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sabato 23 febbraio 2008

Diritto alla vita. Quale vita?

Domenica 24 febbraio

(l'assemblea è aperta a tutti. Inizio 10,30)




Via degli aceri 1 tel. 055 711362 (traversa di via Torcicoda-Isolotto)



Diritto alla vita. Quale vita?


riflessioni di Carlo, Claudia, Luisella, Maurizio

1.       Lettura dal Vangelo

2.        

3.       Alcuni dati (sulle IVG e sui prematuri)

4.       Alcune esperienze

5.       Alcune riflessioni

    

1.      Letture dal Vangelo

“...un dottore della legge lo interrogò per metterlo alla prova: Maestro, qual è il più grande dei comandamenti della legge? Ed Egli rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo, amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti.”                                                                                                                   [Matteo, 22, 35-40] 

 

“In quel tempo Gesù disse a Nicodemo : “come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio unigenito, perché crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia si salvi per mezzo di lui”     [Giovanni, 3,14-18]

                                                                                                                     

Il commento di don Luigi Ciotti a questo brano del Vangelo nel suo libro “terra e cielo” è questo :

“[...] dice Gesù a Nicodemo che il Figlio non è stato mandato per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui; si salvi, non attenda cioè di essere salvato, bensì sappia operare la verità e accettare la parola di Dio. Anche se è peccatore, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dove credere non significa solamente professare la fede o conoscere a perfezione le scritture sacre, ma significa anche cadere lungo la via, magari peccare, ma sapersi rialzare, coltivare e incontrare la speranza. Questo spesso non viene reso possibile dalla facilità con cui si emettono giudizi che allontanano, sentenze che schiacciano come macigni, che impediscono di alzare o rialzare lo sguardo per cercare la luce.

Emerge con forza in queste parole di Gesù che il giudizio, l’essere giudicati, è in conflitto con la salvezza; Gesù non è stato mandato dal Padre per condannare i suoi nemici o per schiacciare i peccatori, ma per redimere e far trovare agli uomini la vita eterna.

Non basta affermare a parole la luce e la verità, ci dice Gesù. Non sempre chi più dichiara la propria fede è colui che più attivamente opera per la giustizia. La solidarietà vera e piena solitamente rifugge la luce artificiale dei palcoscenici, del consenso, dei riconoscimenti: lavora nella penombra e nel silenzio, per non perdere di vista la vera luce e la vera parola, quella che scuote e che salva.”

 

2. Premessa: vi sono stati 3 fatti sui quali abbiamo pensato fosse utile capire, riflettere, confrontarci:

·        La proposta di moratoria sull’aborto proposta da Giuliano Ferrara. Come scrive Internazionale: “La campagna per la moratoria internazionale della pena di aborto ha l’obiettivo di ottenere dall’ONU un emendamento all’articolo3 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. Gli antiabortisti italiani vogliono che alla frase “tutti gli individui hanno diritto hanno diritto alla vita” sia aggiunta la postilla “dal concepimento fino alla morte naturale”. Come racconta il giornale spagnolo El Pais, l’idea di dare vita a un movimento antiabortista è venuta a Giuliano Ferrara, un neocon all’italiana, politico, giornalista e agitatore fuori dagli schemi.”


·        Un pronunciamento dei Direttori delle Cliniche Ostetriche di 4 Università di Roma (La sapienza, Tor Vergata, Campus bio-medico, Cattolica del Sacro Cuore);


·        L’irruzione dei carabinieri al Policlinico di Napoli con l’accusa ad una donna che stava praticando una Interruzione di gravidanza terapeutica l’accusa di aver violato la legge.

 

 

 

3. Alcuni dati

I dati sulle Interruzioni Volontarie di Gravidanza


Le Interruzioni volontarie di gravidanza dopo la prevedibile crescita dei primi anni, hanno raggiunto il valore massimo nel 1982 e poi sono progressivamente calate, con un calo che è durato per oltre 20-25 anni. Solo negli ultimissimi anni vi è stata una lieve ripresa per effetto dell’immigrazione di donne straniere in condizioni economiche, sociali e culturali spesso difficili.

In Italia erano circa 203.000 nel 1983 e sono diventate 129.768 nel 2004 con un calo del 36%. In Toscana le IVG erano 13.337 nel 1985 e sono arrivate a 7.668 nel 2004, con un calo del 42,5%. Rispetto al 1982 (anno di culmine) c’è stato un dimezzamento del fenomeno.

Le ragioni del calo, secondo gli esperti e l’esperienza comune, sono dovute alla diffusione della contraccezione (nonostante l’Italia sia uno dei paesi europei più carenti sul fronte delle campagne di educazione alla contraccezione) e a un certo diffondersi di una cultura di maternità responsabile e al lavoro dei consultori e delle strutture sanitarie del territorio.

L’OMS raccomanda per misurare questo fenomeno l’uso del “tasso di abortività” (numero di IVG su 1000 donne in età 15-49 anni): oggi in Italia e in Toscana questo tasso è pari a circa 9-10.

