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martedì 12 febbraio 2008

Il fondamentalismo dell’horror

 Il fondamentalismo dell’horror


Il documento dei dirigenti delle cliniche romane di ostetricia, che sancisce il dovere dei medici di rianimare in ogni caso il feto neonato in estrema prematurità, pur in presenza di rischi di gravi sofferenze e malformazioni e anche contro la volontà della madre, ha un sapore di provocazione fondamentalista che rasenta l’horror. Molto è stato detto su questa “crudeltà insensata”, come l’ha giustamente definita Livia Turco.


Ma credo che partendo dal senso di sgomento per tali aberrazioni si debba riflettere sulle cause profonde. Ritengo che al fondo della crudeltà insensata del documento ci sia un senso alienato della vita derivante dalla penetrazione nella società moderna del dominio del sacro che è una delle principali fonti di violenza. La vita è sacra in quanto parte di un tutto in divenire che comprende finitezza e morte. La cultura sacrale invece separa la vita dalla sua finitezza. La vita viene sacralizzata come dimensione astratta contrapposta alla dimensione altrettanto astratta della morte. La sacralità intesa come astrazione, separazione e contrapposizione fra le varie dimensioni della nostra esistenza è la proiezione di un’angoscia irrisolta, di una frattura interna, di una mancanza di autonomia e infine di una alienazione della propria soggettività nelle mani del potere. Sbaglieremmo se identificassimo il sacro solo con la sua espressione di tipo religioso. La sacralità è una funzione del potere, del dominio e dell'espropriazione dell'uomo e della donna. Ovunque si afferma lo spazio sacro ivi c'è l'interdizione dell'uomo della donna di gestire la propria esistenza con la ragione e con l’azione responsabile. E s’impone il potere assoluto di un dio, sia il Dio delle religioni tradizionali o il dio delle religioni profane, le religioni del danaro, della scienza, della tecnica, della guerra. Questo travaso del sacro dalla cultura religiosa alla razionalità moderna non andrebbe secondo me sottovalutato.


Sono tanti i laici che credono di essersi liberati del sacro perché non si fanno più il segno della croce. Si dichiarano non-credenti, atei, agnostici e si voltano altrove. E così le strutture del sacro che avvincono le regioni profonde delle persone e della società possono agire liberamente continuando a inquinare le nostre esistenze individuali e collettive.


Se ci guardiamo un po’ dentro troviamo una percezione della vita separata dalla sua intrinseca finitezza, scorgiamo nella penombra oscura del nostro profondo il mito o il sogno inconfessato dell’immortalità e troviamo parimenti una percezione della morte come realtà a sé separata dalla vita, come male assoluto, ipostasi o icona del nemico dietro a cui si celano tutte le inimicizie. Mentre la vita e la morte sono una cosa sola. E la morte è immersione della vita nel mare della vita.


I germi del sacro come alienazione sono stati insinuati dal cristianesimo dogmatico per secoli nelle coscienze. Attraverso i catechismi siamo stati abituati fin da piccoli a considerare la morte come punizione per il peccato: una specie di condanna a morte dell’umanità intera divenuta peccatrice, una esecuzione capitale che solo Dio ha il diritto di eseguire. La mostruosità distruttiva della violenza nasce da lì, dalla mostruosità di quella “condanna a morte”, dalla mostruosità della violenta espropriazione della nostra responsabilità. Il dogmatismo cristiano non ha inventato di sana pianta questa idea. L’ha ereditata dai millenni e l’ha rielaborata compiendo un vero e proprio rovesciamento del messaggio di gioiosa speranza che promana dalle più antiche tradizioni dei Vangeli. E a sua volta l’ha trasmessa subdolamente alla società secolarizzata. Il dogmatismo cristiano, condiviso da altre religioni, ha cambiato maschera e si è insinuato nella cultura moderna. Nel nostro tempo la funzione di esorcizzare la morte, di separarla dalla vita e di disporre sia dell’una che dell’altra è assolta da grandi costruzioni sociali laiche fra cui non ultima la medicina. E’ da lì, da quella radice sacrale, da quella sacralizzazione alienante, che nasce anche il documento sulla rianimazione dei feti e l’espropriazione della soggettività responsabile della madre.


E’ un compito immane la liberazione del profondo dalla cultura sacrale. Richiede tempi troppo lunghi per la nostra impazienza. Può scoraggiare. L’impegno per la liberazione sociale e politica può essere considerato una priorità assoluta. Eppure il lavoro sul profondo è indispensabile. Il ritorno del sacro come radice della violenza è sempre incombente e sempre pronto ad annullare tutte le conquiste realizzate sul piano prettamente politico. Lo costatiamo ogni giorno. E’ necessario opporsi all’ingiustizia e alla guerra ma il nostro impegno non sarà efficace se non c’incurveremo in un grande sforzo collettivo per individuare e sradicare il gene della violenza dal Dna culturale e religioso, creando e diffondendo una cultura di assunzione di responsabilità non violenta per tutti i viventi, impastata di saggezza e di responsabilità.


Enzo Mazzi il manifesto 8 febbraio 2008

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