica sensibilità e attenzione verso gli altri membri della società. E l’uomo è naturalmente incline alla “simpatia” con gli altri esseri umani e gli altri viventi in generale (gli animali).

La sensibilità al dolore proprio e degli altri, come anche le emozioni e i sentimenti, sono frutto di un processo evolutivo naturale, e non è necessario ricorrere al concetto di Dio. Anche l’idea di Dio e il sentimento religioso hanno un’origine naturale e sono il frutto di una lenta maturazione. Per Hume le prime idee religiose sorsero dalle speranze e dalle paure dell’uomo. Freud identifica l’origine della religione nelle dinamiche profonde che legano gli esseri umani alla figura del padre e alla sua autorità. Ma forse la spiegazione più azzeccata è quella di Feuerbach, che vede Dio come il luogo immaginario in cui l’uomo vede realizzati i suoi bisogni e superati i suoi limiti. La coscienza che l’uomo ha di Dio è la coscienza che egli ha di se stesso, del suo dover essere, proiettato e alienato in un altro essere.

 In conclusione l’etica laica è fondata sull’autonomia dell’individuo che si crea un suo carattere morale sulla base delle proprie esigenze e delle proprie esperienze. Ciò comporta che vi sia necessariamente una pluralità di posizioni morali, che si pongono a confronto tra loro; si sviluppano dunque il rispetto e la tolleranza reciproca nella coscienza della relatività di ciascuna posizione e nella ricerca del modello morale più idoneo. Ciascuno valorizza cioè le proprie esigenze, le proprie emozioni e capacità razionali, in un processo di crescita collettiva verso una convivenza ideale.


 Leggendo questo saggio mi sono trovato in sintonia con l’autore su molti punti, ma curiosamente non perché avverso la religione e assumo una posizione atea, ma anzi proprio come cristiano alla scoperta delle origini della propria spiritualità. Esse si fondano su un Dio inconoscibile e non raffigurabile in forme o concetti umani, si fondano su un cammino nel deserto alla scoperta di una propria identità, come individuo e come essere sociale. Infine si radicano sull’intuizione che Dio si è fatto uomo e che soltanto nell’uomo si può cercare e alla fine contemplare il volto di Dio.

Giuseppe Bettenzoli

domenica 19 novembre 2006.

Intervento tenuto qui alle baracche verdi all'assemblea settimanale della Comunità dell'Isolotto
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