Figura 1 – Andamento del tasso di abortività. Toscana e Italia. Anni 1985 – 2004.

(manca grafico)

Il confronto con altri paesi: l’Italia ha un tasso di abortività tra i più bassi d’Europa (Fonte: Relazione Ministero sull’Attuazione della legge 194).


L’effetto dei flussi migratori: L’Italia ha conosciuto negli ultimi anni una crescente pressione migratoria, con l’arrivo di donne giovani, in età riproduttiva, spesso in difficili situazioni economiche, quando non gravate e coinvolta nei fenomeni di prostituzione. I dati mostrano che queste giovani donne immigrate, che in generale fanno più figli, fanno anche maggior ricorso all’IVG rispetto alle italiane. L’analisi delle IVG, fatta distinguendo la componente italiana da quella straniera, mostra che per le donne italiane continua il calo del ricorso all’aborto mentre per le donne straniere cresce. Queste considerazioni mostrano la necessità, in questa nostra società in trasformazione, di fare informazione sanitaria, contraccettiva e di maternità responsabile e sostenibile rivolte a questa popolazione.


Alcuni dati sui nati prematuri

 

In Italia in un anno ci sono:

·        600.000: i nati;

·          50.000: i nati pre-termine (cioè prima della 38° settimana);

·            5.000: i nati con un peso inferiore a 1,5 Kg (intorno alla 28° settimana), il 90% sopravvive;

·            1.000: i nati con un peso inferiore a 1 Kg; il 60% sopravvive;

·               500: i nati con un peso inferiore a 500 gr; il 30% sopravvive.

 

Dei nati intorno alla 24esima settimana:

·        85% circa muore i n sala parto;

·          8% circa muore nel corso della terapia intensiva;

·          7% circa: sopravvive, ma il 95% di essi sopravvive riportando gravi handicap cerebrali.

 

 

4. Alcune esperienze

 

Monica Russo, ginecologa: ho incontrato per 10 anni adolescenti, ragazze e donne che chiedevano di essere aiutate a non diventare madri. Prima erano solo italiane oggi si sono aggiunte le giovani donne immigrate. Per 10 anni ho aiutato queste donne in questo percorso, che è sempre una scelta sofferta Ogni donna che decide questo passo è convinta di non avere alternative. C’è sempre una buona ragione per affrontare una simile sofferenza. Si sentono sole, disperate, oppure non in grado di farcela. A volte sono combattute. Noi le ascoltiamo, cerchiamo di orientarle, di aiutarle, di proporre sostegno sia nel percorso abortivo che in quello di una possibile alternativa (per es, ricordiamo che un bambino si può dare in adozione nel completo anonimato). Ho incontrato molta solitudine, molta sofferenza, ma so che prima della 194 era peggio e che la legge 194 è una buona legge e la difendo. 

Poi c’è da dire che c’è ancora un grande lavoro da fare sul piano della prevenzione, della contraccezione e dei consultori che andrebbero potenziati nel numero e nelle risorse. Un esempio: “noi consideriamo la pillola del giorno dopo un metodo contraccettivo, ma c’è una grande ignoranza intorno a questo farmaco: qualche giorno fa è arrivata da me una ragazzina che era stata respinta da ben 6 ospedali”.

 

“Io madre di un bimbo nato troppo presto”(di Valeria Parella, madre di un bambino prematuro): “...Lo spazio bianco sono i 3 mesi di terapia intensiva. Ne ho visti tanti .. so come funzionano...Di questa struttura ho evidenziato una cosa che non ho inventata io ma sta nel coro dell’Antigone, le antinomie: uomo-donna, giovane – vecchio, stato – individuo. Ecco a me sembrava che l’ospedale fosse proprio un luogo in cui precipita bene l’antinomia “Stato contro individuo” C’è un apparato burocratico enorme che gioca contro. ......E’ vivo? sopravviverà? con handicap? con quali handicap? Non lo sappiamo, risponde il medico. Poi si capisce che è un gioco retorico. Quello mi aveva informato. Io avevo dato il consenso, ma era tutto un gioco retorico. 

Quello che non ti dicono è il costo umano che c’è dopo. Se questo bambino non si alzerà mai da una sedia, saranno i genitori a portarne tutto il peso. E quando i genitori non ci saranno più?

“Come madre, istintivamente dico che se a una donna viene detto “proviamo” nessuna dice di no, perché l’ha portato in grembo. Il punto è questo: i medici non ti informano su quello che potrebbe succedere ... Per esempio nei paesi occidentali il maggior motivo di cecità è la retinopatia del prematuro. Ma questo durante la terapia intensiva alle madri non viene detto. Bambini ciechi perché prematuri. Qual’è l’incidenza? Se i medici hanno le statistiche perché non ne parlano con i genitori?

Da donna, da madre dico che queste cose vanno spiegate, prima di dire tentiamo di rianimare, anche contro la volontà dei genitori. Sennò questo è un gioco sporco. Un ricatto morale. Meglio non riempirsi la bocca con parole come amore, speranza ....

