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martedì 7 novembre 2006

Il Convegno nazionale delle comunità di base

che si svolse a Firenze all’inizio di maggio 1987

appare l’ultima fiammella del grande fuoco che aveva caratterizzato la nostra città nel quarto di secolo precedente.

Era stata una stagione di straordinaria ricchezza per le esperienze vissute e le personalità presenti: da La Pira e le sue iniziative, alla scuola di Barbiana, alla Comunità dell’Isolotto, a Testimonianze, alla esperienza dei comitati di quartiere nati spontaneamente per rispondere al dramma dell’alluvione del 1966, alla serie infinita dei personaggi che soprattutto nel mondo cattolico svettavano per l’impegno nella ricerca: don Borghi, don Rossi, don Bensi, don Nesi,  Padre Turoldo, Padre Lupi, Padre Balducci, laici come Gozzini, Meucci, Nicola Pistelli  per ricordarne alcuni senza preoccupazione di completezza. Anche il mondo del lavoro forniva alla politica le migliori figure, penso a Gianfranco Bartolini che prese il posto, come riferimento indiscusso dell’area comunista, di un uomo intelligente e realista come Mario Fabiani. Il mondo laico presentava gli eredi di Calamandrei in figure significative sul piano politico come Enzo Enriquez Agnoletti o sul piano culturale come Paolo Barile, Carlo Ludovico Raggianti, Carlo Francovich.

Di quegli anni si comincia oggi a riflettere su qualche evento o su qualche personalità scomparsa più per onorare ricorrenze che per una riflessione adeguata, infatti ancora manca la ricostruzione critica di un puzzle che potrebbe non avere soltanto un innegabile valore storico.

Il Convegno nazionale del maggio del 1987 costituisce una sorta di prezioso residuo di quella stagione ormai conclusa, e rileggerne gli atti oggi rappresenta una suggestione con più valenze: per il ricordo di quel tempo, per l’altissimo livello di numerosi contributi, ma anche per la sconcertante attualità del tema trattato nel Convegno.

Colpisce nella tavola rotonda su La violenza del sacro nella vita quotidiana la lucidità, peraltro consueta, di Balducci nel rilevare il passaggio “da una comprensione della fede di tipo ascetico-sacrale  ad una comprensione della fede di tipo profetico-messianico” come conseguenza di aperture suscitate dal Concilio.

Ed in effetti con tutte le considerazioni critiche che vengono presentate sulla chiesa post-conciliare (gli scritti successivi di Hans Küng, presente al Convegno, ne sono una testimonianza autorevole) occorre pur riconoscere che il Concilio ha quantomeno determinato occasioni di un dibattito vivo che prosegue ancor oggi, anche proprio sulle considerazioni e sui temi che furono propri del Convegno dell’87.

E’ ancora notevole, per la platea degli intervenuti in quel Convegno e per la data (cioè prima ancora del crollo del muro di Berlino), che “il sacro” non si identificasse soltanto nel “sacro-religioso” e fosse espressamente contestata la carica di violenza del sacro ideologico, e di ogni forma assoluta, perché questa estensione costituisce una notevole apertura al concetto moderno di laicità.

Ma l’attualità di quel Convegno appare ancora più evidente se si considera la dimensione più “istituzionale”, quella per intenderci che nella storiografia italiana è stata indicata con la “larghezza del Tevere”, rispetto alla quale appare evidente la necessità di un recupero rispetto al degrado che si è realizzato nell’ultimo ventennio.

L’avvento dei presunti “laici” dopo la lunga parentesi del cosiddetto partito cattolico ha in realtà ristretto il Tevere con un serpeggiante clericalismo che sembra essere invocato da un mondo politico sempre più in crisi.

Forse proprio un partito che affermava la sua ispirazione cristiana aveva il dovere - e la possibilità - di un rapporto con la Chiesa che (visto oggi anche alla luce delle critiche di ieri) nella sostanza affermava le ragioni dello Stato (dal rapporto di De Gasperi con Pio XII ad una politica scolastica che non avrebbe potuto accettare – e non avrebbe voluto - insegnanti di religione nominati dai vescovi nei ruoli della scuola pubblica!) e l’autonomia dell’impegno politico (come testimoniò anche con l’esilio Luigi Sturzo).

Nel pubblicare, dopo quasi vent’anni, gli atti di questo Convegno credo che si fornisca un contributo significativo sul piano culturale, per il livello scientifico dei relatori i cui contributi non credo siano facilmente surrogabili se non con testi da reperire con una ricerca specifica non certamente facilissima. Lo stesso deve dirsi per il contributo che questi atti forniscono alla storia contemporanea di Firenze, ma soprattutto per la sfida che, da una loro lettura critica, potrebbe venire per riavviare una riflessione nella quale non si tema di riconoscersi tutti impegnati ad una ricerca comune in un’epoca nella quale la diversità delle idee, delle valutazioni e delle fedi offre soltanto ulteriori opportunità.

Grazie dunque a chi, conservandone il testo, ha consentito la pubblicazione di questo prezioso frammento da cui tentare di ripartire per riflettere sul dibattito di allora e riprendere il cammino.

  Giuseppe Matulli

(Vicesindaco di Firenze)

Dalla Introduzione agli atti del Convegno 1987, di prossima pubblicazione.

NB. Il Convegno fu tenuto a Scandicci, in una grande sala-palestra.

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