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martedì 10 giugno 2008

Almafida

La tribù dei serpenti gialli


Se a 40 anni di distanza il ‘68 è di nuovo oggetto di attacchi di particolare virulenza, una ragione ci deve essere. Ed è, probabilmente, quella che attraverso l’attacco alle ragioni ideali di quella stagione di lotte (come di altre) si intende squalificare anche coloro che oggi continuano a battersi affinché – almeno in parte – quel patrimonio di energie, di istanze, di conquiste, nonché l'aspirazione stessa alla giustizia sociale, l'insofferenza verso ogni dogmatismo, la critica di ogni potere o gerarchia possa continuare ad avere cittadinanza. Vale la pena, allora, al di là della retorica delle celebrazioni, continuare a far parlare il ’68, e precisamente il ’68 vissuto e sofferto all’interno della Chiesa cattolica in Italia. Dobbiamo quindi premettere che il vero ’68, nella Chiesa, comincia nel 1965, quando, con la chiusura del Concilio, si innescò un processo di rinnovamento che a fatica - e al prezzo di una durissima repressione - riuscirà a mettere in discussione un apparato rimasto sostanzialmente immutato dai tempi della Controriforma. Se il ‘68 degli studenti non risparmiò nessuno dei simulacri del potere borghese, dai giornali ai tribunali, dalle fabbriche alla scuola, dal mondo della cultura alla famiglia, dall’università ai partiti politici (compresi – anzi, soprattutto – quelli della sinistra istituzionale), nella Chiesa il ‘68 mise in discussione il simbolo stesso della sacralità e dell’immutabilità dell’istituzione: la gerarchia cattolica. E la scintilla divenne incendio, grazie a figure come don Milani, padre Camillo Da Piaz, padre David Maria Turoldo, padre Ernesto Balducci, solo per citare i più noti. E grazie anche ai teologi del postconcilio, a quelli del Terzo Mondo, agli esponenti della Chiesa latinoamericana di Medellín, alle migliaia di credenti che sui sagrati e nelle Chiese di tutta Europa celebravano liturgie alternative, che incarnavano la volontà di cambiamento nella scelta di stare dalla parte degli oppressi.


Certo, non mancarono segnali di un potere che non era disposto a cedere: basti pensare alla "rimozione forzata" del card. Lercaro, arcivescovo di Bologna, a causa della sua opposizione alla guerra in Vietnam), o alla chiusura dell’Avvenire d’Italia.


Ci fu poi con don Giussani la nascita, sulle ceneri di Gioventù Studentesca, di Comunione e Liberazione che assumeva, come altri movimenti, le forme e gli slogan del ‘68, ma che veicolava contenuti reazionari. Ciononostante la contestazione assumeva, anche nella Chiesa, le proporzioni di un fenomeno di massa. E si espandeva a macchia d’olio: a Trento, un gruppo di giovani cattolici organizzò un controquaresimale di fronte al Duomo (in quella stessa città si era appena conclusa l’occupazione della facoltà di Sociologia, sostenuta da 9 preti iscritti alla facoltà); ci fu la contestazione degli studenti della Cattolica, a Roma, in piazza S. Pietro (la Cattolica verrà occupata 4 volte e l'ultima durerà 15 giorni con il Rettore chiuso nel suo ufficio); la nascita, a Torino, della comunità del Vandalino e a Genova del movimento dei Camillini (che iniziò la contestazione al card. Siri) e, successivamente, della comunità di Oregina intorno a padre Agostino Zerbinati; a Udine si iniziò a stampare I quattro gatti, un giornale fatto da credenti posizionati sulla linea del dissenso; a Napoli nacque Il tetto, guidato da Pasquale Colella; a Verona, i giovani francescani del convento di San Bernardino contestavano le logiche mondane del loro Ordine. A novembre, il Consiglio pastorale della diocesi di Ivrea si pronunciò contro la partecipazione azionaria del Vaticano alla Lancia. Intanto le Acli prendevano le distanze dal collateralismo con la Dc, mentre l’Azione Cattolica di Vittorio Bachelet si preparava alla grande svolta della "scelta religiosa" (1969). A Roma, intanto, muoveva i primi passi l’Agenzia di stampa Adista considerata subito voce della sinistra cristiana e in seguito del dissenso cattolico e delle Comunità di Base. Il clou arrivò in settembre, quando giovani cattolici (alcuni della Fuci) occupano la cattedrale di Parma per denunciare i finanziamenti delle banche alla Chiesa. La parrocchia dell'Isolotto di Firenze, insieme ad altre due parrocchie fiorentine, espresse solidarietà agli occupanti. Il card. Ermenegildo Florit, colse al volo l’occasione per destituire i preti dell’Isolotto don Enzo Mazzi, don Sergio Gomiti e don Paolo Caciolli. Ma la comunità era tutta con loro e lo seguirono fuori dal tempio: le celebrazioni sul piazzale antistante alla chiesa testimoniavano che un’altra Chiesa era ormai matura.


Proprio le parole di una donna dell’Isolotto - Almafida - testimoniano in modo efficacissimo, più di tante analisi, gli effetti di quella straordinaria rivoluzione nel modo di intendere la fede che maturò all’interno del ‘68. Almafida faceva parte di un gruppo di cernitori di spazzatura nel quartiere dell'Isolotto, chiamato "la tribù dei serpenti gialli", perché costretto a lavorare dalla mattina alla sera nella melma maleodorante e vagamente giallognola della spazzatura in decomposizione. Qualche anno fa, ormai in età avanzata, Almafida chiamò il nipote Francesco, consegnandoli un pacchetto con tre oggetti: "Qui c'è tutta la vita della nostra famiglia", gli disse. "Quei due attrezzi - spiegò puntando il dito - sono un forcone e un marraffio e servivano al tuo babbo, ai tuoi zii e ai tuoi nonni per scegliere la spazzatura. Servivano a comprare il pane e poco altro. In questo incarto - proseguì - c’è un libro. Questo è servito per un altro tipo di pane: quello della dignità e della speranza". Era Incontro a Gesù, il catechismo dell’Isolotto: "Gesù - disse l’anziana cernitrice - era amico di noi poveri e nessuno ce lo aveva mai detto! S'era schiavi dell'ignoranza e della miseria, si mangiava pane e moccio. Quando si era fortunati ad avere il pane! Abbiamo vissuto l'inferno, l'inferno quello vero, non quello inventato. Com'era lontano Dio! Come si tenevano a debita distanza coloro che nel tempio predicavano in suo nome. Poi arrivò un soffio di vento e un brivido di speranza, sembrava che dall'inferno si potesse uscire: qualcuno si era messo a cercare Dio proprio nell'inferno tra la gente come noi". Ed è quel soffio di vento che – anche attraverso queste pagine – speriamo possa tornare a soffiare. (valerio gigante)


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