 

“Lo salvai ma oggi non lo rifarei”: di Giampaolo Donzelli, neonatologo del Meyer di Firenze): Quindici anni fa ho rianimato e salvato un bambino nato a 23 settimane di gestazione che pesava solo 390 grammi. Fu un successo di tutta la mia equipe del Meyer. Eravamo entusiasti... Poi quel bimbo a distanza di tempo è diventato cieco, ha sviluppato difficoltà motorie, cognitive e relazionali. E’ stato un duro colpo per me come medico. Mi sono chiesto a lungo se in quell’occasione ho fatto il mio dovere di dottore e continuo a interrogarmi sulle capacità della medicina di fronte a questi casi, su quando bisogna fare le terapie e quando bisogna evitarle ... Ho cambiato idea sulla rianimazione di neonati così prematuri.

Ho capito che “salvare” feti alla 22 o 23 esima settimana significa dare un dolore inutile al bambino e alla sua famiglia, affrontare percorsi sanitari difficilissimi e quasi sempre fallimentari. E poi bisogna tener conto degli enormi problemi di disabilità di chi riesce a sopravvivere.

 

 

5.Le riflessioni e gli appelli

 

UNIONE DONNE ITALIANE Roma, 4 gennaio 2008

Sembra che parlino della 194,

ma ancora una volta uomini parlano tra loro usando il corpo femminile

 

Come si fa a non sospettare che il periodico rigurgito “sulla 194” non sia in realtà il solito espediente per ricordare a tutte che la nostra è una libertà condizionata?

La verità è che le richieste di modifica della 194 prescindono dalle statistiche e dalla stessa realtà: l’aborto tra le italiane è in costante diminuzione, la natalità è aumentata, e sono costrette a ricorrere all’aborto soprattutto le donne straniere che non possono liberamente accedere alla contraccezione.

La verità è che abbiamo davanti un Parlamento che balbetta e nel quale la laicità annaspa. Fuori e dentro di esso, la Cei con toni insinuanti e ipocritamente protettivi nei confronti delle donne, interviene a reclamare modifiche, pur mostrandosi refrattaria, come sempre, alla contraccezione.

E’ vero, la legge 194 ha 30 anni e forse si potrebbe insieme - uomini e donne, cattolici e laici, italiane e immigrate - ragionare per renderla più funzionale e più adeguata alle avanzate possibilità che la scienza ci offre: tutte le possibilità.

Ma, in assenza di atti e di parole che garantiscano un reale confronto, si alimentano l’ostilità e il dubbio che quello che si vuole veramente è contrastare la piena libertà per le donne di decidere: nei rapporti con l’altro sesso, sul lavoro, in politica e soprattutto rispetto al loro corpo fertile.

Questo è il vero problema.

Non fonderemo niente di nuovo se non si mettono le basi per una responsabilità duale della vita. Dove duale non vuol dire che gli uomini decidono insieme alle donne della loro pancia, ma che uomini e donne fanno della loro differenza il possibile cardine per una convivenza civile.

Alla base di questa differenza c’è però una disparità: le donne hanno un corpo fertile, le donne possono concepire.

E possono - se vogliono, quando vogliono - far nascere, quindi dare la vita.

Quando una donna decide di non portare avanti una gravidanza, nei tempi e nei modi previsti dalla legge, assume una responsabilità di cui, in coscienza, è l’unica titolare.

Ogni essere umano è al mondo per volontà di una donna.

Parliamo di questo. Non giriamo intorno al problema.

La libertà delle donne passa per l’autodeterminazione e il suo esercizio segna i confini tra una possibile democrazia e l’inciviltà.

L’autodeterminazione femminile nella legge 194 è l’unica acquisizione di questa democrazia che possiamo traghettare in una democrazia paritaria come atto politicamente condiviso tra uomini e donne.

Questi sono i termini della questione che noi riteniamo debbano essere discussi e lo faremo pubblicamente.

Ci renderemo ovunque visibili e riconoscibili e parleremo con uomini e donne di buona volontà che hanno a cuore un autentico dibattito politico.

Lo faremo con chiarezza e fermezza, affinché la possibilità di decidere delle donne sia piena e autentica. Di decidere ovunque, nel mondo. Ovunque, del nostro corpo.




Il dibattito sulla moratoria dell’aborto di Enzo Mazzi (9.01.2008)(per Liberazione)

 

