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lunedì 9 giugno 2008

Tabù

 ANCHE IN ITALIA STA CADENDO IL TABÙ


Il caso di Modena e soprattutto i tanti altri casi che non salgono alla ribalta della cronaca, dimostrano che se il Parlamento non perverrà, neppure con questa maggioranza, a una legge sul testamento biologico, gli italiani tralasceranno la formalizzazione giuridica e utilizzeranno comunque questo strumento di espressione di volontà e autonomia del malato. Succede, del resto, non solo in Italia che se la politica non ascolta i bisogni reali della popolazione, allora la popolazione fa a meno della politica.

Questo è vero almeno per le questioni che toccano da vicino la nostra vita e la sua qualità. Il grande movimento popolare olandese che ha condotto alla legislazione più avanzata in Europa sulle decisioni di fine vita è nato, ormai vent’anni fa, quando la popolazione ha potuto constatare che la medicina oggi è in grado di prolungare artificialmente la vita biologica, opponendosi a una fine naturale per giorni, per mesi o per anni. In Germania, pur in assenza di una legge, a seguito dell’iniziativa popolare, in due anni sono stati depositati sette milioni di testamenti biologici.

In Italia il testamento biologico era tabù e la sua definizione pressoché sconosciuta fino al marzo di due anni fa, quando la Fondazione che porta il mio nome pubblicò il primo opuscolo divulgativo e organizzò la prima presentazione a Roma, alla Cassa Forense. Il motivo: una incomprensibile resistenza ideologica, molto preoccupante per la libertà di ognuno di noi, da parte di molti opinionisti che vedono nel testamento biologico un’anticamera dell’eutanasia mentre così non è, anzi concettualmente è l’opposto e anche di molti medici che rivendicano il loro potere di decidere, oppure, al contrario, hanno paura di decidere e preferiscono affidarsi alle potenzialità di una medicina tecnologica. Dal 2006 sono molte migliaia le persone che si sono rivolte a noi, e continuano a farlo, per avere informazioni e sapere che fare.

Innanzitutto va ripetuto che il testamento biologico (che, ricordiamolo, è un’espressione scritta di volontà individuale revocabile e modificabile, circa le cure che si vogliono o non si vogliono ricevere, da utilizzare nel caso in cui non ci si potesse esprimere di persona) può già essere ritenuto valido nel nostro ordinamento perché è un’estensione del consenso informato alle cure, che è non solo legittimo ma obbligatorio nel nostro Paese. Inoltre l’Italia ha siglato la Convenzione di Oviedo sui «diritti umani e la biomedicina» che afferma che «il medico, anche tenendo conto della volontà del paziente laddove espressa, deve astenersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento per la qualità di vita».

Anche il mondo cattolico non si è mai opposto al testamento biologico. In Spagna, dove il Testamento Vidal è appena diventato legge, il modulo del testamento si trova sul sito web della Conferenza episcopale spagnola. E indirizzato: «Alla mia famiglia, al mio medico, al mio sacerdote, al mio notaio» e si basa sul principio che «la vita è un dono e una benedizione di Dio, ma non è il valore supremo assoluto». Il giorno dell’approvazione della legge spagnola mi ha colpito il commento di Marcelo Palacios, consigliere del governo Zapatero e presidente della Società internazionale di bioetica: «Un malato terminale non muore perché si sospendono le cure, muore perché era terminale. Dobbiamo concentrarci piuttosto sulla sua dignità di persona».

In Italia pare che la politica non la pensi così.




- DI UMBERTO VERONESI

da: la Repubblica di domenica 8 giugno 2008

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