La proposta di “moratoria” dell’aborto si vede lontano un miglio che è una trovata furbesca, strumentale e provocatoria. Non tende a favorire il dialogo ma a generare scontro. Impedisce qualsiasi confronto costruttivo sul tema dell’aborto, sui percorsi per ridurlo ulteriormente e sulle tecniche che lo rendano più rispettoso dell’integrità fisica e psichica della donna. Chi ha un minimo di senso critico e anche chi ha una sensibilità educata dal Vangelo come può dialogare con chi bombarda quotidianamente le coscienze delle donne con messaggi terroristici, da tutte le tribune e usando tutti i mezzi fino ad accostare l’aborto alla pena capitale? Come è possibile considerare interlocutore credibile e affidabile chi esaspera la drammaticità del mistero della procreazione e considera l'aborto peggio della guerra, degli stermini nazisti, delle stragi più sanguinarie, chi espone lapidi ai "bambini non nati" vittime dello sterminio abortista, chi s'intromette nel rapporto simbiotico gestante-embrione, separando il feto dal corpo della madre, contrapponendo due vite in totale simbiosi fino a farle divenire nemiche fra loro, portatrici di interessi personali e vitali opposti, chi obbliga i medici cattolici, gli infermieri e perfino i portantini, a fare obbiezione di coscienza contro l'orrendo crimine, e non è solo un'obbligazione morale perché l'obbiezione di coscienza è imposta con tutto il peso ricattatorio che ha il potere cattolico, chi demonizza infine tutti i metodi contraccettivi “innaturali” impedendo perfino che se ne parli nelle scuole e invitando i farmacisti a obbiettare?

Come il Sabba fu lo strumento inquisitorio della caccia alle streghe così oggi si usa l’aborto per accendere nuovamente i roghi delle donne. Un passo avanti si è fatto: è sparito il rogo fisico. Ci si contenta di riproporre la condanna penale dell’aborto. Ma il risultato culturale e politico è sempre lo stesso: l’annullamento della soggettività femminile come soluzione finale per il dominio moderno sulla natura.

Le persecuzioni delle streghe non furono un fenomeno medievale. Il culmine dei pogrom è tra il 1560 e il 1630, quindi all'inizio dell'epoca moderna. Gli ultimi processi contro le streghe ebbero luogo nel 1775 in Germania, nel 1782 in Svizzera e nel 1793 in Polonia. Le “streghe” vennero lacerate tra la Chiesa, che voleva tener salda la "fede ormai impallidita" come bastione di resistenza, e la "ragione che stava fiorendo" e che portava al dominio sulla natura. La fede impallidita e la ragione fiorente, in feroce competizione per l’egemonia sul mondo nuovo che stava nascendo, si allearono per togliersi di mezzo la donna, radicale ostacolo alla cultura del dominio. I medici, ad esempio, contribuirono sistematicamente con la loro consulenza specifica al controllo del grado di tollerabilità delle torture delle streghe. Lo fecero per danaro ma anche per strategia politica e di potere.

Il nuovo soggetto "illuminato" doveva costituirsi in opposizione alla natura interiore ed esteriore e non in sintonia con esse. L'immagine magica del mondo, che aveva potuto resistere nei secoli nonostante la cristianizzazione, venne eliminata all'irruzione del periodo manifatturiero, con il trionfo della scienza moderna sulla teologia. Suo becchino fu però la chiesa, cosa che comportò l'assassinio delle donne, nel senso più vero dell'espressione. La cifra di un milione di roghi non è esagerata. Sia l’umanità medioevale che impallidiva e resisteva sia la "nuova" umanità dell'epoca industrializzata era maschile.

Scrive queste cose, ed è sintomatico, la teologa tedesca Hedwin Meyer Wilmes docente di teologia femminista all'università cattolica di Nimega – Olanda, sulla rivista teologica internazionale Concilum 1/98.

La competizione storica delineata sopra per l’egemonia sulla modernità prosegue oggi. Le modalità sono diverse, ma resta una competizione fra culture maschili che si alleano per togliersi di mezzo l’ostacolo comune e cioè la soggettività femminile.

Mi domando sempre come è possibile che un mondo cattolico centrato sul Vangelo possa ridursi a questo. Trovo una risposta nella mia esperienza di vita.

Immaginate un giovane immaturo poco più che ventenne, vissuto ed educato nell’ambiente asettico del seminario, lontano dai problemi della vita, infilato improvvisamente in un confessionale, che si trova a decidere se assolvere o condannare una donna che gli confessa di voler abortire senza recedere o di averlo già fatto senza vero pentimento. Se assolve la donna condanna se stesso perché gli hanno insegnato che non ci può essere pietà per il peccatore impenitente. Se nega l’assoluzione condanna ugualmente se stesso perché viene a trovarsi in contrasto col Gesù del Vangelo: “chi è senza peccato scagli la prima pietra, nessuno ti ha condannata, nemmeno io ti condanno”. Quel prete o viene indotto a intraprendere un cammino di liberazione rispetto al lavaggio del cervello che ha ricevuto in seminario e rispetto alla omologazione teologica e pastorale o si chiude in un intristimento senza speranza che egli tenterà di razionalizzare scaricando il suo senso di colpa e la sua angoscia su chi ritiene, per lo più inconsciamente, la causa delle sue sofferenze, e in primo luogo la donna. Da qui la misoginia del clero ed anche la pedofilia. Mi spiego così, per diretta esperienza e non per sentito dire né per prevenzione ideologica, questo insistere del mondo ecclesiastico sulla colpevolizzazione femminile e questa grave sfiducia verso la donna considerata inaffidabile. Forse l’esperienza traumatica del pretino immaturo a contatto con i drammi della vita può ritrovarsi anche nelle esperienze dei giovani medici formati al principio della salvezza ad ogni costo della vita in senso astratto con scarsa o nessuna considerazione per la soggettività dei viventi e in particolare con la donna alle prese con la complessità dei problemi procreativi. Evito di addentrarmi. Lo potrebbe fare qualcuno interno alla professione medica. E’ una richiesta e un invito.

La vita è un valore troppo grande per essere ancora rinchiusa nella gabbia della cultura patriarcale. La liberazione della cultura femminile è essenziale oggi per un superamento delle vecchie prigioni delle anime e dei corpi.

 

Sulla rianimazione del feto

 

Egregio Direttore e caro dott. Augias.

Credo che partendo dal senso di sgomento per le aberrazioni contenute nel documento dei dirigenti delle cliniche romane di ostetricia, che sancisce il dovere dei medici di rianimare in ogni caso il feto neonato in estrema prematurità, pur in presenza di rischi di gravi sofferenze e malformazioni e anche contro la volontà della madre, si debba riflettere sulle cause profonde. Ritengo che al fondo della crudeltà insensata del documento ci sia un senso alienato della vita derivante dalla penetrazione nella società moderna del dominio del sacro che è una delle principali fonti di violenza. La vita è sacra in quanto parte di un tutto in divenire che comprende finitezza e morte. La cultura sacrale invece separa la vita dalla sua finitezza. La vita viene sacralizzata come dimensione astratta contrapposta alla dimensione altrettanto astratta della morte. Ovunque si afferma lo spazio sacro s’impone il potere assoluto di un dio, sia il Dio delle religioni tradizionali o il dio delle religioni profane, le religioni del danaro, della scienza, della tecnica, della guerra. E’ da lì, da quella radice sacrale, da quella sacralizzazione alienante, che nasce anche il documento sulla rianimazione dei feti e l’espropriazione della soggettività responsabile della madre. Il ritorno del sacro come radice della violenza è sempre incombente e sempre pronto ad annullare tutte le conquiste realizzate sul piano prettamente politico. E’ necessario opporsi all’ingiustizia e alla guerra ma il nostro impegno non sarà efficace se non c’incurveremo in un grande sforzo collettivo per individuare e sradicare il gene della violenza e dell’alienazione dal Dna culturale e religioso.

 Enzo Mazzi                           Firenze 8 febbraio 2008

 

 

L'ultima parola è la nostra.

Dall'evidenza scientifica all'etica della responsabilità.


Contrastiamo l'abitudine a pensare che sui temi essenziali che riguardano la nostra vita, le nostre esperienze che si fanno corpo e anima, noi donne e uomini comuni fatichiamo a prendere una decisione consapevole.

Osserviamo che in una società di esperti hanno autorevolezza lo scienziato, il filosofo, il teologo, il giurista e recentemente il bioeticista, tutti “rigorosamente” di sesso maschile, mentre noi donne non abbiamo parola pubblica. Ma oggettività scientifica e soggettività non sono mondi separati e le tecnologie che riguardano la vita e la morte sono oggi tali da modificare la percezione, il senso e quindi la lettura che noi diamo di esse. Dal concepimento al morire, le opportunità (e i rischi!) offerti dalle biotecnologie mediche ci obbligano singolarmente e collettivamente a operare scelte e mettere in atto decisioni spesso difficili. Ad esse la scienza contribuisce in termini di conoscenza e ampliamento delle possibilità. Ma l'ultima parola spetta alla donna all’uomo che di quelle scelte vivranno le conseguenze.

Noi contrastiamo la violenza di un'etica dei principi indiscutibili e astratti con l'etica della responsabilità e denunciamo che il vuoto lasciato dall'assenza di una cultura laica delle istituzioni è riempito dalla Chiesa e dai codici deontologici delle associazioni e/o corporazioni degli esperti, scientifici e non, che dettano la propria legge.

Le questioni eticamente sensibili diventano così strumenti che mirano a fare dei corpi di uomini e donne le nuove "res publicae", su cui e attraverso cui arrivare alle "nuove sintesi" politiche che spesso avvelenano la civile convivenza e il quadro democratico

Questo sta accadendo:ieri sulla legge 40, oggi sulla 194, la moratoria, la lista di Ferrara e l'incursione all'ospedale di Napoli!

Riproponiamo l'autonomia e la libertà di una donna di scegliere per se stessa anche quando è “uno e due contemporaneamente”, cioè quando è gravida, affermando che è portatrice di una responsabilità che ne fa un soggetto morale capace di compiere la scelta di essere o non essere madre e di interrogarsi sul senso e la qualità di quella vita che ha deciso di mettere al mondo.

La Chiesa Cattolica ha riconosciuto un'anima alle donne nel 1431! Quanti secoli ancora per essere riconosciute soggetti morali?

Denunciamo la voluta confusione che ha animato il recente dibattito sull’obbligo di rianimazione dei feti vitali anche in presenza di una decisione contraria della madre. Si sono confuse questioni diverse: aborto terapeutico e nascita prematura.

Aborto terapeutico e nascita prematura stanno su piani diversi, hanno ricadute ed effetti differenti, le cui responsabilità non sono del tutto chiare dal punto di vista della legge.

Nel primo caso il riferimento è la legge 194 dove in nome del diritto alla salute della madre, ed in presenza di una grave malformazione del feto, la legge consente alla donna di porre fine a quella vita.

Nel secondo caso siamo in presenza di un trattamento terapeutico su un “minore” già nato che non è in grado di esercitare quel "consenso informato" di cui il medico ha bisogno per agire sul corpo del paziente e che è l'espressione della autonomia di scelta di ogni cittadino/a sancita dalla Costituzione.

Tale questione non riguarda la 194 ma il diritto di limitare i trattamenti di rianimazione e di sostegno vitale.Un feto di 4- 5 mesi, può esercitare questo diritto? La risposta è evidente: no! Allora chi lo fa per esso? Chi è il soggetto morale che lo può fare? Una legge astratta dello Stato in nome di un'etica dei principi, un codice deontologico medico che si fa legge o la donna che l'ha nel suo corpo (quel feto è parte di essa) e la cui etica della responsabilità le consente di coniugare i fatti, che inaspettatamente le vengono presentati, con i valori che fino a quel momento l'hanno conformata?

Noi rispondiamo che quella donna che ha dolorosamente scelto di interrompere a 5-6mesi dall’inizio, una gravidanza desiderata è l'unica autorizzata a parlare e a prendere la decisione.

 

Elena Del Grosso genetista, docente di bioetica Università di Bologna rete delle donne di Bologna

Maddalena Gasparini medico Libera Università delle Donne di Milano

Eleonora Cirant   Ass Osa-Donna Osservatorio Donne Salute

 

 Per sottoscrivere la lettera-appello: www.firmiamo.it/liberadonna



Caro Veltroni, caro Bertinotti, cari dirigenti del centro-sinistra tutti, ora basta!

L'offensiva clericale contro le donne spesso vera e propria crociata bigotta ha raggiunto livelli intollerabili. Ma egualmente intollerabile appare la mancanza di reazione dello schieramento politico di centro-sinistra, che troppo spesso addirittura condiscendenza. Con l'oscena proposta di moratoria dell'aborto, che tratta le donne da assassine e boia, e la recente ingiunzione a rianimare i feti ultraprematuri anche contro la volontà della madre (malgrado la quasi certezza di menomazioni gravissime), i corpi delle donne sono tornati ad essere cose, terreno di scontro per il fanatismo religioso, oggetti sui quali esercitare potere.

Lo scorso 24 novembre centomila donne completamente autorganizzate hanno riempito le strade di Roma per denunciare la violenza sulle donne di una cultura patriarcale dura a morire. Queste aggressioni clericali e bigotte sono le ultime e subdole forme della stessa violenza, mascherate dietro l'arroganza ipocrita di difendere la vita. Perciò non basta più - dirigenti del centro-sinistra - limitarsi a dire che la legge 194 non si tocca: essa è nei fatti messa in discussione. Pretendiamo da voi una presa di posizione chiara e inequivocabile, che condanni senza mezzi termini tutti i tentativi da qualunque pulpito provengano di mettere a rischio l'autodeterminazione delle donne, faticosamente conquistata: il nostro diritto a dire la prima e l'ultima parola sul nostro corpo e sulle nostre gravidanze.

Esigiamo perciò che i vostri programmi (per essere anche nostri) siano espliciti: se di una revisione ha bisogno la 194 quella di eliminare l'obiezione di coscienza, che sempre più spesso impedisce nei fatti di esercitare il nostro diritto; va resa immediatamente disponibile in tutta Italia la pillola abortiva (RU 486), perché un dramma non debba aggiungersi una ormai evitabile sofferenza; va reso semplice e veloce l'accesso alla pillola del giorno dopo, insieme a serie campagne di contraccezione fin dalle scuole medie; va introdotto l'insegnamento dell'educazione sessuale fin dalle elementari; vanno realizzati programmi culturali e sociali di sostegno alle donne immigrate, e rafforzate le norme e i servizi a tutela della maternità nel quadro di una politica capace di sradicare la piaga della precariato nel lavoro).

Questi sono per noi valori non negoziabili, sui quali non siamo più disposte a compromessi.



PRIME FIRMATARIE:


Simona Argentieri

Natalia Aspesi

Adriana Cavarero

Isabella Ferrari

Sabina Guzzanti

Margherita Hack

Fiorella Mannoia

Dacia Maraini

Alda Merini

Valeria Parrella

Lidia Ravera

Elisabetta Visalberghi
 


Galimberti da “Le orme del Sacro”

“[...] Ora va detto che non si apre il dialogo affermando, come afferma il magistero ecclesiastico, che siccome l’anima vivifica l’embrione nell’attimo steso della sua formazione biologica, intervenire sull’embrione significa uccidere un uomo o, come nel febbraio 1998 diceva monsignor Sgreccia, nominato dal Papa vicepresidente dell’accademia per la vita, “comportarsi peggio di Hitler” i cui genocidi, a differenza di quello che oggi può fare la genetica, avvenivano comunque sui già nati.

Questo genere di discorsi non fanno né caldo né freddo, perché chi ad esempio decide di non mettere al mondo un bambino senza cervello, non si sente in cuor suo un Hitler, così come chi nella tribolazione abortisce si persuade facilmente che quel che ha nel ventre è materia non ancora vivificata dall’anima. Sappiamo tutti infatti che incominciamo ad amare e quindi a far vivere solo esseri con cui abbiamo relazioni. E allora una madre che desidera un figlio gli ha già dato l’anima prima ancora di concepirlo, mentre una madre che non lo desidera non gliela darà neppure dopo che è nato.

In un contesto in cui le scoperte genetiche non si possono arrestare e le coscienze individuali si sentono abbastanza autonome nelle loro scelte, l’argomento che l’embrione è già un individuo o, come dice il linguaggio religioso, ha già una anima, e quindi non tollera interventi resi disponibili dalle conoscenze genetiche, significa usare un argomento che non solo è inefficace, ma è anche un po’ rozzo, poiché consegna il concetto di individuo ( o se si preferisce quello di anima) alle sorti casuali della combinazione biologica.

[...] Accade che le posizioni della Chiesa in materia di bioetica vengano condivise da una rappresentanza significativa del mondo politico non solo cattolico, che ha dato vita a quello che il mondo giornalistico ha subito battezzato il “partito dell’embrione”. on si tratta di una bella denominazione, perché se i partiti si formano a partire dalla intimità più raccolta, quale può essere l’utero di una donna, allora anche l’intimità delle coscienze non tarderà a divenire oggetto di contrapposizioni patetiche. A quel punto lo stato etico, da cui pensavamo di esserci congedati insieme al fascismo che l’aveva generato, farà di nuovo il suo ingresso nella nostra civiltà. Una civiltà dove la coscienza individuale sarà sempre più misconosciuta e le norme collettive, che sono il vero degrado della moralità individuale, detteranno le norme al popolo che la metafora cristiana del Pastore ha sempre pensato come gregge.

E qui è netta l’impressione, ogni giorno più confermata, dell’arrendevolezza dell’etica laica all’etica cristiana. Una arrendevolezza strutturale, dovuta al fatto che ragionare è più difficile che credere, perché la via della ragione deve tenere conto di istanze molteplici che vanno dal diritto del nascituro alla libertà di coscienza delle madri e dei padri, dalla fame nel mondo dei già nati alla frequente riduzione in condizioni di schiavitù dei sopravvissuti, mentre la fede può prescindere da tutta questa complessità e attenersi alla parola ritenuta di Dio e trasmessa da quanti pensano di rappresentarla.

Concepire l’embrione come personalità fornita di diritti giuridici fin dall’atto del suo concepimento significa pensarlo a tutti gli effetti come un uomo e non come voleva il diritto romano, come una speranza di uomo (spes hominis). Questo vuol dire ridurre il concetto di uomo a quel livello elementare che è la prima espressione biologica, e fare della vita biologica quel valore assoluto che spazza via in un attimo la differenza tra la vita come puro quantitativo biologico e la vita degna di essere vissuta.

Che indegna sia la vita di milioni di bambini sfruttati sessualmente, di bambini ridotti in schiavitù, pura forza vitale al servizio della sessualità adulta o della produzione di merci, non fa grande rilevanza per chi ritiene che tutto si aggiusta una volta che è fatta salva la loro esistenza biologica. L’indifferenza per la microcriminalità infantile nelle stazioni di Bucarest e di Sofia, per i meninos brasiliani presi di mira dalle squadracce della polizia privata come animali, l’indifferenza di tutti quelli che muoiono di fame e di guerra in Africa è la conseguenza diretta di chi ritiene di poter mettere in pace la propria coscienza di uomo una volta che abbia garantito a tutti gli embrioni quel diritto biologico alla vita, fatto salvo il quale a tutto il resto pensa la provvidenza di Dio. E se Dio non provvede ?

L’etica laica, che è tale proprio perché non si fida molto della provvidenza di Dio, dovrebbe farsi carico anche di quei problemi che l’etica cristiana affida alla Provvidenza, e non abdicare. Perché abdicare alla complessità dei problemi, alla loro interconnessione, alla responsabilità che uomini come noi assumiamo nei confronti di tutti coloro che mettiamo al mondo, per l’etica laica della ragione è immorale ed equivale a quella colpa collettiva in presenza della quale, nel registro religioso, il Dio biblico minacciava lo sterminio della città.

Abdicare alla complessità significa tagliare le connessioni che il problema della nascita ha con le condizioni realisticamente prevedibili della vita futura di coloro che sono messi al mondo. Ed è immorale pensare di risolvere il problema, il problema della nascita garantita a tutti i concepiti, isolandolo da premesse e conseguenze. E’ immorale, ed è anche segno di falsa coscienza.

Sappiamo tutti infatti che non è sempre per generare che la gente si concede ad atti d’amore, così come non è proprio per condurre una vita randagia o per morire di fame che chi nasce accetta di venire al mondo. Nevrosi, disperazioni, suicidi, almeno in occidente sono l’ a dire che l’uomo aspira ad una vita degna, non ad una vita biologica. Schiavitù e fame nel resto del mondo sono lì a dire che non è proprio per questi obiettivi che un giorno si è detto sì alla vita.

Il problema dell’aborto è un problema serio, così come è serio il problema delle cellule embrionali di cui si fa mercato, ma lo si fa anche dei bambini e dei loro organi su cui aleggia uno spesso e pesante silenzio. Ma non si risolve il problema dell’aborto e delle cellule embrionali isolandolo da tutti i problemi a cui è indissolubilmente legato. Perché se si dovesse isolare, come pare, il problema degli embrioni e garantire per legge il loro successo biologico a spese della libertà di coscienza di chi li concepisce, e nella più assoluta indifferenza del loro destino, allora diciamo che il cristianesimo, che era parso come la religione che valorizzava l’individuo rispetto alla specie, ha abdicato a se stesso e, nel suo abdicare, ha coinvolto anche l’etica laica, persuadendola del valore assoluto della vita biologica, qualunque sia poi la sorte della vita individuale.

                                                                                  (Umberto Galimberti, Orme del sacro, Feltrinelli)

 

LIBERE TUTTE

Appello per la manifestazione dell’8 marzo a Firenze

 

Assistiamo in questi giorni all’ennesimo tentativo di riportare indietro le lancette della società italiana. Questo tentativo colpisce in primo luogo tutte le donne, minacciando gli spazi di libertà conquistati dal movimento femminista, che era riuscito a scardinare schemi oppressivi radicati, grazie ad una nuova cultura di liberazione, di democrazia, di affermazione dei diritti individuali.

Come mai prima d’ora c’è bisogno invece della ricchezza che i movimenti delle donne portano alla vita politica, sociale, civile e culturale, perché solo in questo altro modo di pensare il mondo e di viverlo sta una possibile alternativa allo stato confessionale, alle guerre, alla globalizzazione neoliberista, a tutti gli integralismi.

L’incontrollata ingerenza della Chiesa cattolica nella sfera pubblica ed il tentativo di conformare lo Stato laico ad una concezione etico-religiosa costituiscono un fenomeno gravissimo che investe la vita, la libertà e la dignità delle cittadine e dei cittadini di questo paese.

Nella generale subalternità alle gerarchie ecclesiastiche, si torna ad affermare un modello unico di famiglia, tradizionale e patriarcale, e si nega legittimità al pluralismo etico e culturale, base di ogni democrazia. Mentre la retorica sulla vita inonda i mezzi di comunicazione, la precarizzazione del lavoro e l’arretramento dello stato sociale rendono sempre più difficile la condizione delle donne, limitandone di fatto la libertà di scelta su questioni fondamentali: la maternità, l’affettività, la possibilità di progettare il proprio futuro.

Di fronte a tutto questo, è indispensabile riaffermare con forza il principio dell’autodeterminazione delle donne, principio che non deve divenire oggetto di trattativa nei programmi e nelle pratiche di governo.

Respingiamo in particolare i ripetuti e violenti attacchi alla legge 194 con il tentativo di limitare la libertà di scelta in materia di interruzione di gravidanza, anche attraverso l’inserimento degli integralisti del "Movimento per la vita" nei consultori pubblici e l’estensione dell’obiezione di coscienza anche ai farmacisti; l’obiezione del personale sanitario inoltre non può arrivare a impedire di fatto, in alcune città e regioni, l’applicazione della legge: deve essere garantita la presenza di medici e infermieri non obiettori in ogni presidio sanitario.

Condanniamo inoltre l'ostinato rifiuto di introdurre la pillola RU486, già in uso in molti paesi europei, che permetterebbe una tecnica di interruzione di gravidanza meno invasiva.

Condanniamo questo rinnovato integralismo, specchio dei fondamentalismi che soffocano i diritti di donne e uomini in vaste parti del mondo e che alimentano e giustificano le guerre. 

Condanniamo tutto questo come la cornice per cui gli atti di violenza contro le donne trovano giustificazione e impunità.

 

MANIFESTIAMO

8 marzo ore 9.30 - partenza da piazza S. Marco

arrivo in piazza Annigoni (S. Ambrogio): musica e teatro

 



  • PER DIFENDERE LA LEGGE 194



  • PER DIFENDERE L’AUTODETERMINAZIONE DELLE DONNE ED IL DIRITTO AD UNA MATERNITA’ LIBERA E RESPONSABILE



  • PER RIAFFERMARE IL DIRITTO AD UNA SESSUALITA’ LIBERA E CONSAPEVOLE



  • PER LA PRESENZA DELLE DONNE IN TUTTI I LUOGHI DECISIONALI



  • PER LA LAICITA’ DELLO STATO, garanzia dei diritti di donne e uomini nelle scelte sessuali e affettive.



  • CONTRO OGNI FONDAMENTALISMO E OGNI FORMA DI VIOLENZA SULLE DONNE



Libere tutte – Firenze per adesioni: libere.tutte@libero.it

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